Utente:Maximianus/Prova4
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Qui trovate l'articolo. Potete modificarlo cliccando su "modifica".
Indice |
[modifica] Premessa
La scarsità di informazioni a mia disposizione e il fatto che le stesse spesso si contraddicano a vicenda, mi ha portato a fare delle scelte personali che vanno dalla cronologia degli eventi, alla loro descrizione, alle mappe, alle considerazioni finali. La stessa scarsità di fonti, che rende l’articolo parziale, lo rende anche originale e unico. Spero quindi che sarà una lettura piacevole, anche se ogni punto dell’articolo non è altro che una delle tante ipotesi che gli storici hanno formulato.
[modifica] Introduzione generale
I territori che gli arabi chiamano “Mashreq” e che noi occidentali preferiamo definire come medio oriente, costituivano la parte più ricca e civilizzata del mondo romano. Le città erano le più popolose e le più ricche, l’agricoltura era la più produttiva e anche la filosofia e le altre scienze trovavano le sedi ideali, per le loro accademie, in questa zona. Durante il primo secolo dell’era cristiana, Roma aveva spinto i propri confini fino all’Eufrate, fagocitando gran parte dei piccoli e ricchissimi regni ellenistici che vi avevano spadroneggiato fino a quel momento. Così che all’inizio del secolo successivo, l’area era contesa soltanto tra due grandi imperi, Roma e la Parthia. A dividerli erano presenti solo piccoli stati, satelliti una volta del primo, un’altra del secondo. Il più importante di questi era il regno d’Armenia, per il controllo del quale i due imperi si erano già scontrati in passato più volte. Per mantenere la pace era stato firmato, fin dal 63 d.C., un accordo bivalente, in quanto ognuno dei contraenti ne sottolineava la propria convenienza. Il re della regione sarebbe stato scelto dai Parti e sarebbe stato incoronato dai Romani. Grazie a questo non ci sarebbe stato bisogno di posizionare truppe a ridosso dell’Armenia per evitare un attacco. Tenendo presenti le dimensioni dell’area, che ingloba territori di diversi stati moderni (Turchia, Armenia, Azerbaigian, Iran, Iraq e Siria), si capisce il perché fosse necessario salvaguardare anche solo poche centinaia di chilometri di confine, dalla possibilità di attacchi di grossa entità.
[modifica] Cronologia
- 109 (o 110) - morte di Pacoro III, nemico dei Romani, alleato dei Daci
- 110 (o 111) - Osroe (o Cosroe) nomina Re d’Armenia Partamasiri
- 113 - 27 ottobre, Traiano parte da Roma
- 114 - conquista Armenia, forse la Mesopotamia settentrionale
- 115 - conquista dell’Adiabene e Mesopotamia centrale
- 116 - inizio, presa di Ctesifonte, resa di Characene
- fine, scoppio rivolte
- 117 - inizio, offensiva dei Parti
- fine, morte di Traiano, Adriano abbandona i territori ad est dell’Eufrate
[modifica] Il clima nelle rispettive corti
L'accordo raggiunto, nonostante tutto, non rendeva giustizia a nessuno dei due grandi imperi e alle rispettive spinte imperialistiche.
La volontà di Traiano di risolvere la questione partica con le armi è segnalata dalle due guerre precedenti: quella contro i daci, il cui re aveva mantenuto contatti con Osroe, re dei Parti, e quella contro i Nabatei per risistemare le frontiere in oriente prima della grande avanzata.
In Parthia invece era in corso, fin dalla morte di Pacoro III, una guerra civile tra Osroe, che controllava la parte occidentale dell'impero, e Vologese II, che controllava quella orientale. La situazione di profonda debolezza spinse entrambi i contendenti ad eliminare in vario modo chiunque creasse problemi alla loro ascesa; forse per questo quindi Parthamasiri, anch'egli figlio di Pacoro III, quindi potenziale rivale, fu sostituito ad Axidares, come re d'Armenia, per allontanarlo dalla corte di Ctesifonte.
