Discussione:Cultura lesbica
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Espressione e repressione dell’omosessualità femminile dalla Grecia antica ad oggi.
Introduzione – Grecia arcaica – Grecia, alla nascita della polis – L’impero Romano – Cristianesimo e medioevo – Parentesi legislativa – Streghe e demoni eterosessuali – Travestiti, ermafroditi, pseudo-medicina – Teatro, amore platonico, Illuminismo – Capitalismo e femminismo – Nazismo – Contemporaneità – Postfazione – Bibliografia – Note
Introduzione.
Nell’ambito di un insegnamento dedicato allo studio della storia delle donne, è sembrato fondamentale al sottoscritto soffermarsi ad evidenziare le vicissitudini di quella parte del mondo femminile che in diversi modi ha manifestato l’amore verso persone dello stesso sesso. La storia delle donne è costellata di soprusi ed ingiustizie basati su una concezione di presunta superiorità maschile penetrata in ogni ambiente, istituzione e legislazione di ogni società. La figura femminile in quanto tale è sempre stata considerata inferiore a quella maschile secondo l’ideologia della gerarchia sessuale arcaica, ereditata dai principali monoteismi, che la vedeva responsabile di ogni male e indegna di ricoprire ruoli di qualsiasi valenza nella vita pubblica e nelle istituzioni. Pur avendo visto - nel corso dei millenni e nel susseguirsi delle culture alle diverse latitudini del globo - parziali o sostanziali rivalutazioni, la donna è stata privata di quel fondamento di dignità e individualità così presente nelle moderne concezioni derivanti dalle dichiarazioni dei diritti universali dell’individuo, o nelle concezioni contemporanee di ‘persona’. In un universo di sottomissione forzata e organizzata da legislatori impregnati della stessa visione oggi definibile maschilista o ‘maschiocentrica’, è particolarmente interessante notare come si inserisca la realtà delle donne omosessuali. Nella ricerca seguente si analizzano le svariate modalità di approccio verso il problema relative alle diverse situazioni sociali in cui si manifestarono questi amori, soffermandosi sulle possibilità avute nei secoli da parte di questa categoria di individui di esprimere la propria sessualità, e sulle reazioni dei legislatori e dell’opinione pubblica verso tali manifestazioni. Le spesso profonde differenze fra le culture e le tradizioni dei diversi popoli presi in esame, o dei periodi storici analizzati, non determineranno una notevole differenziazione del sottofondo che accompagnò nei millenni il giudizio verso l’omosessualità femminile, sostanzialmente dissonante da quello proposto per quella maschile. Vedremo inoltre con il passare dei secoli un attenuamento della gerarchia dei sessi, e un parallelo attenuarsi dell’occultamento e della repressione degli amori fra donne, seppur intervallato dal tristissimo periodo nazista. Il campo delle ‘trasgressioni’ – così erano chiamati fino a pochi anni fa quelli che oggi sono definiti dalla maggior parte degli specialisti come orientamenti sessuali – è inevitabilmente di difficile verifica storica, in quanto scarsamente documentato e spesso celato al popolo per paura di fomentare scandali; poco ci è dato sapere sulle modalità con le quali le donne vivessero i loro amori; neppure possono essere indicativi sulla loro diffusione i lunghi periodi di assenza dell’argomento dai discorsi ufficiali. Si tenta dunque una ricostruzione estremamente sintetica e sommaria di ciò che potrebbe essere un abbozzo di pensiero e vissuto comune sulla questione, cercando con difficoltà di districarsi fra le fonti e le interpretazioni dei vari storici diversamente predisposti verso l’argomento. Proponendo un percorso basato il più possibile sulla successione cronologica, ed operando una selezione di fatti e documenti più rappresentativi del vissuto lesbico nel corso dei secoli, si è cercato di proporre un’estrema sintesi di quello che è stato un avvicendarsi di normalità, soprusi, incomprensioni, intolleranze, mobilitazioni, repressioni o in una parola, manifestazioni di omosessualità femminile nell’arco di più di due millenni di storia.
La parte relativa alla contemporaneità, ovvero l’ultimo paragrafo, - definibile l’unico meno ‘storico’, in quanto relativamente meno costruito sulle fonti rispetto agli altri – è più basato sull’esperienza personale dell’autore, miscelata a testimonianze o articoli ritrovati sulla rete internet e sui quotidiani. Gli stessi non vengono citati come fonti perché hanno contribuito a formare l’impressione di chi scrive in merito alla manifestazione e repressione dell’omosessualità ai giorni nostri, impressione condensata in pochissime righe, difficilmente riconducibili a singoli articoli o discussioni. Tale decisione è dovuta all’obbiettiva impossibilità di reperire l’abbozzo di un quadro storico neutrale e contemporaneo relativamente ad un argomento così intimo ed intrinseco dell’interiorità delle donne. Piuttosto che riportare i pareri dei pochi giornalisti interessati, o degli attivisti delle varie associazioni a difesa dei diritti degli omosessuali, in entrambi i casi difficilmente obbiettivi, si è scelto arbitrariamente di proporre in conclusione le proprie percezioni personali - per quanto possibile omesse nelle parti precedenti - basandosi comunque su dati di fatto ed avvenimenti facilmente documentabili dai lettori più esigenti.
