Discussione:Giovanni Pascoli
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Inserito temporaneamente testo scorporato da Letteratura italiana in attesa di sistemazione. Sbisolo 18:13, Apr 6, 2004 (UTC)
Giovanni Pascoli (1855 – 1912)
Giovanni Pascoli ,dell’amministratore di una tenuta dei principi Torlonia, a San Mauro di Romagna. . Nel 1867, però, il padre fu assassinato. Tale tragedia segnò indelebilmente la vita del poeta. Poco dopo morirono la madre ed una sorella. Inoltre la morte del padre aveva creato seri problemi economici alla famiglia. Nonostante le notevoli difficoltà , Pascoli conseguì la maturità classica e si iscrisse alla facoltà di lettere a Bologna, dove ebbe come docente il Carducci. Durante il periodo universitario aderì alle idee socialiste e fu arrestato come agitatore politico. Quando tornò in libertà riprese gli studi, grazie ad una borsa di studio procuratagli dal Carducci e si laureò. Per alcuni anni insegnò in vari licei, poi fu docente all’università a Pisa , dove in un famoso discorso inaugurale, enunciò la famosa poetica del fanciullino. Nel frattempo Pascoli cercò di ricostruire la famiglia distrutta, insieme alle sorelle Ida e Mariù. Dopo il matrimonio di Ida, Giovanni e Mariù rinunciarono ad ogni occasione di sposarsi. Nel 1906, il pascoli successe al Carducci sulla cattedra di letteratura italiana a Bologna, morì nel 1912.
Il fu poeta sia in italiano sia in latino e vinse numerosi premi di poesia latina. La sua prima raccolta di poesie, in italiano, è Myricae, in seguito commentò la Divina Commedia, ed elaborò la poetica del fanciullino e compose i Canti di Castelvecchio , in seguito scrisse i Primi Poemetti che rievocano la giovinezza del poeta. Nei Poemi Conviviali il poeta rievoca i miti dell’antichità negli ultimi anni di vita pubblicò Pensieri e Discorsi e Odi ed Inni, poesie le glorie storiche, ed infine i nuovi poemetti. La morte gli impedì di terminare i Poemi Italici, le Canzoni di re Enzio ed i Poemi del Risorgimento.
Poetica di Pascoli.
Nella prolusione tenuta nel 1903, all’università di Pisa, Pascoli enunciò la sua visione dell’età antica, vista come un mondo primitivo, in cui il poeta contempla la realtà con gli occhi attoniti di un fanciullo. Il fanciullo ha la capacità di percepire il lirismo di ciò che lo circonda, poiché non ha ancora conosciuto le delusioni ed i disinganni della vita. Il bambino non ha ancora perso la capacità di stupirsi e non ritiene ovvie le cose.
Egli proietta all’esterno il proprio mondo interiore, senza tema di essere deriso, l’adulto, invece, ha perso la capacità di percepire l’intimo linguaggio delle cose o, comunque, è restio a manifestare tali sensazioni, giudicandole puerili. Il poeta è colui che nel cuore è rimasto fanciullo ed ha conservato la capacità di commuoversi ed esaltarsi per le cose quotidiane. Per il Pascoli il fanciullino rappresenta dunque la capacità di percepire il mondo e la realtà in veste poetica. L’adulto, deluso dalla vita, ha perso la possibilità di percepire l’essenza delle cose, di stupirsi, di entusiasmarsi ed è divenuto prosaico, seppure ha conservato qualche moto d’ingenuità, se ne vergogna. L’artista, sia egli poeta, pittore, musicista, scultore etc., conserva la capacità del fanciullo di penetrare l’essenza delle cose, di avvertirla intimamente e di farne partecipi gli altri, senza remora alcuna, perché possano ritrovare in se stessi gli echi dell’infanzia, quando il confine tra modo di percepire le cose e poesia, tra realtà e sogno, è estremamente labile. La poetica del Pascoli si cristallizza nella metafora del fanciullino, che vuole richiamare alla capacità emotiva elementare insita nell’uomo, permanente ed incorrotta nel poeta, e che la poesia stessa ha facoltà di risvegliare negli uomini. Tale personificazione limita alquanto l’evolversi di un’intuizione poetica che avrebbe potuto essere vertiginosa: il capovolgimento del criterio poetico, capace di rendere l’oggetto della poesia indipendente dal poeta (NB.