[modifica] Operazioni Militari
Traiano lasciò Roma nell’Ottobre del 113 d.C. con un piccolo seguito, fece tappa ad Atene, dove ricevette e respinse un’ambasceria dei Parti senza neanche accettarne i doni, e raggiunse Antiochia il 7 gennaio dell’anno successivo. In primavera partì alla volta dell’Armenia passando per Zeugma, Samosata, Melitene e la base di Satala, dove confluirono truppe di rinforzo provenienti da Cappadocia, Galazia e Danubio. Dopo aver ricevuto queste unità, Traiano poteva contare su di un esercito di 80.000 uomini: 30.000 ausiliari e 50.000 legionari di 9 legioni (molto probabilmente la III Gallica, IV Scythica, VI Ferrata, X Fretensis, XII Fulminata, XVI Flavia, XXII Deiotarana, III Cyrenaica e la II Traiana)e diverse vexillationes. Ma a Satala, Traiano, convocò anche i sovrani degli Stati clienti stanziati nell’area intorno al Mar Nero, e vennero a riconfermare la loro alleanza gli Eniochi, gli Iberi, i Colchidi, i Bosforani e i Sauromati; ma non arrivò Pathamasiri, e questo indispose l’imperatore, che non diede credito alla giustificazione addotta da questi, ovvero la guerra civile col fratello spodestato da Osroe.
A questo punto, con l’esercito completo, Traiano penetrò in Armenia e si stabilì per qualche tempo nella città di Elegeia. Qui, sia pure in ritardo, gli si presentò Parthamasiri; al quale, tuttavia, l’atteggiamento di supplice non servì a riottenere il trono. Traiano proclamò infatti l’annessione dell’Armenia; e il principe arsacide, condotto via sotto scorta, morì durante il viaggio in circostanze non chiare, forse su ordine di Traiano stesso. La conquista e pacificazione dell'Armenia veniva quindi completata entro la fine della stagione di campagna, apparentemente senza molte ostilità, dato che la maggior parte dei capi locali preferì sottomettersi spontaneamente. I Mardii ad est del Lago Van, rimasti ostili, vennero invece soggiogati da una colonna comandata da Lusio Quieto, un brillante ufficiale di cavalleria di origine Mora. Siccome non era ancora finita la stagione di guerra, Traiano con il suo stato maggiore, decise di attaccare la Mesopotamia settentrionale e lo stato alleato dei Parti di Adiabene. Si decise per un azione congiunta da nord e da ovest: mentre Lusio Quieto guidava l’invasione della Gordiane (regione montuosa dell’Adiabene, forse regno autonomo (?)), Traiano stesso, da ovest, attaccava la Mesopotamia Settentrionale. Furono prese velocemente Nisibi, Batnae, Singara e Thebeta. Finita la prima stagione di campagna Traiano svernò ad Antiochia (o ad Edessa, capitale dello stato cliente dell'Osroene) e nominò L. Catilio Severo governatore dell'Armenia.
La seconda stagione di guerra iniziò con un attaccò al regno di Adiabene, poiché il controllo di questa regione, era indispensabile per proteggere i nuovi possedimenti della Mesopotamia Settentrionale da un’eventuale controffensiva Partica; inoltre un Adiabene libera, avrebbe rallentato le operazioni romane nel Tigri. Traiano disponeva di un gran numero di imbarcazioni, fabbricate nei dintorni di Nisibi, che furono trasportate su carri fino alla zona di operazione (che era priva di legname per fabbricare le barche). I soldati, con queste barche, finsero di sbarcare in più punti del fiume, coperti dal fuoco amico di arcieri e di macchine da guerre, sistemate in altre imbarcazioni alle loro spalle. Di fronte ad un’operazione di tale grandezza e complessità, non appena i ponti furono gettati, la resistenza nemica crollò. Il tragitto seguito, a questo punto, dall’esercito romano fu lo stesso di Alessandro Magno, conquistando Ninive, Gaugamela e Arbela. In seguito a questa vittoria Traiano creò la nuova provincia dell’Assiria, che comprendeva Adiabene, Gordiene e la regione del Kirkuk. Il re dell’Adiabene, Mebarsape, che a differenza del re di Osroene, Abgar, aveva preferito l’alleanza dei Parti fu catturato, e probabilmente eliminato.