Grecia arcaica.1
Nel VII e VI secolo a.C. in Grecia esistevano associazioni chiamate Tiasi per le donne e Eterie per gli uomini, parallele e separate, caratterizzate da obiettivi sociali e politici comuni a tutti i partecipanti, oltre che unite da un forte vincolo religioso. Vi erano inoltre i corrispettivi tiasi ed eterie dedicati all’educazione dei giovani, dove la dimensione erotica costituiva un elemento che accompagnava sistematicamente ed istituzionalmente la relazione pedagogica, tanto fra i ragazzi quanto fra le ragazze. La principale attrice dell’erotismo omosessuale femminile nella Grecia arcaica era la poetessa Saffo, apprezzata dal popolo sia per la sua bellezza sia per i notevoli versi. Testimonianze di tolleranza e valorizzazione dell’omoerotismo femminile nella società greca ci pervengono da scritti che raccontano lo svolgimento dei riti religiosi dedicati alle diverse divinità, in cui le partecipanti principali erano appunto le fanciulle dei tiasi e i loro cori. Particolare peso detiene un ampio frammento dei parteni di Alcmane, dedicato a dieci ragazze e alla celebrazione dell’unione esclusiva fra due di esse, reputate le migliori fra tutte; la finalità del componimento, utilizzato per un rito pubblico, conferma la normalità con la quale venivano vissute tali manifestazioni dal popolo greco. Per capire il livello d’importanza di tali frammenti, bisogna specificare il ruolo di un personaggio come Alcmane in questa società: era il poeta ufficiale del governo della polis, depositario e maestro dei valori religiosi, politici e sociali alla base della coesione dei cittadini. I suoi parteni, importanti documenti di poesia corale, gli venivano commissionati dallo stato perché si cantassero nelle più importanti feste cittadine, davanti a tutto il popolo riunito, alla presenza delle massime autorità politiche e dei re. In questo senso non è possibile che il poeta <<potesse celebrare fatti che avevano un valore esclusivamente privato>>2, o che fosse libero di seguire una sua ispirazione personale. Nonostante questi importanti documenti di chiara interpretazione, alcuni storici hanno letto tali manifestazioni come esercizi preliminari degli adolescenti, utili al raggiungimento della vera sessualità, cioè quella eterosessuale. Questa chiave di lettura testimonia un’applicazione dell’ideologia secondo la quale la sessualità della donna esisteva solo in quanto asservita a quella maschile. In questo caso è da evidenziare che non esiste una vera documentata repressione dei comportamenti omosessuali nella Grecia arcaica, ma solo un tentativo da parte degli storici di vedere tali ‘perversioni’ secondo la loro personale mentalità, interpretandoli come, per esempio, una imitazione dell’universo maschile, ovvero esercitando una repressione a posteriori, emblematica della moralità accusatrice delle chiese ortodosse. Alcuni arrivano a definire casuale il fatto che sia proprio l’omoerotismo femminile il più antico esempio - sicuramente documentato in un contesto rituale - di rapporto educativo fra i greci, contro l’assenza di una tale documentazione per la controparte maschile. In pratica noi non sappiamo assolutamente nulla di istituzioni maschili corrispondenti a quelle femminili, ma ne deduciamo l’esistenza da ciò che due importanti personaggi dell’epoca come Alcmane e Saffo, la poetessa, sacerdotessa ed educatrice lesbica per eccellenza, testimoniano per le donne. Uno dei postulati di base a sostegno della tesi secondo cui l’omosessualità femminile fosse solo un momento passeggero e di scarsa importanza nella vita delle adolescenti a Mitilene (sede del tiaso privato di Saffo) è l’ipotesi di numerosi storici secondo i quali queste ‘scuole’ erano finalizzate alla preparazione delle ragazze alla vita matrimoniale, ovvero stati in cui la sessualità era esclusa. Invece è Saffo stessa a definire il suo tiaso come la casa delle ministre delle muse, e le Muse non hanno mai avuto a che fare con i compiti coniugali. Addirittura alle future mogli Saffo insegnava ad ignorare i mariti, a ricordare le parole delle madri e tramandare il loro nome, svergognare i fratelli quando non accondiscendevano alla loro volontà, amare molto le figlie e rivolgersi loro con espressioni comunemente riservate ai figli maschi unici; insegnava a tenere in gran conto l’amore, sia quello per le donne, sia quello per gli uomini, sia quello adultero; nessuna fonte greca parla del tiaso di Saffo come un luogo di preparazione al matrimonio. La repressione dell’omosessualità, tipica dei periodi successivi, è totalmente assente, sostituita da una forte attenzione ai sentimenti, di qualsiasi natura essi siano. L’idea di una preparazione al ruolo di casalinga, che potrebbe pensarsi valida nel popolo ateniese - viste le sue usanze che proponevano una donna univocamente legata al ruolo di madre - diventa un paradosso se applicata al popolo spartano, dove la donna è spesso rappresentata come padrona incontrastata, con un potere sui figli tradotto in diritto di vita e di morte, a fronte di un carico di impegni familiari decisamente ridotto dalla presenza delle nutrici, alle quali affidare la crescita dei neonati. La presenza dei mariti era limitata a fugaci visite notturne fino ai trent’anni, e anche dopo mangiavano alle mensa pubblica e passavano molto tempo con i compagni. Altro elemento che differenzia la figura femminile spartana da quelle successive è legato all’usanza di lasciare all’erede maschio la proprietà fondiaria indispensabile ad essere ammesso fra gli aristocratici, e alla femmina una dote terriera: nonostante all’epoca la forza di un popolo si misurasse con la quantità di guerrieri a sua disposizione, e nonostante l’educazione generale provvedesse a porre sempre il bene della società prima di quello privato, le spartane non vennero mai obbligate dal legislatore alla maternità forzata.