- la poesia da soggettiva diviene oggettiva, quindi, da voce del poeta, diviene voce delle cose). Il fanciullo forgia il nome delle cose, modellandolo sull’essenza intrinseca che egli percepisce, basandosi più sulle similitudini che su reali somiglianze (legame analogico). Pascoli, dunque, ravvisa nel poeta un medium, che ha la capacità di percepire la poesia insita nel creato e di renderla palese a coloro che non posseggono tale facoltà. Pascoli reagì alle calamità famigliari e superò la crisi esistenziale che aveva minacciato di travolgerlo, ricostruendo con le sorelle, soprattutto con Maria, il focolare distrutto. Il mito del nido, della famiglia come estremo rifugio dal male del mondo, nasce in Pascoli dal trauma subito in seguito all’assassinio del padre ed alla conseguente disgregazione della famiglia. I superstiti legami famigliari, rappresentati dalle sorelle, soprattutto Mariù, con la quale, dopo il matrimonio di Ida, trascorse il resto della vita, diventano la fortezza in cui il poeta si chiude, contro il mondo, le sue tentazioni, le sue minacce. La famiglia – nido racchiude uno spazio che offre sicurezza e protezione, è un ritorno all’infanzia, quando la casa racchiudeva il mondo intero. Nella famiglia Pascoli trova quegli affetti sicuri che lo proteggono da eventuali esperienze amorose ed un baluardo contro il fascino dell’infinito che lo attrae e lo respinge. La famiglia fu per il poeta porto sicuro e misura del mondo. Pascoli avvertì l’incombere del male e dell’ingiustizia sull’esistenza e cercò rifugio dai crucci che gli venivano dal mondo esterno, negli affetti domestici. Da tale microcosmo Pascoli uscì solo con l’immaginazione, concependo una poesia indipendente dal poeta stesso, voce della natura, delle cose, delle creature, ma anche mondo poetico che trascende ed include il poeta stesso. Anche le posizioni politiche di Pascoli, superficiali e contraddittorie, trovano una spiegazione nel simbolo del nido, infatti l’adesione al socialismo è intesa più come solidarietà tra gli uomini che come lotta di classe, mentre l’apparentemente incongrua adesione al programma coloniale in Libia diviene comprensibile se alla famiglia nido si sostituisce la patria – nido. Una patria vista come nazione proletaria, che deve mandare i suoi figli a cercare lavoro nei paesi capitalisti. In tale ottica diviene logico un allargamento coloniale della patria – nido, perché possa offrire sicurezza ai suoi figli. Nella stessa ottica del nido si inserisce il rifiuto pascoliano della storia e della scienza, infatti , il Pascoli rifiuta il mondo contemporaneo, infatti la scienza non ha saputo guarire i mali dell’uomo. Il poeta sente che il dolore è congenito nella vita dell’uomo e può trovare sollievo solo nella rassicurante vicinanza delle cose quotidiane. Il poeta medita quindi su quella realtà che è al di là dell’apparenza, assumendo l’atteggiamento tipico del decadentismo che cerca l’ignoto, il mistero, il simbolo. Come simbolisti e decadentisti cercavano la fuga dalla realtà nell’esotismo, nel piacere, nella raffinatezza formale, il Pascoli trova scampo nell’intimo ripiegamento del proprio io.
