Agonalia
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Agonalia o Agonia è il nome di una festività della religione romana.
Tale festività cade quattro volte l'anno e ogni volta è dedicata ad una divinità diversa: il 9 gennaio a Giano, il 17 marzo a Marte, il 21 maggio a Veiove e l'11 dicembre a Sole Indigete. La celebrazione consistva nel sacrificio di un ariete nero nella Regia da parte del re dei sacrifici e questo ha fatto desumere che si trattasse di una festa molto antica e molto importante, in quanto in origine è probabile che fosse celebrata dallo stesso re di Roma. La tradizione romana attribuiva infatti l'istituzione di tali festività a Numa Pompilio.
[modifica] Etimologia
Già gli antichi ignoravano l'etimologia del nome della festa e facevano varie supposizioni, molte delle quali sono riportate da Ovidio nel I libro dei Fasti[1]:
- il sacerdote che esegue il sacrificio chiede sempre il consenso al suo gesto dicendo agone? ("posso agire?")
- gli animali per il sacrificio non vengono docilmente ma sono spinti con la forza (agantur)
- anticamente si chiamava Agnalia, senza una lettera
- la vittima trema vedendo il coltello del sacrificio e "terrore" in greco si dice agoonía
- nei tempi antichi in questa data si facevano dei giochi (in lingua greca Agoni)
- nei tempi antichi il bestiame si chiamava agònia
Altre etimologie sono state proposte da Festo:
- Dal nome delle vittime, che si chiamavano agoniae, dal verbo agere "fare, spingere, condurre.
- Dal nome del gioco agonium, così detto perché il luogo dove si teneva non aveva angoli (a-gonion in greco).
- Si è pensato anche che il nome di Agonius indicasse il dio che presiedeva alle cose da fare, e che la sua festa si chiamasse Agonalia.
- Dal nome dei colli, che un tempo si sarebbero chiamati agones, da cui agonia sacrificia per indicare i sacrifici che si tenevano sulla cima di essi; secondo festo, infatti, a Roma il monte Quirinale si chiamava Agonus e la porta Collina Agonensis.
Comunque molte di queste etimologie sembrano ruotare intorno al verbo latino ago, "agisco".
[modifica] Note
- ↑ Ovidio, Fasti, I, 319-332