Grecia, alla nascita della polis.3
Con il passare dei secoli e soprattutto ad Atene, l’omoerotismo ha perso significato, mentre ha acquisito importanza l’unico ruolo al quale la donna è stata relegata nel corso dei millenni, e nel quale spesso si è sentita soffocare: quello della madre acquista una qualche forma di potere sociale, derivante dall’accresciuta importanza della sua funzione procreatrice. Nonostante la diffusione del pensiero ‘fallocratico’, che pone nella forza fecondatrice del seme maschile il fondamento del diritto a governare, la ‘quanto asservita a quella maschile. In questo caso è da evidenziare che non esiste una vera documentata repressione dei comportamenti omosessuali nella Grecia arcaica, ma solo un tentativo da parte degli storici di vedere tali ‘perversioni’ secondo la loro personale mentalità, interpretandoli come, per esempio, una imitazione dell’universo maschile, ovvero esercitando una repressione a posteriori, emblematica della moralità accusatrice delle chiese ortodosse. Alcuni arrivano a definire casuale il fatto che sia proprio l’omoerotismo femminile il più antico esempio - sicuramente documentato in un contesto rituale - di rapporto educativo fra i greci, contro l’assenza di una tale documentazione per la controparte maschile. In pratica noi non sappiamo assolutamente nulla di istituzioni maschili corrispondenti a quelle femminili, ma ne deduciamo l’esistenza da ciò che due importanti personaggi dell’epoca come Alcmane e Saffo, la poetessa, sacerdotessa ed educatrice lesbica per eccellenza, testimoniano per le donne. Uno dei postulati di base a sostegno della tesi secondo cui l’omosessualità femminile fosse solo un momento passeggero e di scarsa importanza nella vita delle adolescenti a Mitilene (sede del tiaso privato di Saffo) è l’ipotesi di numerosi storici secondo i quali queste ‘scuole’ erano finalizzate alla preparazione delle ragazze alla vita matrimoniale, ovvero stati in cui la sessualità era esclusa. Invece è Saffo stessa a definire il suo tiaso come la casa delle ministre delle muse, e le Muse non hanno mai avuto a che fare con i compiti coniugali. Addirittura alle future mogli Saffo insegnava ad ignorare i mariti, a ricordare le parole delle madri e tramandare il loro nome, svergognare i fratelli quando non accondiscendevano alla loro volontà, amare molto le figlie e rivolgersi loro con espressioni comunemente riservate ai figli maschi unici; insegnava a tenere in gran conto l’amore, sia quello per le donne, sia quello per gli uomini, sia quello adultero; nessuna fonte greca parla del tiaso di Saffo come un luogo di preparazione al matrimonio. La repressione dell’omosessualità, tipica dei periodi successivi, è totalmente assente, sostituita da una forte attenzione ai sentimenti, di qualsiasi natura essi siano. L’idea di una preparazione al ruolo di casalinga, che potrebbe pensarsi valida nel popolo ateniese - viste le sue usanze che proponevano una donna univocamente legata al ruolo di madre - diventa un paradosso se applicata al popolo spartano, dove la donna è spesso rappresentata come padrona incontrastata, con un potere sui figli tradotto in diritto di vita e di morte, a fronte di un carico di impegni familiari decisamente ridotto dalla presenza delle nutrici, alle quali affidare la crescita dei neonati. La presenza dei mariti era limitata a fugaci visite notturne fino ai trent’anni, e anche dopo mangiavano alle mensa pubblica e passavano molto tempo con i compagni. Altro elemento che differenzia la figura femminile spartana da quelle successive è legato all’usanza di lasciare all’erede maschio la proprietà fondiaria indispensabile ad essere ammesso fra gli aristocratici, e alla femmina una dote terriera: nonostante all’epoca la forza di un popolo si misurasse con la quantità di guerrieri a sua disposizione, e nonostante l’educazione generale provvedesse a porre sempre il bene della società prima di quello privato, le spartane non vennero mai obbligate dal legislatore alla maternità forzata.
Grecia, alla nascita della polis.3
Con il passare dei secoli e soprattutto ad Atene, l’omoerotismo ha perso significato, mentre ha acquisito importanza l’unico ruolo al quale la donna è stata relegata nel corso dei millenni, e nel quale spesso si è sentita soffocare: quello della madre acquista una qualche forma di potere sociale, derivante dall’accresciuta importanza della sua funzione procreatrice. Nonostante la diffusione del pensiero ‘fallocratico’, che pone nella forza fecondatrice del seme maschile il fondamento del diritto a governare, la ‘madre’ ha ottenuto importanza proprio in quanto responsabile del proseguimento di una particolare classe di uomini, quali i guerrieri. Nella democrazia maschile della polis ateniese, nonostante l’omoerotismo non costituisse un tabù, esso ha perso ogni significato o valenza politica e sociale. Tali rapporti venivano precedentemente riconosciuti e valorizzati in quanto espressioni di relazioni sociali all’interno di un gruppo, tiaso o eteria che fosse, strutturato sulla base di reciproci legami fra i componenti, in vista di funzioni considerate di pubblica utilità. L’eros era simbolo di affiliazione e rigenerazione spirituale, comunione che aboliva le distanze, identificazione che permetteva di partecipare della virtù dell’altra e di acquistare le sue facoltà; era segno del vincolo che univa gli aderenti del gruppo con cui si condividevano prerogative e da cui si veniva accolti, fra i quali lo scambio d’amore rafforzava la coesione interna ed esprimeva reciprocità di relazioni. Il significato sociale degli amori femminili nell’antica Grecia, testimoniato dal riconoscimento pubblico, abolisce il postulato, presente nei secoli successivi, che nega alla donna qualsiasi funzione non mediata attraverso un uomo. Il periodo precedente al matrimonio, dunque, anziché limbo di preparazione, o condizione di margine di chi non ha titolo per essere integrata nella comunità a causa della mancanza di una legittimazione maschile, è bene considerarlo come uno status dotato di un ruolo civico suo proprio, attuale e non riferito al futuro, specifico delle comunità e dei cori delle giovani greche di quel periodo. Private della capacità giuridica e patrimoniale, che le vedeva fulcro della vita greca precedente alla più moderna organizzazione statale della polis, le donne <<non poterono più stabilire rapporti reciproci significanti, né differenziarsi fra loro per diversi livelli di competenze e prerogative>>4. L’eros femminile come segno di trasmissione e comunione di sapere e di potere, ha perduto la sua ragione di esistere. Il silenzio in merito durò qualche centinaio d’anni, fino al periodo in cui Roma dominò incontrastata su tutto il mediterraneo.