Una mescolanza di attrazione e di timore anima il Pascoli di fronte al problema della conoscenza: l’infinito e l’inconoscibile lo attraggono come una possibile via di fuga e nello stesso tempo atterriscono l’uomo semplice che il poeta riconosce in sé.[ NB.- dove Leopardi trova angoscia e tedio, Pascoli incontra pace e conforto, e dove Leopardi cerca la fuga ed il rimedio al mal esistenziale, Pascoli coglie il panico dell’infinito e dell’ignoto] Tale limitazione, invece che essere riduttiva, apre la via alle felici intuizioni pascoliane che portano al centro della poesia le creature, umane e non, che prima ne erano il semplice oggetto. In tali momenti l’individualità del poeta ed il suo giudizio si perdono, cessano il pianto e la leziosità, conferendo dignità a persone e cose prima neglette dalla poesia illustre. Pascoli, nell’intento di privare il poeta della sua soggettività usa un linguaggio essenzialmente affettivo, a volte imitativo, dalla sintassi lineare, caratterizzato da riprese iterative e, tenta di creare autonomia alle cose liberandole, anche sintatticamente, dalla subordinazione (sintassi paratattica di modello latino.) Pascoli per ciò che riguarda i temi, il lessico, i modi, tenta di acquisire la prosa alla poesia, tentando nuove vie, come è proprio dei grandi. Egli parla delle cose semplici che affettivamente costituiscono il suo mondo ma non gli sfugge il significato innovatore delle sue scelte sia tematiche, sia linguistiche ed espressive, annullando, però nel suo intrinseco umanesimo, ogni vera rottura col passato: la sua prosa trapassa istintivamente al lirismo; le immagini classiche si stemprano nel fascino del mito, poiché manca una volontà di giudizio accentratrice, attuando così un'alternanza di solenne e di famigliare, di grande e di minuto. Nella poesia pascoliana compare un carattere rapsodico (accoglie temi popolari), spontaneo e semplice, nel quale sono presenti temi e rappresentazioni del dolore che risultano avulsi dal contesto temporale, trattati con il patetico anonimato (atteggiamento tipico del rapsode) della poesia popolare dei bardi (l’associazione di natura e morte è tipica della georgica pascoliana). Nei brevi componimenti che costituiscono il vertice dell’arte pascoliana il tono rapsodico è riassorbito dal nitore delle immagini, dal potere evocativo dei suoni e dallo stesso significato lessicale delle parole. Le impressioni paesaggistiche si differenziano da quelle ottocentesche perché sono avulse da ogni preciso riferimento spazio - temporale e, solo eccezionalmente, si avverte la coscienza del poeta (novembre: gemmea l’aria). Tali versi sono insieme l’immagine di un momento e l’espressione di un’eterna ciclicità. La stessa puntualizzazione del tempo, che talvolta Pascoli persegue, non fa che designare un attimo che sottolinea la continuità del tempo stesso. La realtà è spesso risolta nella fantasia: Pascoli non ode suoni, non vede cose, bensì percepisce echi e fantasmi. L’elegia famigliare va ad inscriversi nell’universalità del mondo, il dolore è sentito come insito nella vita dell’uomo e può trovare sollievo nella rassicurante vicinanza delle cose quotidiane. Ciclicità rapsodica ed impressione esistenziale, quando coincidono, lasciano emergere l’individualità del poeta, del suo sapiente anonimato. NB.- sarebbe però ingenuo credere che il Pascoli sia davvero votato alle piccole cose, in realtà si tratta di una interpretazione sognante, musicale, leggendaria della vita, nella quale le piccole cose rientrano non meno delle più grandi e le richiamano (nessi analogici) e nella quale si inseriscono i richiami alla vicenda personale. NB.