Ferdinando Mezzasoma
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Ferdinando Mezzasoma (Roma 3 agosto 1907 - Dongo, provincia di Como 28 aprile 1945) è stato un giornalista ed un uomo politico italiano.
Nacque in una famiglia piccolo borghese: il padre è un impiegato della Banca d'Italia a Perugia, città dove lui e la sua famiglia saranno costretti ad emigrare nel 1920. Al fine di aiutare finanziaramente la sua famiglia fece dei piccoli lavori manuali, che gli anche servirono a pagarsi gli studi che gli consentiranno prima di diplomarsi in ragioneria e poi di laurearsi in scienze economico-commerciali.
Segretario dell'avvocato Amedeo Fani, quando egli viene nominato sottosegretario agli Esteri nel 1929 Mezzasoma lo segue. Nel 1931 aderisce al Partito Nazionale Fascista e poco dopo viene nominato segretario del Gruppo Universitario Fascista (GUF) e membro del direttorio federale di Perugia (1932-1935). Apprezzato giornalista, inizia a collaborare con alcune testate di regime (Dottrina fascista e Roma fascista ad esempio) in cui si firma con lo paseudonimo di Diogene. Direttore dell' Assalto nel 1934 e condirettore di Libro e Moschetto, l'organo ufficiale dei GUF, nel 1937 pubblica il volume Essenza dei GUF, distribuito capillarmente a tutte le organizzazioni giovanili inquadrate dal regime.
Promosso alla carica di vicesegretario generale dei GUF nel 1935, due anni dopo entra come membro di diritto nel direttorio nazionale del PNF (gennaio 1937), fino a quando il 23 febbraio 1939 viene nominato vicesegretario del partito, carica che ricopre per oltre tre anni. Contrario all'ordine di Dino Grandi, sosterrà Benito Mussolini anche nella Repubblica Sociale Italiana, di cui sarà Ministro della Cultura Popolare.
Dopo alcuni scontri con Junio Valerio Borghese (contrario alla soppressione del suo foglio personale Orizzonte), il 19 aprile del 1945 si trasferirà a Milano prendendo commiato dai suoi collaboratori, tra cui Giorgio Almirante. Pare che in quei giorni concitati Mezzasoma abbia avuto la possibilità di salvarsi scappando ma egli rifiutò tale ipotesi affermando in pubblico "sono un ministro di Mussolini, vado a morire con lui": catturato infatti dai partigiani dopo un fallito tentativo di arrivare in Svizzera, fu giustiziato a Dongo insieme ad altri 16 fascisti.