L’Impero Romano.5
Il tempo di Augusto fu quello in cui le enormi ricchezze derivanti dalle conquiste dell’impero romano, giunto alla sua massima estensione, portarono benessere e licenziosi costumi. Dal punto di vista giuridico, le donne non avrebbero dovuto avere rapporti extraconiugali, e avrebbero dovuto astenersi dai rapporti sessuali in ogni situazione estranea dal matrimonio, a meno che non si fossero registrate come prostitute: la realtà era cosa ben diversa, tanto che alcune matrone si fecero registrare provocatoriamente come tali, senza paura della pubblica vergogna. La libertà sessuale e l’ostentazione della stessa era norma e diritto per uomini e donne, al di là delle prescrizioni ufficiali. Gli adultéri erano all’ordine del giorno, si spettegolava su di essi, e anche l’omosessualità non era un problema, ovviamente anche quella femminile. Nel tradimento del marito, il colpevole era identificato nel rivale, mentre la moglie non veniva mai ritenuta responsabile: quando però l’usurpatore della proprietà era una donna, allora si metteva in dubbio la virilità del maschio, e l’onore era difeso da leggi severe e da una pungente opinione pubblica. Anche relativamente all’omosessualità maschile si riscontra un parallelo con l’antica Grecia, dove il rapporto omoerotico finalizzato all’educazione prevedeva un ruolo attivo e uno passivo, ed a quest’ultimo associava elementi di femminilità e sottomissione. Importante documento letterario dell’epoca trattante l’omosessualità femminile sono le Metamorfosi di Ovidio, che raccontano di una bimba la quale fin dalla nascita viene presentata al padre e alla vita come un maschietto, per poi arrivare al giorno prima delle nozze ad essere trasformata in un uomo dalla dea Iside, sua protettrice, che ha la funzione letteraria di ristabilire l’equilibrio. Il fatto che un racconto di questo genere fosse scritto da un importante autore come Ovidio, porta a pensare che la questione fosse all’ordine del giorno a vari livelli sociali: nella storia, comunque, si ripresenta la condanna al sesso femminile, nascosto al padre perché avrebbe tollerato solo un maschio. Altra forte condanna, associata alla passività maschile nella sodomia, arriva dal poeta Giovenale: il passivo minacciava la gerarchia dei sessi mettendosi al pari della donna, con la quale condivideva la natura servile e l’incapacità politica. Quali che fossero le accuse ortodosse di Giovenale, è Marziale che ci racconta le vere usanze romane, dove il matrimonio fra due uomini era celebrato con tutti gli ingredienti di rito. Relativamente all’amore fra donne, il concetto fondamentale sembrava riguardare la necessità di una delle due di supplire alla mancanza dell’uomo: è raccontato quindi come un amore impossibile, contro natura, come quello fra umani e divinità. Tuttavia esso era proposto come intrinseco alla natura stessa delle donne, e necessitante di freni esterni, soprattutto perché portatore di inganno e menzogna. L’omosessualità femminile era presentata come naturale inclinazione di tutte le donne, che il legislatore doveva evitare con la repressione, per non incorrere nella corruzione dell’anima delle stesse e degli uomini in generale. I fautori dell’amore eterosessuale, invece, proponevano quello omo come impossibile, seppure più o meno colpevole. Di fondo restò nei secoli l’immagine della donna omosessuale come un finto maschio, e proprio per questa usurpazione del ruolo maschile verrà ripetutamente condannata. Già per Orazio <>6
Il cristianesimo e il medioevo.7
Nel Nuovo Testamento, precisamente nella Lettera ai Romani di Paolo, compare per la prima volta in una scrittura sacra cristiana la condanna agli amori omosessuali femminili. È invece già presente nel precedente Talmud, uno dei libri sacri dell’Ebraismo, dove la mancanza commessa da tali donne è giudicata lieve, una lascivia che non desta preoccupazioni; essa infatti, se anche macchiava l’anima, la salvaguardia della stessa e la sua salvezza era considerata importante solo per il genere maschile. Qui la donna iniziava ad essere considerata come fonte di peccato, e il suo stato una condanna di per sé: questa concezione giudaica verrà data in eredità al cristianesimo, e riproposta nei secoli. Per gli ebrei i maschi omosessuali erano punibili con la morte, fossero essi attivi o passivi, in quanto offendevano l’immagine divina che risiedeva nel corpo maschile. Dio stesso, nella Bibbia, brucia la città di Sodoma, dove dilaga il vizio, salvando l’unico