Una volta assicuratosi il fianco, Traiano divise l’esercito in due gruppi, uno operante sul Tigri, l’altro operante sull’Eufrate. L’esercito del Tigri doveva proteggere i nuovi territori da una possibile offensiva partica, mentre l’esercito dell’Eufrate guidato dallo stesso imperatore si diresse verso sud. Una flottiglia di imbarcazioni fu usata dai Romani per trasportare rifornimenti e attrezzature ma questo fu possibile solo sull’Eufrate perché il Tigri, fino a luglio, non era navigabile. Raggiunto questo obbiettivo le operazioni si fermarono per l’inverno.
La stagione successiva, le armate romane, usando la flotta conquistarono, senza troppe difficoltà, le città di Seleucia, Babilonia e Ctesifonte, la capitale dei regno dei Parti, dalla quale presero il trono d’oro degli imperatori. Osroe fuggì negli altopiani iranici e tutta la zona a sud di Ctesifonte, fino al golfo persico, compreso il regno di Characene, si arresero a Traiano senza combattere.
La conquista di tutti questi territori, comunque, non fu troppo impegnativa, vista la condizione di guerra civile, che esisteva in Parthia e in Armenia. Ma nonostante le condizioni di partenza favorevoli ai Romani, appena raggiunto il Golfo Persico, scoppiò una rivolta di grandi dimensioni nei territori appena conquistati e nella parte orientale dell’Impero, dove si trovavano forti comunità giudaiche. Traiano fu costretto a ritornare sui suoi passi e a marciare a tappe forzate verso nord. Tutte le città in rivolta tranne Hatra furono riconquistate, ma la rivolta aveva raggiunto dimensioni tali, che lo stesso Traiano dovette avere dubbi sulla possibilità di mantenere le tre province di Assiria, Armenia e Mesopotamia. Come se non bastasse anche i Parti lanciarono una controffensiva su grande scala, che puntava a tagliare le vie di rifornimento e ad attaccare piccoli nuclei Romani con una schiacciante superiorità numerica. Senza dilungarci troppo dirò che i Parti riconquistarono i territori persi, l’Armenia ritornò ad essere un regno conteso dai due popoli, gli ebrei furono sterminati e i Romani dopo l’improvvisa morte di Traiano per idropisia, mentre faceva ritorno in Italia, elessero imperatore Adriano, che preferì abbandonare definitivamente i territori oltre l’Eufrate.
[modifica] La rivolta giudaica e quella partica
Dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme ad opera di Tito nel 70 d.C., molti giudei rivoltosi erano migrati verso antiche zone di insediamento della diaspora d'occidente come Alessandria e Cirene. Qui avevano portato il messaggio della liberazione dall'oppressione romana e i loro discorsi avevano trovato terreno fertile di propaganda nei livelli inferiori della società mentre la borghesia locale era rimasta fedele a Roma. Si erano venute creando due linee di comportamento nei confronti del nemico comune, la prima, quella sostenuta dalla maggioranza dei rabbi, accettava, pur senza entusiasmo, la dominazione straniera come fase transitoria in attesa dell'avvento dell'era messianica, questa posizione è esemplificata in un ammonimento del rabbi Eliezer (Mekilta Vajassa 5) che indicava come via del successo il rispetto della legge, la seconda riteneva che la distruzione del tempio rappresentasse il momento culminante precedente alla guerra di liberazione, posizione espressa chiaramente nel “Quarto Libro di Esdra”, dove un’aquila, dominatrice del mondo, brucia per volontà divina; si tratta chiaramente di un’allusione all’impero romano.
Gli animi erano andati, col passare del tempo, sempre più riscaldandosi e vi erano stati diversi episodi isolati di rivolta. Dopo la conquista della Nabatea, Traiano, aveva fatto costruire e fortificare una strada, che porta il suo nome, che migliorava i collegamenti tra la Siria e il Mar Rosso. L’importanza di questa via non era solo economica, ma anche strategica e militare poiché permetteva un più facile e veloce dispiegamento di forze in Palestina, sede principale di tutte le precedenti agitazioni ebraiche. L’attenzione però, fu concentrata soltanto verso il nucleo centrale della nazione giudaica e non verso le sedi distaccate della diaspora. I vari imperatori succedutisi verso la fine del primo secolo e all’inizio del secondo, avevano sottovalutato le forze di questi ristretti nuclei, forse pensando che al massimo, avrebbero potuto dare origine a piccole rivolte separate l’una dall’altra; invece, quella scoppiata nel 115, divampata dapprima in Cirenaica e poi estesasi all’Egitto e a Cipro, era una rivoluzione di grandi dimensioni, che impegnò non poco le truppe romane.
