Carnevale di Ivrea
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[modifica] Due secoli di storia e leggenda
Il motivo principale dei festeggiamenti dello Storico Carnevale di Ivrea è costituito da fatti storici rigorosamente accertati e accaduti nel XII secolo che l'animo degli Eporediesi ha ravvivato ed abbellito con leggende particolari da quasi duecento anni. A differenza però degli altri Carnevali, quello di Ivrea viene definito più precisamente un autentico Carosello storico, sia per lo sfarzo, sia per la varietà dei costumi, sia per le cerimonie rigidamente regolate da protocolli antichissimi.
Correva l'anno 1180 circa e Federico I Barbarossa, persa l'alleanza con il marchese di Ivrea Umberto III di Savoia, insediò nella Città il fedele Raineri di Biandrate, sovrapponendolo al Vescovo e al Comune. Raineri, preso possesso del Castello di San Maurizio (il Castellazzo) si dette a perseguitare avversari politici, sottrasse al Vescovo i suoi tradizionali poteri e infierì sul popolo con tasse pesanti. Assai redditizia era quella sul moleggio o "molinara", tratta dai numerosi mulini natanti sul fiume Dora Baltea. Altra tassa era quella pagata dai vassalli in ossequio alle norme dello "jus maritagii", per ottenere dal signore il consenso alle nozze. Si dice che addirittura si arrivasse a trasformare la riscossione della tassa nell'esercizio dello "jus primae noctis". Le violenze e i soprusi di Raineri esasperarono il popolo, il quale nel 1194 insorse e distrusse il Castellazzo. Il maniero rinacque per opera di Guglielmo Marchese di Monferrato, entrato a tradimento in Ivrea nel 1266, ma il suo dominio fu breve perché per la seconda volta il popolo prese le armi e rase al suolo il castello nel 1292.
Nella tradizione popolare, il conte Raineri di Biandrate e il marchese Guglielmo di Monferrrato sfumano in una figura unica. Ne esce fuori il tiranno, l'oppressore del popolo che, invaghitosi di Violetta (o Marietta) la graziosa e virtuosa figlia di un mugnaio, pretese di godere su di lei il "diritto della prima notte". L'eroina, presentatasi remissiva e ossequiente, nottetempo trasse di sotto la veste un pugnale e con quello spiccò la testa del tiranno. Mostratala il mattino seguente al popolo radunato sotto gli spalti del Castellazzo, fu il segnale della rivolta, che doveva portare alla distruzione del maniero.
Il ricordo di queste gesta e della vittoria del popolo sull'oppressore si tramandò spontaneamente, assumendo aspetti diversi a seconda delle epoche. Sino al 1808 ognuno dei cinque rioni della Città celebrava il suo Carnevale, finché Napoleone riunificò i festeggiamenti, affidandone l'organizzazione ad un "generale", che ebbe il privilegio di indossare la divisa dell'esercito napoleonico. Nel 1858 fece il suo ingresso tra i personaggi del Carnevale la "Mugnaia", ovvero l'eroina del Castellazzo, che non va confusa con la reginetta degli altri carnevali, ma che è la personificazione ben più nobile della santità del focolare domestico e della Libertà conquistata dagli avi dopo lunga e dura servitù. È dello stesso anno la "Canzone del Carnevale", una marcia solenne e coinvolgente, che la banda cittadina suona ripetutamente durante le sfilate del Corteo.
Il Carnevale di Ivrea comincia la mattina dell'Epifania quando Pifferi e Tamburi, marciando per le vie della Città, annunciano con le note allegre della "Diana" che il Carnevale è arrivato. Sono i primi berretti rossi a mostrarsi, scintille di un grande fuoco che cova sotto la cenere da un anno e che sta per esplodere. Durante i giorni del Carnevale Storico anche la popolazione e la gente venuta da fuori saranno invitate a indossare il "berretto frigio" simbolo di libertà, che trova nella storia (v. Rivoluzione francese) e nella leggenda la sua motivazione.
La fase più conosciuta ed eccitante del Carnevale inizia il pomeriggio del giovedì grasso: il Generale con lo Stato Maggiore va a raccogliere gli Abbà e cioè i rappresentanti dei vari rioni della Città. Sono bambini in costume medioevale con uno spadino che porta infilzata in punta un'arancia a testimonianza della decapitazione del tiranno. Il corteo si reca in Municipio dove il generale riceve l'investitura ufficiale dal Sindaco come comandante supremo della città. Quindi il corteo si reca in visita al Vescovo, a riconoscimento del leale appoggio che la Curia diede al Comune nella lotta contro il feroce Raineri di Biandrate. La sera del sabato grasso viene presentata alla popolazione dal balcone del Municipio la Vezzosa Mugnaia, il cui nome è rimasto segreto sino a quel momento, e fra fuochi d'artificio si svolge una pittoresca fiaccolata per le vie della Città.