giusto, Lot. Per la morale cristiana, tutti gli atti omosessuali erano riprovevoli e condannati, in quanto l’unica sessualità consentita era quella all’interno del matrimonio, e comunque al solo scopo procreativo. Focalizzandoci sul problema delle donne, iniziava a destare preoccupazione il lesbismo all’interno dei monasteri, ma alcuni Padri non credevano nell’esistenza di tale peccato. Altri scrittori cristiani, impegnati nella lotta allo stesso e nella sua condanna, suggerivano che alcune usavano strumenti diabolici, e lo livellavano in quanto a gravità all’omosessualità maschile; da questo momento in poi, ciò che renderà grave il peccato femminile sarà la presunta volontà delle omosessuali ad imitare la penetrazione maschile. Siamo intorno all’anno 1000 d.C. quando la diffusione di scritti relativi alla condanna dell’omosessualità in ogni suo aspetto ci offre una palese testimonianza della presenza ‘dell’immondo flagello’ all’interno del mondo clericale. È nei monasteri che troviamo testimonianza esplicita di amori fra donne, documentati da scambi epistolari scritti in latino, molto frequenti all’epoca. I monasteri erano universi femminili gestiti da una donna, la badessa, che si contrapponevano al mondo maschile circostante, dove si diffondeva un’istruzione elevata e si accedeva solo se provenienti dall’aristocrazia. All’interno di essi le amicizie fra donne erano largamente tollerate, ma un primo provvedimento contro le stesse fu del concilio di Parigi del 1212, durante il quale si prescrisse che le monache dormissero in letti singoli e separati, seppur non si disponessero punizioni per le renitenti. In fondo il dodicesimo secolo era il periodo cristiano che vedeva la più massiccia e cosciente manifestazione dell’omosessualità in generale, a partire dall’Italia fino all’Inghilterra e alla Francia, dove addirittura certi comportamenti sono chiaramente definiti ‘all’italiana’ nei documenti. In questo clima liberale non mancavano certo i moralisti, che continuavano a condannare la gioventù corrotta dal male e i sodomiti con gli stessi toni di sempre. Relativamente al mondo femminile, per i predicatori cristiani la maggior gloria della donna restava la sottomissione al marito, e se il marito era poco degno, essa avrebbe dovuto obbedire a Cristo, che a sua volta voleva che obbedisse al marito; affermando che esse sono state create da Dio per la procreazione e come rimedio alla concupiscenza, non fecero altro che divinizzare il diritto maschile di usare delle donne come di esseri inferiori destinati al proprio servizio. Con una simile impostazione morale è evidente che l’omosessualità fra donne venisse condannata al pari di quella fra uomini, ma in alcune predicazioni manca tale precisazione, proponendo solo le condanne ai sodomiti. Alcuni frati infatti si dimostrarono reticenti ad affrontare il problema, come Bernardino da Siena, uno dei più noti dell’epoca, che insegnava al popolo che sono cose su cui è meglio sorvolare. Simone da Cascia, pur reputandoli peccato grave, non considerava i rapporti lesbici come degli adulteri contro il marito. Gli aristocratici parigini non erano preoccupati dagli stessi, in quanto non comportavano danni concreti al casato e alle sostanze, mentre il popolo era ben contento di tali pratiche, che ponevano al riparo da eventuali figli illegittimi. L’interesse dell’epoca era rivolto più al fattore economico che a quello dell’onore o della salvaguardia del ruolo virile del maschio come l’unico in grado di soddisfare gli appetiti delle donne. Gli amori femminili erano pressoché inesistenti anche per la giustizia fino al 1432, quando a Firenze venne istituita la magistratura degli Ufficiali di Notte, con il compito ben definito di perseguire l’omosessualità fra adulti consenzienti; le pene erano limitate ad una multa, ed i casi documentati erano in prevalenza riferiti agli uomini, ma non esclusivamente ad essi. Il clima di oppressione moralista si inasprisce, Savonarola non era soddisfatto delle pene, e per estirpare il male propose l’evirazione dei colpevoli, ma dimenticò di specificare come punire le donne. Mentre nelle predicazioni si esplicitava anche la condanna alla penetrazione anale fra eterosessuali, non si riuscì a trovare negli insegnamenti rivolti al popolo uno spazio per l’omosessualità femminile contestuale a quello dell’omosessualità maschile, in ottemperanza alla concezione che vede i peccati delle donne non negativi di per sé, ma come minanti la salvezza e i diritti maschili.
