Arditi
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Gli Arditi furono un corpo speciale dell'esercito Italiano durante la prima guerra mondiale. Dal 1 ottobre 1975 la bandiera del X Reggimento Arditi (costituito nel 1942 su emulazione del IX Reparto d'Assalto della prima guerra mondiale) viene tenuta in custodia dal 9° Reggimento d'Assalto Paracadutisti Col Moschin.
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[modifica] Gli arditi nella prima guerra mondiale
Un'idea anticipatrice dell'ardito può essere fatta lontanamente risalire al 1914 quando in ogni reggimento del Regio Esercito venne creato un gruppo di esploratori addestrati ad agire dietro le linee nemiche.[1]
La vulgata popolare vuole riconoscere come antesignani degli arditi anche i componenti delle cosiddette "Compagnie della morte", pattuglie speciali di fanteria o del genio adibite al taglio o al brillamento dei reticolati nemici, facilmente riconoscibili per l'uso di corazze ed elmetti principalmente del tipo "Farina".[2] L'impiego della bombarda in questo ruolo rese del tutto inutili i sacrifici dei componenti queste unità .
Nel dopoguerra si volle sostenere che l'idea dell'ardito fosse stata una creazione del capitano Cristoforo Baseggio che nell'ottobre 1915 venne posto al comando di una unità denominata "Compagnia volontari esploratori", che operava in Valsugana. Questa circostanza venne a più riprese e veementemente contestata dai vertici dell'associazione arditi e dai maggiori memorialisti. [3]. L'unità contava 13 ufficiali e 400 soldati di truppa scelti su base volontaria e provenienti da vari reparti del settore della 15a Divisione. Il reparto fu completamente distrutto nell'attacco al Monte Osvaldo nell'aprile del 1916.
Nel 1916 il comando supremo decise di premiare con la qualifica di militare ardito chi si fosse distinto per decisione e coraggio, con l'espresso divieto di creare unità speciali[4]. Il distintivo, da portarsi al braccio sinistro, era il monogramma reale VE, ed era pensato esclusivamente come premio e come indicazione del soldato da portare ad esempio. Questa fu tuttavia la genesi nell'immaginario del vocabolo "Ardito".
Nel 1917 a seguito di proposte e studi da parte di giovani ufficiali stanchi della stasi e dell'inutile massacro della vita di trincea, si arrivò alla sperimentazione di un'unità appositamente costituita presso la 48a Divisione dell'VIII Corpo d'armata, comandata dal capitano Giuseppe Bassi, autore di una innovativa nota sull'impiego delle pistole mitragliatrici Fiat 15 /OVP - Officine Villar Perosa.[5] Va fatto presente che già nel marzo 1917 il Comando Supremo aveva inviato una circolare informativa circa la costituzione presso l'esercito austroungarico di unità speciali.[6]
A seguito di valutazione positiva si decise di istituzionalizzare la nascita della nuova specialità [7], ma dissidi sull'equipaggiamento e sull'addestramento fecero slittare l'inizio dell'attività al 29 luglio 1917, quando lo stesso re Vittorio Emanuele sancì la nascita dei reparti d'assalto. I neonati reparti d'assalto si svilupparono quindi come corpo a sé stante, con una propria divisa ed un addestramento differenziato e superiore a quello dei normali soldati, da impiegarsi a livello di compagnia o di intero battaglione. L'esercito tedesco, mediamente molto meglio addestrato, fu però il primo ad adottare il concetto di truppa di elite con le Stoss Truppen e poi con le Sturmtruppen. La sede della scuola d'addestramento venne fissata a Sdricca di Manzano (Udine) ed il comando affidato allo stesso maggiore Bassi. In seguito alla scuola di Sdricca (e alle altre create all'uopo) vennero brevettati anche gli arditi reggimentali (niente a che vedere con i "militari arditi" del 1916), la cui istituzione fu poi ufficializzata nel 1918 con apposita circolare.[8]
[modifica] Addestramento
I soldati, di preferenza arruolati su base volontaria, ma col progredire del numero dei reparti designati dai propri comandi, dopo un accertamento dell'idoneità militare mediante prove di forza, destrezza e sangue freddo, venivano addestrati all'uso delle armi in dotazione, alle tattiche innovative di assalto, alla lotta corpo a corpo con o senza armi, il tutto supportato da una continua preparazione atletica.
