Armida Miserere
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Armida Miserere (Casacalenda, prov. di Campobasso, 1956 - Sulmona, 19 aprile 2003).
Armida Miserere fu una delle prime donne direttrici di carcere. Laureata in criminologia, figlia di militare, abituata a dare valore alla disciplina, consapevole della difficoltà e della solitudine che comportava un lavoro da "prima linea", iniziò la sua carriera a 28 anni nel carcere di Parma, e per vent'anni (gli anni difficili della mafia, del terrorismo, della P2), ricoprì l'incarico di direttore in vari carceri d'Italia: Voghera, luogo di detenzione delle terroriste "irriducibili", Pianosa in mezzo a boss mafiosi, l'Ucciardone a Palermo, poi Torino, Ascoli Piceno, Spoleto, Lodi, San Vittore a Milano, e infine Sulmona.
Era una donna impegnata con serietà nel suo lavoro, tanto da essere spesso chiamata a risolvere situazioni in carceri difficili (v. ad es. alla Vallette di Torino dopo la fuga del detenuto condannato all'ergastolo Vincenzo Curcio); ma per la sua concezione intransigente del carcere si era fatta una fama da dura, tanto da essere soprannominata "la femmina bestia" (all'Ucciardone), o "il colonnello". In un'intervista rilasciata al settimanale "Io donna" nel novembre 1997 aveva chiarito le sue idee circa il ruolo del carcere, che deve sì recuperare il detenuto restituendolo poi "cambiato" alla società, ma deve comunque "essere un carcere e non un grand hotel". Nella stessa intervista, attirandosi molte critiche, aveva definito "boiate" i trattamenti risocializzanti, anche se in anni successivi aveva attenuato questo giudizio negativo, tanto da aver sostenuto percorsi di rieducazione come alcune edizioni di "IngressoLibero", in collaborazione con Sulmona Cinema, e corsi scolastici da effettuare in carcere anche per i detenuti di alta sicurezza.
Il 19 aprile 2003 Armida Miserere, questa donna dura, discussa, che incuteva timore ma anche rispetto e che godeva dell'amicizia di magistrati come Giancarlo Caselli e Alfonso Sabella, si uccideva con un colpo di pistola alla testa nella sua abitazione annessa al carcere di Sulmona. Accanto a lei solo il suo cane e sul letto la foto del suo compagno Umberto Mormile, educatore carcerario, ucciso in un agguato di camorra nel 1990 a Milano. Questo lutto l'aveva segnata per sempre, anche perchè associato alla rabbia e all'angoscia di non aver potuto per tanti anni avere giustizia, pur avendo fin dall'inizio comunicato i suoi sospetti poi rivelatisi veritieri. I responsabili della morte di Umberto Mormile furono individuati solo 11 anni dopo, nel 2001, in relazione a un maxiprocesso contro ndrangheta e camorra a Milano, e il rinvio a giudizio alla Prima Corte d'Assise era stato fissato per il maggio 2003. Ma Armida si era già uccisa.
La storia di Armida Miserere ha ispirato un libro alla giornalista di La Repubblica Cristina Zagaria: Miserere. Vita e morte di Armida Miserere, servitrice dello Stato, Dario Flaccovio Editore, Palermo 2006.