Parentesi legislativa.8
Anche come reato, la presunta omologazione teorica dell’omosessualità femminile a quella maschile ha trovato scarso riscontro pratico. Una prima ordinanza imperiale contro la sodomia, che stabilisce pene eguali ma non meglio specificate sia contro le donne che contro gli uomini, è germanica, risale al 1342, ed anch’essa è influenzata dal cristianesimo. Cino da Pistoia e Bartolomeo da Saliceto furono i primi commentatori del diritto romano a menzionare l’adulterio perpetrato da una donna nelle braccia di un’altra donna; siamo alla fine del 1300, e la pena per tale misfatto era la condanna a morte. Questa entra a far parte dei codici legislativi per il reato mulier cum muliere nel sedicesimo secolo: all’epoca di Carlo V la Constitutio criminalis carolina del 1532, estesa ai regni germanici, condannava al rogo le lesbiche. È dello stesso periodo l’estensione delle leggi spagnole, precedentemente rivolte ai soli sodomiti maschi, anche alle donne che giacciono con altre donne, per le quali si dispone la pena capitale, rifacendosi ancora una volta alle glosse di Bartolomeo da Saliceto. L’unico ad esprimere un pensiero leggermente più liberale fu Abulensis nel 1455, ricordando che nessuna legge divina né umana richiedeva la morte a causa di un coito fra donne; propose una pena più lieve, a discrezione del giudice, a meno che il rapporto non fosse avvenuto con l’utilizzo di strumenti. Anche in Francia venne accolta la condanna a morte per tali delinquenti per mano del giurista Jean Papon. L’utilizzo di strumenti e l’assunzione di un’identità sociale maschile diventerà discriminante nell’attribuzione della pena anche nel nostro paese, dove la sola fricatione (dal latino, sfregamento) non implicava la condanna a morte. A Firenze nel 1542 venne promulgato un bando contro la sodomia che condannava tanto i maschi quanto le femmine, e stabiliva le pene in base all’età e alla frequenza del reato: i maschi recidivi, se maggiorenni e passivi, venivano bruciati pubblicamente. Per le donne una pena ancora più severa della morte era prevista a Treviso, dove venivano legate nude al palo nella piazza principale, dove restavano per un giorno intero sotto custodia, per poi essere bruciate vive fuori dalla città. Anche la colonia inglese di New Haven, nell’America del nord, inserì nel proprio codice penale la condanna a morte per le sodomite nel 1656. Queste aspre prescrizioni non trovarono fortunatamente applicazione se non in sole sette condanne a morte, documentate fra la fine del 1400 e il 1580, anno della morte della giovane francese Mary, impiccata in quanto usurpatrice delle prerogative sessuali dei maschi, perché travestitasi da uomo ed artefice di espedienti illeciti tendenti a supplire alle deficienze del suo sesso . Streghe e demoni eterosessuali.9
A partire dal 1500, la pratica della condanna a morte sul rogo per eretici e streghe era decisamente frequente. L’interesse degli inquisitori era rivolto verso quei casi in cui le donne avessero avuto rapporti diretti con il demonio, quindi quelli omosessuali erano completamente esclusi dai loro interessi. Mentre l’omosessualità maschile venne dichiarata estranea alla stregoneria, quella femminile non è stata nemmeno nominata per essere esclusa. I peccati che riguardano solo le donne continuarono ad essere considerati di una gravità decisamente relativa. Pare – paradossalmente - che sia i demoni che le streghe nei loro rapporti sessuali si attengano alle modalità prescritte dalla chiesa, cioè naturalmente eterosessuali. Riguardo all’eresia il ruolo della donna nel cristianesimo era molto chiaro: essa era principio e causa di lussuria, quindi principio e causa d’eresia. La proiezione della colpa sulla donna, come abbiamo detto, è uno dei fondamenti della dottrina cristiana, ottenuto in eredità da quella ebraica. Questa si fondava e si fonda sul concetto che è solo colpa di Eva se il serpente ha avuto la meglio e se l’umanità è stata condannata alla tribolazione; la sessualità, inoltre, è la via di trasmissione della colpa originale, l’inevitabile punizione per il genere umano, la radice di tutti i peccati.
Travestite, ermafroditi, pseudo-medicina.10
Dal 1600 e fino a tutto il 1700 si diffuse nell’Europa del nord, per svariati motivi, il fenomeno del travestitismo femminile, che conta più di centoventi casi documentati negli archivi processuali. La motivazione più diffusa che spingeva a questa pratica erano i problemi economici: la maggior parte di loro era costretta a cavarsela senza l’aiuto della famiglia, arruolandosi clandestinamente nell’esercito o imbarcandosi nei mercantili, i due mestieri più facili da praticare all’epoca, seppure fossero quelli che davano le più alte possibilità di essere scoperte. Altre sfuggivano dal consorte, o volevano restare accanto ai mariti mandati in guerra, magari spinte da un certo fervore patriottico; infine alcune assumevano identità maschile per amore di una donna. Insieme a quelle che sono state scoperte e denunciate, si rivelano tramite autobiografie e racconti dell’epoca tutti quei casi in cui l’espediente è riuscito. Al contrario, chi spontaneamente o meno tornava agli abiti femminili, diveniva oggetto di scherno e di ridicolo, a meno che non avesse ottenuto successo con il suo mestiere, cosa che portava aperta ammirazione. Chi si travestiva per amore di una donna lo faceva in quanto desiderosa di vivere con lei, e di riproporre la vita di coppia eterosessuale. La denuncia spesso comprometteva il progetto, costringendo le due a non vedersi più, ma la minaccia del rogo era già lontana, e solo lo scandalo sociale preoccupava i giudici. In Italia abbiamo il racconto della vera storia di Catterina Vizzani, servitore, nata nel 1719, la quale sarà implicata in una moltitudine di storie d’amore e corteggiamenti, data la sua passione per le donne; interessante il fatto che, anche dopo la scoperta della frode, il narratore non risparmi le lodi per l’astinenza dai rapporti eterosessuali, cosa che fa capire quanto i contemporanei non riuscissero <<realmente a concepire una donna che non nutrisse alcun interesse per i maschi>>11. Riguardo alle donne soldato, pare che in alcuni casi fossero molto valorose, e per assicurare la loro precaria posizione si comportassero proprio come i soldati maschi, rivolgendosi alle donne esterne con insulti, provocazioni e molestie. Anche le attrici, che dal 1600 avevano il consenso a calcare le scene, si travestivano da uomo sul palco, e fuori da esso continuavano per stravaganza a portare i pantaloni, senza destare particolari scandali. Aprendo una parentesi, bisogna chiarire che il travestitismo di cui si parla è concettualmente differente dall’attuale, esercitato da individui che si sentono ‘intrappolati’ in un corpo che non rappresenta il sesso al quale appartengono intimamente; all’epoca le donne si travestivano principalmente per necessità pratiche, restando in molti casi ben orgogliose della loro femminilità e differenziazione dai maschi. Intorno al 1700 nasce l’associazione popolare della lesbica con l’ermafrodita, implicando il coinvolgimento della medicina nella definizione delle stesse. Si pensava adatte alla sodomia e tendenti all’omosessualità solo quelle donne dotate di una clitoride molto sporgente, e che la stessa potesse svilupparsi a seguito di stimolazioni masturbatorie giovanili. Su questa base, la creazione della figura dell’ermafrodita, di difficile identificazione, sembra testimonianza di una volontà atta a confinare nell’irrealtà il desiderio tra donne. Solo nei primi decenni del 1800, i medici inizieranno a parlare chiaramente di omosessualità femminile, seppure spesso senza cognizione di causa, e comunque ricalcando i toni accusatori di epoche precedenti. In un dizionario scientifico tedesco del 1823, sotto la voce Eros, si sostiene che una delle cause della fine dell’Impero Romano fosse la libertà sessuale delle sue donne.