- Pascoli spezza la struttura tradizionale del componimento poetico isolando i singoli frammenti lirici, esprimendo impressioni e trasalimenti con novità metriche e ritmiche [tentativo di metrica neoclassica basata sul rispetto prosodico di lunghe e brevi, sostituendo alle lunghe le sillabe accentate ] che fanno della parola una vera e propria immagine – suono. La creazione poetica non avviene per sintesi di elementi, bensì per giustapposizione (vicino \ lontano in “nebbia”), di concetti, di immagini, di suoni, di sensazioni. Figure e cose diventano simboli, sensazioni sfumate, ambigue e falsamente semplici, parole rare sono inserite spesso come puro suono, immagini apertamente ingenue, ma decadentisticamente preziose, è l’ingenuità raffinata e complicata tipica di Pascoli. Compaiono le onomatopee e le melodie riprese dalla tradizione e mediate dalla poesia (lavandare). Il linguaggio tradizionale ha la funzione di legame col passato. Dai temi consueti (natura, mistero, dolore, tragedia, rievocazione autobiografica, amaro pessimismo esistenziale, presagi di morte), emerge, in “digitale purpurea” (primi poemetti 1904), un apporto inedito: Pascoli lascia intravedere una nuova dimensione della vicenda umana, più oscura ed insidiosa, nella quale può decidersi il destino in un attimo che è, contemporaneamente, dentro e fuori del tempo (la fanciulla che aspira il profumo della digitale attinge la consapevolezza del peccato).Si tratta di uno dei momenti di maggior accostamento del Pascoli al Decadentismo mistico - erotico: il mistero qui è occulto fascino del peccato, il dolore è sensazione torbida ed assaporata, il lirismo diviene forzatura sentimentale. L’indeterminatezza delle sensazioni arcane fa sì che il gusto decadente prevalga sulla libera fantasia, preludendo quasi ai Crepuscolari nell’indulgere alle sensazioni arcane ed alla rievocazione. Nella poesia pascoliana la quotidianità della materia rievoca la ritmicità e la ciclicità del tempo; la pietas pascoliana tenta invano di escludere dal suo mondo, noto e rassicurante, ciò che di misterioso ed inconoscibile racchiude il mondo esterno. Da tale mistero il poeta è spaventato ed attratto. Il macrocosmo resta silenzioso ed arcano, avviluppando il microcosmo: nel mondo vi sono mistero e dolore, ma la vita semplice e familiare e la contemplazione della natura possono recare pace all’uomo. Con l’accentuarsi della poetica decadente (reazione al realismo ed al naturalismo, predilige le problematiche ed i temi connessi alla vita interiore, presentati mediante immagini simboliche, astratte, preziose) la sintassi è caratterizzata da tagli netti e si fa più sensibile quell’atmosfera simbolistica ed analogica che ha pi ispirato i poeti del ‘900, dai Crepuscolari a Montale. In tali liriche il dato naturale e sensitivo non è contemplato e descritto, bensì resta soltanto allusivo: è questo il punto d’arrivo del Pascoli decadente. Emergono vizi e virtù della poesia pascoliana: ricerca innovativa, un’innegabile leziosaggine, l’uso, a volte eccessivo, dell’onomatopea, la leggiadria, a tratti stucchevole, di certi ritmi, le compiacenze lessicali popolareggianti, un certo manierismo, l’ipersensibilità, l’acuta percezione delle cose. Il mondo emotivo del Pascoli da simbolico diviene reale, assumendo una propria concretezza, nella quale il poeta trova rifugio in un ristretto orizzonte spazio- temporale (al contrario di Leopardi: raffronto Nebbia – Infinito). Il dramma del 10 agosto 1867, s’è impresso indelebilmente nell’animo del poeta, ed ora, tutto ciò che è estraneo, inconoscibile, si traduce in un’oscura minaccia, ed il poeta si affaccia sul mondo col brivido di chi si sporge sull’abisso.. Quando la “poetica del fanciullino” cessa di essere metafora e diviene una personificazione, è a tratti invadente, poiché se da un lato permette alle cose di primeggiare, dall’altro induce Pascoli ad edulcorare la sua poesia, fino a renderla leziosa, sminuendone la forza. Tuttavia l’esplorazione lessicale resta illimitata, nella consapevolezza che l’inversione poetica, portando le cose al centro dell’azione, comporta la creazione di nuovi ritmi e di nuove metriche, conformi al piano infantile sul quale deve svolgersi la poesia per essere voce delle cose. Pascoli introducendo l’immagine del poeta, inteso come spirito semplice, che