Empireo
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Secondo la teologia cattolica medievale, il cielo Empireo era il più alto dei cieli, luogo della presenza fisica di Dio, dove risiedevano gli angeli e le anime accolte in Paradiso.
L'Empireo si inquadra nell'ambito del sistema geocentrico, che fino alla pubblicazione delle teorie di Copernico (1543) era unanimemente accettato da tutti gli studiosi. Secondo il modello di Tolomeo, la Terra era al centro dell'universo, circondata da otto sfere concentriche (i cieli): in ciascuna delle prime sette aveva sede un pianeta (nell'ordine, contando dall'interno verso l'esterno: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno), mentre nell'ottava si collocavano le stelle.
I teologi medievali, ispirandosi alla dottrina di Aristotele, introdussero un nono cielo, il Primum mobile, che non conteneva alcun astro visibile, ma originava e alimentava il movimento degli altri otto cieli; questa visione era rafforzata dal fatto che il numero nove era considerato "perfetto" in quanto espressione della trinità di Dio (9 = 3x3).
L'Empireo stava ancora al di sopra di questi nove cieli, e non era limitato in dimensione né costituito da materia, come si credeva fossero gli altri cieli: era piuttosto un luogo spirituale, fuori dal tempo e dallo spazio, e mentre i nove cieli erano in perpetuo movimento, come una sorta di orologio cosmico che scandiva il trascorrere delle epoche, l'Empireo era eternamente immobile.
La più celebre descrizione dell'Empireo è quella data da Dante nella Divina Commedia: dopo l'attraversamento dei nove cieli, che occupa i primi 29 canti (su 33) del Paradiso, il poeta immagina di salire in questo cielo, che Beatrice così gli descrive:
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«Noi siamo usciti fore
del maggior corpo al ciel ch'è pura luce: luce intellettüal, piena d'amore; di paradiso, e l'una in quelli aspetti che tu vedrai a l'ultima giustizia.» |
(Par. XXX, 38-45)
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Dante prosegue quindi a descrivere ciò che egli trova nell'Empireo: le tribune su cui siedono i beati, ognuno nel posto a lui destinato, a forma di anfiteatro che il poeta paragona ad una "candida rosa"; le gerarchie degli angeli, che egli raffigura disposti su nove cerchi concentrici, ad immagine dei nove cieli; e al centro di questi nove cerchi, un punto luminosissimo, che è Dio, la cui visione (in cui Dante arriva a scorgere i misteri della Trinità e dell'Incarnazione) costituisce l'oggetto del canto conclusivo del poema.