Teatro, amore Platonico, Illuminismo.12
Le prime traduzioni latine di Platone del 1400 portarono nei secoli successivi una graduale riconsiderazione del pensiero neoplatonico relativo all’espressione di sentimenti intensi per persone dello stesso sesso. In molte rivalutazioni, tuttavia, le componenti omosessuali del pensiero del filosofo greco verranno censurate ancora una volta dalla mentalità cristiana. Nonostante ciò, alla fine del 1600 era notevole la presenza femminile fra gli autori di opere teatrali, fatto particolarmente significativo se si considera il teatro come il principale media dell’epoca. Mettevano in scena le loro amicizie, la cui fedeltà e passionalità riuscivano talvolta ad oscurare gli stessi rapporti delle eroine teatrali con i loro amanti. L’espressione di sentimenti fra persone dello stesso sesso, seppur vissuti e presentati come platonici, non evitava alle autrici o alle interpreti di essere imputate di omosessualità dal popolo. Tali accuse, ormai lontane da reali rischi di condanna giuridica grazie all’eliminazione illuministica del reato di sodomia dai codici penali, divennero fulcro di strumentalizzazioni politiche, soprattutto negli ambienti dell’alta società borghese e imperiale. Nacquero libelli destinati al doppio fine pornografico ed accusatorio, dove si ritraeva l’abominio di un potere femminile che rifiutava la gravidanza e la sottomissione al marito. Questi videro larga diffusione soprattutto in Francia nel periodo illuministico, quando la ragione individuale e il giudizio divennero indipendenti dai dogmi dell’autorità. Le aristocratiche avevano effettivamente raggiunto un ruolo molto importante nella distribuzione degli elevati incarichi governativi, seppure fosse impensabile un loro ufficiale coinvolgimento nell’attività statale. Anche nelle fantasie pornografiche maschili sulle lesbiche rispuntava l’immagine masochistica della sessualità femminile, a riprova del fatto che si continuava a negare la possibilità di rapporti sessuali tra donne che non fossero un duplicato di quelli penetrativi eterosessuali. Questo gran parlare di donne e dei loro vizi, nonché la riproduzione degli stessi in libelli fra il pornografico e il satirico, deve essere letto come sinonimo di una lieve crescita dell’espressività femminile generalizzata. In seguito, la concretizzazione di una maggiore libertà delle donne sarà legata ad un aumento del loro valore in termini di forza lavoro, che le porterà a slegarsi dal controllo patriarcale grazie alla possibilità di vendere il proprio lavoro al migliore offerente sul mercato, piuttosto che in modo esclusivo e gratuito al marito. È in questo senso che molte donne preferiranno dedicarsi alle compagnie femminili, sia esercitando una vera e propria omosessualità, sia restando all’affetto platonico, sia, nel caso dei salotti francesi, seguendo semplicemente la moda del momento.
Capitalismo e femminismo.13
Il mondo del lavoro e la necessità di adattarsi alla realtà competitiva ed individualista dello stesso portarono alla mutazione antropologica del ruolo femminile, generando alla fine del 1800 la figura definita come ‘Donna Nuova’. Associata a chi si distanziava fermamente dal ruolo privato di casalinga dimostrando di possedere virtù che fino ad allora erano state prerogativa maschile, quali fermezza, decisione, attivismo, la denominazione di ‘Donna Nuova’ venne applicata inizialmente alle femministe e alle suffragiste, per espandersi poi a tutta quella parte di mondo femminile che si discostava dai canoni della donna-mamma, inserendosi nel mondo del lavoro e facendo i primi passi verso l’emancipazione. Le accuse degli uomini verso questa nuova dissacrante posizione femminile erano forti, ma la pressione della crescita capitalista e la necessità di forza lavoro in sostituzione dei maschi arruolati nel periodo della grande guerra, aprirono spazi alle donne nuove. Queste vissero i contrasti con il mondo maschile come indice di quanto lo stesso fosse inferiore nel pensiero e nella condotta rispetto alle donne spiritualmente sviluppate del nuovo giorno: anche in questo caso, il rifiuto dell’unione con gli uomini divenne un’arma politica per spronarli al cambiamento. In questo clima di emancipazione e di scontro, l’esaltazione dell’amore fra donne era mezzo di differenziazione e meccanismo distanziatore del mondo femminile, divenuto attivo e rivoluzionario, dal conformista mondo maschile. Dopo il primo ventennio del novecento <<l’identità lesbica acquistò un posto visibile nel panorama sociale>>14, tramite biografie di lesbiche orgogliose della loro diversità e romanzi a tema. Nelle metropoli europee nacquero associazioni a protezione della categoria, e locali dedicati alle esibizioni e ad un pubblico omosessuale. Tutto lasciava pensare che il graduale liberalismo avrebbe aperto la strada alla totale normalizzazione degli amori fra donne o fra uomini, finché non fece capolino all’orizzonte lo spettro del nazismo.