si cala tra le cose e le creature più umili, restituisce loro la parola, ma per fare ciò ha bisogno di quella figura mediante che è il fanciullino. Le liriche migliori sono però quelle dove la querula voce della figura mediante tace e si alza netta, priva di mediazioni, la voce delle cose. Quando la soggettività del poeta si limita ad ascoltare, resta la melodia più autentica, come commozione trascendente le parole, ed il linguaggio pascoliano s'innalza, superando la propria natura imitativa. Alla percezione dell’infinito nel finito si deve un’altra innovazione del Pascoli: il poema colloquiale, dove, dal consueto delle frasi, si arguisce l’evento fatale. Con i “Canti Conviviali” il Pascoli cede alla suggestione classicista delle “odi barbare”, ma, mentre il Carducci conserva la coscienza e la capacità di discriminazione tra sogno e realtà, Pascoli si abbandona alla fantasticheria, dove l’eroe ha funzione prevalentemente allegorica, è un predestinato, quasi sempre prossimo alla morte, che obbedisce ad occulte istanze che gli giungono dall’infinito. Eroe, per Pascoli è colui che è spinto da una propria necessità interiore a sfidare il mistero dell’infinito. Pascoli si accosta agli antichi scrittori greci e spesso riprende il linguaggio omerico (il tessitor d’inganni, la nave nera etc.) ed il materiale mitico, spesso sottilmente alterato, converge sull’inconoscibile e sul mistero del destino umano. NB.- Pascoli, mediante la forma impersonale e rapsodica, sembra voler suggerire l’esistenza di un canto preesistente, che descrive la ciclica, faticosa, vicenda umana. Tale canto egli raccoglie, come hanno fatto molti altri prima di lui e come faranno coloro che, dopo di lui, a loro volta lo continueranno. Tipico è l’inizio di strofa con la falsa copula “… E sul lor capo…”che lascia supporre la ripresa di un discorso preesistente. Pascoli dà solennità epica ai poveri eventi quotidiani, e conferisce una patina di quotidianità a quelli eroici, onde ricreare la “naturalità “ dell’esistenza, che per il Pascoli è, inscindibilmente, mito e realtà, macro e micro cosmo. La materia mitica giunge da grande distanza nel passato ed è filtrata attraverso il linguaggio pascoliano, che ne raccoglie il mondo poetico ed il linguaggio lungamente sperimentato, però, rinnovandoli nella sua geniale vocalità e nella novità tecnica e stilistica di una lingua volutamente disueta, quasi irreale e colma di suggestioni, nella quale la figura mediante non è più il fanciullino, bensì l’aedo. Le sollecitazioni politiche furono assai generiche nel Pascoli a causa della sua astoricità e si riassunsero in un innocente eroismo umanitario, in una pietas (= devozione ai più elevati valori della tradizione) capace di conciliare ed affratellare gli uomini. Nella stessa ottica del nido si inserisce il rifiuto pascoliano della storia e della scienza, infatti , il Pascoli rifiuta il mondo contemporaneo, infatti la scienza non ha saputo guarire i mali dell’uomo. Pascoli sente che il dolore è congenito nella vita dell’uomo e può trovare sollievo solo nella rassicurante vicinanza delle cose quotidiane. Il poeta medita quindi su quella realtà che è di là dell’apparenza, assumendo l’atteggiamento tipico del decadentismo che cerca l’ignoto, il mistero, il simbolo. Come simbolisti e decadentisti cercavano la fuga dalla realtà nell’esotismo, nel piacer, nella raffinatezza formale, il Pascoli trova scampo nell’intimo ripiegamento del proprio io.Quando deve passare dalle cose umili da svelare, alle pubbliche da commentare, Pascoli, grazie alle sue doti stilistiche e ritmiche, riesce a creare un sicuro effetto esteriore, ma, specialmente nell’inno, che per sua natura è alieno dall’animo pascoliano ed assai lontano dall’idillio che al poeta è tanto congeniale, il poeta cade in una retorica che gli è completamente estranea, mentre la mancanza di un credo politico gli impedisce di creare un’autentica poesia civile. Per Pascoli la comprensione del mondo non è storica, bensì