In particolare venivano impartite lezioni per il lancio delle bombe a mano, per il tiro col fucile, per l'utilizzo del lanciafiamme e della mitragliatrice. L'elevato addestramento, lo spirito di corpo e lo sprezzo del pericolo fecero degli arditi il corpo più temuto dagli eserciti avversari, ma crearono anche un clima di diffidenza e di invidia da parte di ufficiali appartenenti ad altri reparti. I militari di truppa, invece, portavano nei loro riguardi stima e rispetto, per la capacità di risolvere sul campo di battaglia situazioni tatticamente impossibili per i reparti di linea.
[modifica] Uniforme
L'uniforme che gli arditi adottarono era costituita da una giubba da bersagliere ciclista con fiamme nere sul bavero per i provenienti dalla fanteria, verdi per i provenienti dagli alpini, rosse per i provenienti dai bersaglieri, poi maglione verde scuro o nero, fez da bersagliere e pantaloni da alpino.
Molti degli elementi distintivi degli arditi furono in seguito ripresi dalle prime formazioni fasciste, tipicamente il teschio con il pugnale tra i denti, ma anche dalle formazioni degli Arditi del Popolo (teschio ma con pugnale ed occhi rossi) e da varie squadre di difesa antifascista, come la camicia nera col teschio in filo d'argento sul fianco utilizzato dalle squadre comuniste romane. Lo stesso saluto «A noi!» fu poi usato dagli Arditi del Popolo (col saluto a pugno chiuso) e come tale compare in molti loro inni; Mussolini in seguito bandì questo saluto, in quanto ricordava troppo la vena libertaria-anarchica di cui era permeato l'arditismo dopo l'impresa di Fiume (giudicandolo «troppo ugualitario») e lo sostituì con un «Al duce!» assai più consono al regime dittatoriale.
[modifica] Equipaggiamento
L'equipaggiamento tipico degli arditi era costituito dal pugnale per la lotta corpo a corpo e dalle bombe a mano. Queste ultime venivano utilizzate più per creare panico e confusione che non per il loro effetto dirompente (petardo Thevenot, adatto all'attacco in quanto non dotato di grande potenza, ma molto rumoroso e quindi provocatore di timore negli avversari). Altre armi utilizzate furono le mitragliatrici e i lanciafiamme.
Nel Museo del Risorgimento di Torino, nella sala dedicata alla resistenza sono conservati un pugnale ed un petardo appartenenti agli Arditi del Popolo.
[modifica] Impiego
I primi reparti vennero creati nella 2a Armata, e al momento di Caporetto risultavano costituiti 27 reparti, anche se quelli effettivamente impiegabili in combattimento furono molti di meno. I primi sei reparti della 2a Armata combatterono la battaglia di Udine e protessero la ritirata sui ponti di Vidor e della Priula, rimanendo le ultime unità a passare il Piave.
Nell'inverno del 1917 vennero sciolti, ricostituiti e riaddestrati arrivando a 22 reparti operativi, per diventare al maggio 1918 di nuovo 27 (più un reparto di marcia per ogni armata), assegnati ai corpi d'armata. Nel giugno del 1918 venne costituita una Divisione d'assalto con nove reparti al comando del Maggiore Generale Ottavio Zoppi, divenuta poi Corpo d'armata d'assalto con dodici reparti su due divisioni. Al Corpo d'armata d'assalto vennero assegnati anche sei battaglioni bersaglieri e due battaglioni bersaglieri ciclisti, nonché supporti tattici e logistici adeguati. I reparti prelevati dai corpi d'armata per costituire le divisioni vennero ricostituiti tanto che a fine guerra si contavano i dodici reparti d'assalto (più due di marcia) inquadrati nel Corpo d'armata d'assalto, e venticinque reparti indipendenti assegnati alle armate[9]
Gli arditi furono tra gli artefici dello sfondamento della linea del Piave che permise nel novembre del 1918 la vittoria finale sugli eserciti austroungarici.
Poco dopo il termine della guerra, nel Gennaio del 1920, tutti i reparti furono sciolti per motivi di riorganizzazione e di politica interna al regio esercito.
[modifica] Gli arditi e il fascismo
Nel dopoguerra gli arditi si riunirono nell'Associazione Arditi d'Italia, fondata dal capitano Mario Carli, lo stesso che, dopo l'assalto di un gruppo di arditi alla Casa del lavoro di Milano, scrisse assieme a Marinetti il noto articolo Arditi non gendarmi, negando il connubio instaurato nel primo dopoguerra fra arditi e fascismo.