Nazismo.15
Nel 1932 in Germania la polizia iniziò a proibire balli e assemblee pubbliche omosessuali. Il lesbismo era considerato uno dei tanti effetti deleteri della democrazia, e l’obiettivo di preservare la razza veniva realizzato anche perseguitando le lesbiche, per costringerle a cambiare abitudini o condannarle ai lavori forzati. Teorici della razza sostenevano che l’omosessualità femminile traeva origine dal miscuglio tra gli ariani e i popoli inferiori dell’Asia Minore, e proponevano che i partecipanti alla vita gay e lesbica della capitale tedesca fossero solo pseudoomosessuali, per i quali prevedere la possibilità di un riorientamento. Tuttavia le lesbiche erano stimate poco numerose, e pochi erano i nazisti che se ne occupavano. Esse inoltre potevano comunque adempiere alla funzione procreativa, fattore ritenuto importantissimo in una logica di incremento della razza ariana. Eppure una dopo l’altra vennero sciolte le associazioni di donne, di qualunque orientamento sessuale si professassero, ed anche le femministe vennero accusate di lesbismo, e costrette a difendersi per non rischiare la pelle. Istituire dei campi di rieducazione sessuale forzata non bastò ad alcuni esponenti del Terzo Reich, che proposero altri rimedi quali l’estensione della sterilizzazione alle lesbiche, ipotizzando che potessero generare figli affetti dalla stessa tendenza e contaminare così le generazioni future (quattrocentomila uomini e donne vennero sterilizzati per migliorare la razza, fra cui ne morirono circa seimila). Altri ancora promulgarono esperimenti focalizzati alla cura clinica dell’omosessualità, come la somministrazione forzata di ormoni, oppure il trapianto di ovaie tra donne eterosessuali e donne omosessuali; inutile dire che fallirono tutti. Intanto, come per gli ebrei, anche per i gay e le lesbiche di tutta Europa si diffuse la paura e la necessità della fuga dai nazisti, per non incorrere nella deportazione; si ritrovano documenti che testimoniano la fuga, anche dalla stessa Germania, delle artiste o intellettuali più in vista fin dalla fine degli anni trenta, mentre le più sfortunate finirono nei bordelli per i soldati dei campi di lavoro, in un eufemistico programma di rieducazione.
Contemporaneità.16
Dopo la ricostruzione, fu il ritorno dei femminismi degli anni ’60 a ridare spazio ai diritti delle donne, comprese quelle omosessuali. Le loro lotte hanno avuto il merito di portare alla ribalta non solo il problema della ricostruzione di un’identità femminile calpestata dai vari monoteismi prima e dagli imperialismi poi, ma anche la questione della sessualità in genere, ovvero dell’impossibilità di una gerarchia sociale basata sulla stessa. Politicizzando problemi quali lo stupro, il coito, l’aborto, il divorzio, si costringeva sia l’opinione pubblica sia gli organismi statali ed ecclesiastici al dibattito sopra gli stessi, ottenendo il doppio risultato da una parte di spingere a trovare delle soluzioni, e dall’altra di eliminare gli ultimi tabù ereditati dalla morale cristiana. Agli occhi dei giovani ventenni contemporanei, permeati di secolarizzazione e figli delle dichiarazioni universali dei diritti individuali, le discriminazioni sessuali sono difficili da riscontrare nella quotidianità del ventunesimo secolo; le lotte femministe per le pari opportunità vengono considerate piuttosto come avvenimenti storici relativamente lontani nel tempo, vissuti in alcuni casi dalle proprie madri, ma di cui difficilmente si parla, dando prova di una sempre più debole memoria storica. Le associazioni nazionali ed internazionali impegnate nella difesa dei diritti dei gay e delle lesbiche, seppur considerate come facenti parte delle proprie vite, ed importanti per la valorizzazione del pensiero omosessuale, sono viste da alcuni degli stessi ‘difesi’ come potenzialmente ghettizzanti ed eccessivamente estremiste, in quanto non tutti sentono la necessità di una tale mobilitazione per l’ottenimento dei diritti o della parità. Tuttavia sono presenti fra i militanti di organismi quali l’Arcigay-Arcilesbica, o fra intellettuali e parlamentari di notevole peso sociale, individui non necessariamente omosessuali che si battono insieme per le pari opportunità e per l’aumento della facilitazione dell’emancipazione per i gay e le lesbiche, proponendo che ‘dichiararsi’ possa portare a vivere più felicemente la propria sessualità. Viceversa, reminescenze di arcaiche concezioni di una omosessualità intesa come perversione fanno talvolta capolino in importanti sedi internazionali ed istituzionali, quali ultimamente il parlamento europeo, accendendo fortissimi dibattiti tesi a riaffermare la normalità delle pulsioni e degli stili di vita gay e lesbici, contro una morale bigotta che cerca di etichettarli con denominazioni degne del periodo medievale, testimonianza di un pensiero intollerante ancora presente nelle generazioni passate, o in determinate correnti di pensiero. Mentre le alte sfere del potere legislativo e clericale sono impegnate a chiarire le modalità di una eventuale istituzionalizzazione delle unioni civili fra persone dello stesso sesso, peraltro già riconosciute in vari paesi europei, i principali networks televisivi usano la consueta ironia riservata nei secoli all’argomento per ideare esplicite sit-com a tema: divertenti ed esorcizzanti, lontane dai passati stereotipi proposti dal piccolo e grande schermo, propongono un vissuto omosessuale più vicino possibile alla realtà, fatto di avvocati gay in giacca e cravatta o segr