La domenica mattina il Generale, con lo Stato Maggiore, prima fa visita alle Autorità militari, poi con la Mugnaia si reca in una delle piazze più vecchie della Città per partecipare alla "Fagiolata Benefica del Castellazzo". Questa simpatica manifestazione rientra anch'essa nella tradizione a ricordo dell'elargizione di fagioli che il tiranno faceva una volta all'anno, il giorno dell'Assunta. Nella stessa mattinata si svolge anche la cerimonia della "Preda in Dora", ovvero il getto nel fiume da parte del Podestà di una pietra scalzata dai ruderi del Castellazzo, accompagnato dalle parole di rito: "Facciamo questo in dispregio al Marchese di Monferrato, né permetteremo mai che qualsivoglia edificio venga costruito ove sorgevano una volta le torri del signor Marchese".
Nel pomeriggio della domenica si snoda per le principali vie della Città il Corteo storico. Precedono gli Alfieri con bandiere, i Pifferi e i tamburi, che riserbano una speciale marcia ad ogni quartiere attraversato, mentre il Generale, Stato Maggiore, Segretario, Vivandiere e Abbà, tutti a cavallo, formano l'avanguardia della Mugnaia. Ella è seduta su un cocchio dorato carico di fiori e scortata ai lati dai paggi, dagli aiutanti di campo del Generale e dagli Armigeri. La Mugnaia risponde ai saluti della folla festante con un lancio di mimose, caramelle e dolciumi. Chiudono il corteo gruppi folcloristici, carri allegorici e infine speciali carri trainati da pariglie o quadriglie di cavalli che per tre giorni danno vita alla famosa "Battaglia delle arance". I lanciatori sui carri sono difesi da pesanti imbottiture e da speciali maschere, i lanciatori a piedi sono invece a viso scoperto e suddivisi in squadre dai nomi variopinti (Asso di picche, Morte, Tuchini, Arduini, Scacchi, Pantere, Diavoli, Mercenari, Credendari) a seconda dei rioni. Anche questa è una manifestazione allegorica che ricorda la lotta dei popolani (aranceri a piedi) contro gli sbirri del tiranno (lanciatori sui carri). Alla fine della giornata il campo di battaglia è coperto da un tappeto di arance sfracellate, non mancano i contusi fra gli aranceri e anche qualche spettatore, senza berretto frigio, si pentirà della sua imprudenza.
La cerimonia dell'abbruciamento dello "scarlo" inizia già il lunedì mattina. Pifferi e tamburi, il Generale e lo Stato Maggiore si recano nella casa dell'ultima sposa dell'anno in ciascuno dei rioni della Città. Gli sposi si uniscono al corteo perché spetta a loro scavare con picca e badile la buca dove il lungo palo ricoperto di erica e ginepro dovrà essere conficcato. Il tutto avviene secondo la tradizione e al grido " a's pianta al pic a l'uso antic". Il pomeriggio del martedì grasso, dopo l'ultima sfilata, avviene in piazza del Municipio la premiazione dei migliori fra i carri allegorici, i carri da getto e i gruppi di aranceri. Scesa la sera gli Abbà danno fuoco agli scarli con i variopinti palloncini di carta, illuminati all'interno, che essi portano a spalla. La fiamma sale in alto e trasfoma l'erica in migliaia di scintille che cadono sui cavalieri che trottano in cerchio. Buon auspicio per l'annata, matrimoni compresi, sarà l'incendio della bandierina tricolore che sventola in punta. All'abbruciamento dello scarlo sito in piazza del Municipio, assiste anche la Mugnaia sul suo carro privo di cavalli, ma con la spada sguainata e puntata verso l'alto finché il fuoco non avrà percorso tutto il suo cammino.
Il Carnevale è ormai finito e così Generale e Ufficiali scendono da cavallo e uno dietro l'altro si avviano verso Piazza Granaglia con passo lento, trascinando le spade sull'acciottolato. Sembra la marcia di un esercito disfatto, i Pìfferi sibilano una nenia che ricorda una marcia funebre e tutti dicono: "Al carlevé l'è mort". Giunti però in piazza Granaglia, dove il corteo si scioglie, la musica cambia, i Pifferi tornano allegri e fischiettano la "generala", la musica del loro Generale. Ci si saluta tutti con uno speciale arrivederci: "arvedze a giobia 'n bot" e cioè al giovedì grasso del prossimo anno per dar vita ad un nuovo Carnevale.
[modifica] Squadre di aranceri
Le squadre di aranceri sono attualmente nove:
- Associazione Aranceri Asso di Picche (1947)
- Aranceri della Morte (1954)
- Associazione Aranceri Scacchi (1964)
- Tuchini del Borghetto (1964)
- Pantera Nera (1966)
- Associazione Aranceri Arduini (1966)
- Associazione "I Diavoli Aranceri" (1973)
- Associazione Aranceri Mercenari (1974)
- Credendari Aranceri (1989)