Un gran numero di arditi aderì al movimento fascista, anche se l'adesione non fu unanime, né maggioritaria, ed il rapporto con il fascismo non fu sempre lineare, tanto che in anni successivi si arrivò, nella fasi politiche più convulse e controverse, all'espulsione degli iscritti al fascio dalle associazioni degli Arditi d'Italia.
Gli arditi parteciparono attivamente all'impresa fiumana guidati da Gabriele d'Annunzio che proclamarono loro comandante. Durante l'impresa di Fiume furono scoperte dai legionari forme di altissima democrazia libertaria, vista anche la presenza di frange della sinistra rivoluzionaria; la stessa impresa di Fiume fu fortemente appoggiata da Lenin, che vedeva in d'Annunzio un possibile capo rivoluzionario per la masse oppresse. In quel momento d'Annunzio, per motivi anche egocentrici, seguiva molto le indicazioni di De Ambris, sindacalista rivoluzionario. Questo fu il "brodo di coltura" in cui si formarono gli "Arditi del Popolo". Si vuol ricordare che contrariamente a quel che la storiografia fascista asserisce, a distruggere la "Libera Repubblica di Fiume" fu l'esercito italiano coadiuvato da un nucleo di squadristi fascisti (il "Natale di Sangue").
[modifica] Gli Arditi del Popolo
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Per approfondire, vedi la voce Arditi del Popolo. |
La sezione romana dell'associazione Arditi d'Italia dette vita, in contrapposizione al forte ma non ancora consolidato movimento dello squadrismo fascista, agli Arditi del Popolo con connotazioni nettamente antifasciste. Nacquero nell'estate del 1921 per opera di Argo Secondari, pluridecorato tenente delle "Fiamme nere" (arditi che provenivano dalla fanteria) di tendenza anarchica. La consistenza certa di queste formazioni di difesa antifascista fu di 20.000 uomini iscritti, con una minoranza di Arditi d'Italia che ne fu nerbo ispiratore, come gli ex reduci di guerra che erano su posizioni neutrali o nettamente antifasciste. Una stima non eccessiva fa portare a 50.000 uomini fra iscritti, simpatizzanti e partecipanti alle azioni.
L'evento forse di maggior risonanza fu la difesa di Parma dallo squadrismo fascista nel 1922: la messa in fuga di oltre 20.000 squadristi fascisti, prima al comando di Roberto Farinacci, poi di Italo Balbo da parte di 350 Arditi del Popolo comandati dai pluridecorati reduci Antonio Cieri e Guido Picelli (che morirono poi nella guerra civile spagnola).
In seguito i capi degli Arditi del Popolo furono incarcerati o massacrati dagli squadristi fascisti spesso con la connivenza degli organi di polizia.
[modifica] Voci correlate
- Caimani del Piave
- Ercole_Miani
- Arditi del Popolo
- Carta del Carnaro
- Antonio Cieri
- Guido Picelli
- Filippo Corridoni
- Argo Secondari
- Alberto Acquacalda
- Vincenzo Baldazzi
- Alceste De Ambris
- Armando Vezzelli
- Gaetano Perillo
- Lorenzo Parodi
- Storia del movimento partigiano a Genova
- Strade di Genova intitolate a partigiani ed antifascisti
- Fatti di Sarzana
[modifica] Note
- ↑ Regolamento di esercizi per la fanteria, approvato il 30 giugno 1914.
- ↑ Circolare Comando Supremo: n. 496 di P.RS. del 16 giugno 1915. Oggetto: Attacco di posizioni rafforzate
- ↑ S. Farina. Le Truppe d'Assalto Italiane.
- ↑ Circolare Comando Supremo n. 15810 del 15 luglio 1916. Oggetto: Norme per la concessione del distintivo per militari arditi
- ↑ Costituzione ed impiego delle sezioni pistole mitragliatrici. Dal capitano Bassi (comandante III/150 Fanteria) al generale Giardino, comandante 48a Div., 8 novembre 1916
- ↑ Circolare Comando Supremo n. 6230 del 14 marzo 1917, da CS (UAVS) a C.di Armata e Zona Gorizia (fino a C.di Brigata). Oggetto: Riparti d’Assalto
- ↑ Circolare Comando Supremo n. 111660 del 26 giugno 1917, da CS a C.di 1a, 2a, 3a ,4a, 6a Armata. Oggetto: Riparti d’assalto
- ↑ Circolare Comando Supremo n. 17000 del 26 giugno 1918. Oggetto: Arditi Reggimentali
- ↑ A.L. Pirocchi e V. Vuksic. Italian Arditi. Elite Assault Troops 1917-1920. Oxford, Osprey, 2004.