Le prime a sollevarsi furono le grandi città (Cirene, Teucheira, Tolemaide e Berenice), dalle quali la rivolta si espanse poi alle campagne. I rivoltosi distrussero prima la strada che collegava Cirene al suo porto, Apollonia, per rallentare le truppe romane nel caso fossero sbarcate, poi si diede a distruggere gli edifici del potere e i templi pagani. Successivamente si spinsero più ad oriente, in Egitto dove nel frattempo erano insorti anche i giudei stanziati in quelle terre, qui però la rivolta partì dalle campagne e non dalla città, che non furono espugnate. La capitale, nonostante i tentativi degli ebrei, si salvò grazie all’intervento della popolazione greca; la caduta di questa città avrebbe dato ai rivoltosi, la possibilità di usufruire della flotta per spostarsi in Palestina e inoltre impedire i rifornimenti di grano per l’Italia e Roma. Per salvare gli abitanti di Menfi sembra che il governatore romano dell’Egitto, Marco Rutilio Lupo, abbia inviato in quella città, la legione XXII Deiotariana. A Cipro i ribelli distrussero Salamina e ne sterminarono gli abitanti.
La reazione romana fu terribile, in Egitto la guerra continuò fino al 117, guidata dal generale di Traiano Quinto Marco Turbone, che riuscì a riportare la pace solo dopo molti scontri. A Cipro invece fu inviata da legione VII Claudia. Per evitare ulteriori problemi, fu inviato in Palestina, Lusio Quieto, benché proprio qui i giudei siano stati relativamente tranquilli. In tutte le aree coinvolte fu impedito ai giudei stanziarsi di nuovo fino al terzo secolo. Dione Cassio parla di duecentoventimila morti e si dilunga nella descrizione delle crudeltà compiute, riproponendo il tema dell’antropofagia giudaica.
Se la rivolta scoppiò proprio in questo momento non è un caso, le truppe di stanza nelle province orientali erano state molto ridotte per la guerra in Parthia e inoltre sembra che il terremoto del 115, abbattutosi nelle province di Siria, Asia, Galazia e Grecia, sia stato interpretato come un chiaro segno della volontà divina di abbattere l’impero romano. D’altronde lo stesso imperatore Traiano era rimasto leggermente ferito ad Antiochia e secondo un vaticinio contenuto negli “oracoli sibillini” giudaici, questa città sarebbe dovuta crollare proprio prima dell’avvento del messia. Tutta questa serie di “coincidenze” spinsero e facilitarono i giudei nella loro rivolta.
Altro focolaio di rivolta guideo, ma questa volta anche partico, era quello scoppiato in Mesopotamia verso la fine del 116.
[modifica] Ragioni Sconfitta
Il discorso sulla disfatta di Traiano in Parthia ci impone di riflettere sotto diversi punti di vista e formulando diverse ipotesi al riguardo.
Sia strategicamente che tatticamente si possono segnalare due parti della guerra. La prima è quella segnata dalla rapida conquista romana dell’Armenia, dell’Adiabene e della Mesopotamia. La seconda è quella delle rivolte scoppiate nei territori appena conquistati, della risposta partica e delle sommosse giudaiche nei territori orientali dell’impero romano.
L’esercito che Traiano porta in Parthia era di circa 80.000 uomini, di cui 50.000 legionari di 10 legioni diverse (XII Fulminata, XVI Flavia dalla Cappadocia; II Traiana, III Gallica, IV Scythica dalla Siria; X Fretensis dalla Giudea; VI Ferrata dall'Arabia; III Cyrenaica dall'Egitto; XV Apollinaris dal Danubio) e vexillationes di diverse legioni del Danubio (I Adiutrix, I Italica, VII Claudia, XXX Ulpia e altre due legioni della Mesia inferiore, probabilmente la V Macedonica e la V Alaudae) e 30.000 ausiliari di vario tipo.
Già da questi pochi dati si nota subito la sproporzione della fanteria rispetto alla cavalleria, caratteristica comune un po’ a tutti gli eserciti romani fino al basso impero. Una sproporzione che aumenta ancora se si considera che Traiano aveva eliminato da ogni legione la cavalleria (i 120 cavalieri comandati probabilmente da un tribuno in carica per sei mesi). A questo va aggiunto che è molto improbabile che i 30.000 ausiliari fossero solo truppe di cavalleria. Vi erano sicuramente molti arcieri e frombolieri ma anche altra fanteria.