allegorica, poiché nel poeta il simbolismo è innato, inscindibile dal suo spirito poetico, istintivo più che frutto di volontà deduttiva (com’è invece nei moderni). Nello stesso modo, come si è detto, Pascoli è, a tratti, spontaneamente decadente, in quanto la sua non è una consapevole scelta di temi e di modi, bensì uno spontaneo sentire la continuità di ciò che è vivente. Ciò che v’è di affabile o di solenne, di immediato o di manieristico nel linguaggio pascoliano ha origine nel latino di Catullo, di Orazio, di Virgilio. Il latino è per il poeta una lingua viva, intima, duttile, da ritrovare e da sviluppare nell’italiano. Nei Carmina il latino è trattato col gusto del parlato, in una completa sospensione della storicità ed ha la stessa espressività dell’italiano, tanto da divenire occasione di innovazione. Infatti, tra i grandi meriti del Pascoli vi è quello di aver reso l’italiano un lingua moderna e duttile ed i tale scioltezza, che viene dal latino, gli è debitrice tutta la poesia posteriore. Pascoli nel latino trova suggerimenti, simboli, modelli: egli è un rivoluzionario nella tradizione ed a causa della tradizione. Nel Pascoli la poesia latina è espressione genuina e spontanea, frutto di un doppio versante linguistico e non mero genere letterario o ricerca estetica, come ne ha prodotta il decadentismo. La poesia latina pascoliana non è né antica né moderna, bensì unicamente una delle parti di quel poema eterno intrapreso dal Pascoli e troncato solo dalla morte. Pascoli, nelle sue prose (prolusione del 1903 - prefazioni), afferma la sua idea di poesia, intesa come intima predisposizione ed intuizione di una poesia eterna ed immanente nella natura, che deve essere riscoperta con il candore del fanciullo. Una poesia onnipresente impersonale, planetaria, astorica ed atemporale, della quale il poeta sarebbe solo un medium ,se con la sua arte non la ampliasse e la arricchisse.
[modifica] Nuova biografia
Mia donazione, dal mio sito [1]. Chiedo ai curatori del progetto letteratura di valutare la congruenza tra la mia proposta sulla biografia di P. e la proposta di Sbisolo sulla Poetica pascoliana, per vedere se possono comparire assieme. Grazie. Ermetis 09:21, Mar 8, 2005 (UTC)
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- Ermetis, ho letto attentamente la tua nuova biografia che vedo hai già inserito in Wikipedia e l'ho confrontata con quella del tuo sito (dove ho constatato che era infatti il tuo regalo), poi ho letto la parte di Sbisolo estrapolata da un articolo che ha una lunga storia. Non ti preoccupare per la parte di Sbisolo, perché in realtà non è sua e inoltre non è stata mai ripresa e pertanto figura solo come parte salvata in discussione. Per esperienza fatta su quell'articolo, ti consiglio di "dimenticare" la parte che è stata inserita in discussione da Sbisolo perché non ne verresti fuori e di lasciare la tua versione che, maggiormente wikificata, può stare benissimo. Non fare l'errore di integrare alla tua versione la versione che hai visto. Meglio come hai fatto tu, se poi ci regali anche il Myricae che ho visto sul tuo sito andiamo a gonfie vele!
In realtà la tua biografia è una BIOGRAFIA e POETICA integrata. Vedi tu come far risaltare meglio la Biografia e la Poetica. L'articolo che è nella pagina Discussione lo rivedremo e può anche essere che se ne possa salvare delle parti. Ma, dal momento che è stato fermo tanto tempo, ci può stare ancora! Buon lavoro. Ci fai sapere a lavoro ultimato, metti il WIP in alto e chiedi solo se hai bisogno di aiuto tecnico.--Paola 22:14, Mar 8, 2005 (UTC) Riporto questa discussione al Caffè letterario.
[modifica] Decesso e inumazione
Dalla Enciclopedia italiana si ricavano le seguenti informazioni:
- Muore il 6 aprile 1912 a Bologna
- Si apre una disputa tra Bologna, San Mauro e Castelvecchio per le sue spoglie
- Viene inumato provvisoriamente a Barga
- Viene seppellito a Castelvecchio il 12 ottobre 1912
é TUTTO FALSO. VERGOGNA
siete tutti stupidi