Utente:Ligabo/Sandbox
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- - Tra la moto ed il cavallo è sempre esistita una palese analogia, nascente dal simile modo di guidare i due "veicoli" e che costituisce il vero fascino di questo mezzo meccanico. Per la maggior parte dei motociclisti in erba di un tempo (e per molti degli odierni) la potenza della moto era direttamente proporzionale alla sua capacità di impennarsi, ovvero di sollevare la ruota anteriore alla partenza. - Prendeva così vigore, sul finire degli anni '60, la leggenda della Kawasaki Mach. Una moto che si vagheggiava capace di accelerazioni brucianti e velocità supersoniche, dotata di un'indomabile potenza che costringeva il pilota a dosare il gas per non "impennare" anche in seconda marcia. - Se numerosissimi erano i fans della Mach, come in ogni passione italiana che si rispetti, non mancarono folte schiere di detrattori. Tra questi, i sedicenti "motociclisti veri", quelli svezzati sulle moto inglesi ed italiane del dopoguerra, che avevano appioppato un feroce nomignolo alla Mach: "Kassa da morto". Sostenevano che la reale difficoltà di guida del mezzo non dipendeva dalla strabiliante potenza del motore, ma dall'incapacità dei giapponesi di costruire telai. Un giudizio estremamente duro e in linea con l'altezzoso disprezzo in cui si rifugiarono le grandi case costruttrici del vecchio continente di fronte alla concorrenza nipponica; un atteggiamento di superiorità e distacco aristocratico che contribuì non poco alla catastrofe dell'industria motociclistica europea. - In verità, durante prove comparative per moto di serie effetuate sulla pista dell'autodromo di Monza nel 1972 dalla rivista "Motociclismo" (bibbia di tutti i centauri), la "tranquilla" Guzzi 750 V7 Sport otteneva lo strabiliante tempo sul giro di 2'02"47, mentre la "terribile" Kawasaki 750 H2 Mach IV fermava i cronometri sul mediocre risultato di 2'14"33. Dodici secondi al giro erano la prova inappellabile della sostanziale inferiorità di prestazioni della moto nipponica rispetto alle più accreditate concorrenti, eppure l'ormai generale leggenda del "Kawa-botte di dinamite" ne uscì senza danni. - Nel criticare il telaio della giapponese, i "duri e puri" del motociclismo nostrano avevano individuato con precisione i difetti tecnici del "Kawa", ma mai avrebbero immaginato che le deficienze telaistiche non fossero dovute ad errori costruttivi od alla scarsa qualità dei materiali. - Ancora oggi, pochi conoscono la vera storia della Kawasaki Mach. La moto venne costruita, sul finire degli anni '60, dietro precise indicazioni della filiale americana, la "Kawasaki Motor Corporation" di Los Angeles, che pretendeva una moto potente, estremamente leggera e, soprattutto, propensa alle impennate durante le brucianti partenze ai semafori cittadini: più che una moto, un fenomeno da circo. - A quei tempi il mercato USA era il più ricco e prestigioso e molte aziende avrebbero fatto carte false pur di conquistarlo. Fu così che Mr. Takahasaki, responsabile del progetto "Mach" ed attualmente gran capo del gruppo Kawasaki, provvide ad accontentare le stravaganti richieste americane, costruendo una moto con un rapporto potenza-ciclistica piuttosto sbilanciato e con il motore molto arretrato rispetto alla posizione corretta. Ciò determinava un assurdo disequilibrio dei pesi, un eccessivo alleggerimento dello sterzo e l'inevitabile instabilità del mezzo. - Probabilmente, nessuna casa europea dell'epoca avrebbe messo in gioco il proprio austero prestigio nel costruire una moto volutamente sbagliata, ma i nipponici avevano già capito che l'immagine era destinata a sostituire la sostanza, nel nuovo mondo dei consumi. Infatti, il nuovo modello ebbe un grande successo negli USA e in Europa. - I "fortunati" possessori delle Kawasaki Mach avevano l'impressione di cavalcare una belva indomabile, che si impennava ad ogni colpo di acceleratore e li faceva apparire come temerari avventurieri, pronti a giocarsi la pelle per inseguire il miraggio della velocità. Il vecchio mito dell'eroe solitario, ottenuto mescolando Cervantes e Marinetti, preconfezionato in catena di montaggio ed attivabile con un mezzo giro della chiave d'accensione. Una leggenda "pret-a-porter" alla modica cifra di L.1.270.000 franco concessionario, ige e trasporto compresi. - Il pericolo ha esercitato un'essenziale e terribile attrazione sui giovani di ogni epoca, ma se fosse trapelato che quella pericolosità motociclistica era frutto di una cinica pianificazione marketing, forse la leggenda del "Kawa" non sarebbe nata.