Quindi il contingente ausiliario di cavalleria era molto probabilmente, nettamente inferiore alle 30.000 unità. Si trattava per lo più di cavalleria leggera araba (proveniente dalla neoprovincia Natatea) e berbera (dalle Mauritanie), alla quale si aggiunse (solo dopo il 114 d.C.) qualche contingente reclutato in Armenia, probabilmente di cavalleria pesante; non mi sentirei comunque di escludere truppe sarmatiche, reclutate dopo la guerra in Dacia.
In ogni caso, l’esercito che Traiano porto con se, era formato da un forte contingente di fanteria pesante, mentre l’esercito che si andava ad affrontare era quasi esclusivamente di cavalleria.
Un esercito mobile, quello dei Parti, contro un esercito statico, quello dei Romani.
Eppure tatticamente, nella prima parte della guerra, i Romani era praticamente imbattibili. Se è vero che i Romani si presentarono nel 114 d.C., davanti all’Armenia con un deficit di cavalleria, è pur sempre vero che questo era solamente numerico e non qualitativo. Sarebbe poi riduttivo mostrate l’esercito romano soltanto come un blocco di fanteria.
Un esercito di 80.000 uomini era già numericamente fortissimo, forse troppo, talmente forte e grande da risultare incontrollabile in battaglia visti gli scarsi mezzi di comunicazione tra un settore e l’altro del fronte. Forse è per questo, oltre che per ragioni strategiche, che andrò a spiegare più avanti, che fu diviso in due tronconi più o meno uguali di 40.000 uomini.
In ogni caso l’esercito romano era abbastanza vario, non era più quello di Crasso. Il ruolo centrale era sempre detenuto dalla fanteria pesante delle legioni ma ai lati della stessa era presente una buona cavalleria e davanti a tutti arcieri, frombolieri e macchine d’artiglieria che erano in grado di colpire ancora più distante degli arcieri parti.
I Parti invece erano rimasti legati alla vecchia tattica delle due cavalleria che si alternavano all’attacco. Prima gli arcieri che bersagliando la fanteria, la costringevano ad allargare i ranghi, poi con la cavalleria pesante, che poteva facilmente avere la meglio contro una fanteria disorganizzata.
Questa tattica però non era più attuabile contro il nuovo esercito romano. Il primo motivo, già detto, era perché i Romani avevano arruolato un gran numero di ottime truppe da tiro come i frombolieri delle Baleari o gli arcieri cretesi e siriani. Il secondo risiedeva nelle difese dei legionari che si presentavano modificate rispetto al primo secolo a.C., buona parte erano armati, non tutti per dire il vero, con un nuovo tipo di armatura, nota come segmentata, che era più resistente della precedente sugli impatti di frecce. Infine la cavalleria pesante partica, formata da nobili e quindi dall’elite più importante della società, non avrebbe caricato contro una fanteria organizzata e protetta ai lati da altra cavalleria.
A dimostrazione di ciò si può affermare che quando i Parti scesero in una grande battaglia, non durante questa guerra ma quella combattuta un cinquantennio dopo da Lucio Vero, in condizioni pressoché uguali o simili, subirono una grave sconfitta.
[modifica] Bibliografia
- Bennett J. – Trajan: Optimus princeps. A life and times
- Brizzi G. – Il guerriero, l’oplita, il legionario
- Firpo G. – Le rivolte giudaiche
- Frediani A. – I grandi generali di Roma antica
- Garzetti A. – L'impero da Tiberio agli Antonini
- Guey J. – Essai sur la guerre parthique de Trajan (114-117)
- Grant M. – Gli imperatori romani
- Le Bohec Y. – L’esercito romano
- Lepper F. A. – Trajan's Parthian wars
- Longden, R. P. – Notes on the Parthian Campaign of Trajan
- Luttwak E. N. – La grande strategia dell’impero romano
- Neilson C. D. – A Political History of Parthia
- Pucci M. – La rivolta ebraica al tempo di Traiano
- Wiesehofer J. – La Persia antica
- Wells C. M. – L’impero romano