Economia dell'impero romano
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L'economia dell'impero romano era basata essenzialmente sulle conquiste militari: infatti con la loro conclusione (198 d.C., conquista di Ctesifonte, capitale dell'impero partico), l'impero entra in un periodo di grave crisi.
L'intera economia dell'impero si reggeva sull'afflusso di derrate, non solo alimentari, dalle varie province dell'impero stesso, verso la capitale Roma, che rimase sempre, però solo città dei consumi, salvo le fasi ultimissime di lavorazione.
Si raccolsero nell’Urbe decine di migliaia di antichi contadini combattenti che le guerre successive avevano privato della terra, ma che combattendo avevano confermato i propri diritti politici, tanto da essere in grado di vendere i propri voti in cambio, come predica l’antico adagio di “panem et circenses”.
Al tempo del proprio splendore Roma giunse ad importare 3,5 milioni di quintali di frumento, per l’epoca quantità astronomica. Si potrebbe sostenere che tutta l’organizzazione politica dell’impero fu modulata sulla duplice esigenza di rifornire di frumento la capitale e le legioni di stanza ai confini. L'immensa quantità del frumento importato da Roma proveniva da una pluralità di province, Sicilia, Sardegna, province asiatiche e africane, ma il perno dell'approvvigionamento era costituito dall'Egitto, che soddisfaceva oltre metà del fabbisogno. Il decadimento dell'economia imperiale è parallelo alla progressiva decadenza dell'agricoltura, che perde la capacità di rifornire i mercati. Il dissolversi del tessuto agrario si verifica secondo le cause che ha identificato, con straordinaria lucidità, al momento del massimo splendore imperiale, il maggiore agronomo latino, Lucio Giunio Columella .[1].
Altra questione che determinò a lungo andare un decadimento economico fu l'importazione di prodotti di lusso dall'oriente. Per quanto non paragonabile con i concetti moderni, ci fu un costante legame di importazione tramite carovaniere o il commercio marittimo, con le regioni orientali esterne all'impero in particolare con l'India e la penisola Arabica, da dove arrivavano incenso e profumi. per contro non c'erano praticamente prodotti da dare in contropartita, per cui l'acquisto veniva regolato con monete, soprattutto d'argento. Monete romane sono state trovate anche in regioni molto lontane. Questa continua fuoriuscita del metallo prezioso determinava una rarefazione all'interno dell'impero con l'inizio di una spirale perversa di un peggioramento del fino nel conio, e corrispondentemente l'inflazione, maldestri tentativi di imporre calmieri, il più celebre quello di Diocleziano sempre elusi dalla speculazione.
Quando Costantino trasformò Bisanzio in una nuova capitale, Roma cessò di essere il centro economico dell'impero. La nuova Roma, chiamata a giusto titolo Costantinopoli, fu dal punto di vista economico, molto più vivace della prima. Non solo luogo del consumo, ma autentica capitale dei traffici e delle produzioni, mantenne questo ruolo, sia pure tra infinite vicessitudini, per un periodo di 1.000 anni, fino alla caduta per mano turca nel 1453, in periodo quindi molto più lungo dello splendore economico e politico di Roma.
[modifica] Nota
- ↑ Antonio Saltini, Storia delle scienze agrarie, vol. I Dalle origini al Rinascimento, Bologna 1984, pp. 47-59.