Il petalo cremisi e il bianco
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Il petalo cremisi e il bianco | |
Titolo originale | The Crimson Petal and the White |
Autore: | Michel Faber |
Anno (1a pubblicazione) : | 2002 |
Genere: | Romanzo |
Sottogenere: | Romanzo storico |
EDIZIONE RECENSITA | |
Anno: | 2003 |
Editore: | Einaudi |
Traduzione: | Elena Dal Pra e Monica Pareschi |
Collana: | Stile libero BIG |
Pagine: | 985 |
ISBN | 88-06-17416-9 |
Progetto Letteratura |
Dalle pagine fluttuano petali secchi, cremisi e bianchi, che si posano sul pavimento impalpabili.
Il petalo cremisi e il bianco è un romanzo di Michel Faber, ambientato nella Londra vittoriana intorno al 1870. Faber ha elaborato l'opera, secondo quanto da lui stesso dichiarato, per più di vent'anni. Molto tempo è stato dedicato alla ricostruzione della vita quotidiana nella capitale inglese di fine ottocento, con una mole di documentazione di tutto rispetto.
Il romanzo descrive l'ascesa di Sugar, giovanissima prostituta, che diviene l'amante di un industriale dei cosmetici: William Rackam e si affranca in tal modo da un destino già tracciato, da una condizione di abbrutimento e sfruttamento.
Nella prima parte assistiamo alla minuziosa descrizione dell'infimo ambiente in cui si muove la protagonista. Le strade intorno a Silver Street, quartiere di malaffare e di degrado umano e ambientale. L'autore sembra provare un certo compiacimento nel descrivere minuziosamente, e spesso assai crudamente, le laidezze del quartiere. Quasi come se luoghi e persone si rendessero vicendevolmente malsani.
Per accentuare la partecipazione del lettore e coinvolgerlo ulteriormente, l'autore gli indirizza, soprattutto all'inizio del romanzo e via via più sobriamente, una serie di avvertenze, in una specie di dialogo che in realtà è un monologo ma molto abilmente costruito. Un espediente tecnico che ricorda un po' il monologo interiore di Schnitzler solo che i suoi personaggi, per mezzo di questo espediente, esprimevano e descrivevano i propri pensieri, qui invece si tratta di una voce fuori campo, quella dell'autore, che con ammiccamenti e provocazioni, cerca di inserirsi nei pensieri del lettore. Il che forse può coinvolgere alcuni ma magari può indisporre altri che si sentono quasi “osservati”.
Quando Sugar entra in scena lo fa da vera protagonista, fradicia di pioggia, inquadrata sulla porta del Fireside, il locale che frequentava ogni sera. È un colpo di fulmine ma anche un colpo di teatro e il povero William Rackam non può che rimanere travolto ma in maniera positiva. Al contrario della Carlotta di Goethe, che compare, anch'essa incorniciata da una porta, fulminando Werther, Sugar è un eroina positiva o forse è intrinsecamente positivo il giovane Rackam il quale, travolto dalla passione, si riscatta da una vita inconcludente e in men che non si dica si ritrova al timone dell'azienda paterna, fino a quel momento trascurata e disprezzata.
Questa conversione appare un po' troppo improvvisa e tutto sommato troppo facile, in realtà le successioni, nella vita reale, sono ben più tormentate. A questo punto Sugar viene “liberata” (o meglio acquistata per contanti) dall'orrida casa di malaffare gestita addirittura da sua madre Mrs. Castaway, donna dotata di un cinismo da manuale, e approda nel pied-a-terre lussuosissimo che il Rackam ha messo su con una pignoleria e una maniacale cura del dettaglio degna di migliori imprese. Ma la “sistemazione” così faticosamente raggiunta dura poco perché ben presto Sugar fa il suo ingresso, sotto le spoglie di governante della piccola Sophie, unica figlia di William, in casa Rackam.
È curioso come i personaggi siano accuratamente costruiti mentre le vicende siano abbastanza paradossali. Qualsiasi lettore non può mancare di osservare che nessun buon borghese, in epoca vittoriana, si sarebbe mai sognato di “mettersi in casa” una ex prostituta peraltro notissima, anzi forse la più nota di tutta Londra. Il rischio sociale di una tale operazione sarebbe stato addirittura folle e le conseguenze di un eventuale riconoscimento, da parte di un qualsiasi amico di famiglia, catastrofiche. Tra l'altro gli spocchiosi nobilotti amici di William, ben radicati nel loro snobismo e assai critici nei confronti del semplice borghese, per di più imprenditore cioè in pratica un volgare mercante, vengono presentati come assidui frequentatori dei posti nei quali Sugar, fin dall'età di tredici anni, aveva percorso la sua carriera.
Ma tant'è, affascinato dai particolari descrittivi, il lettore non sta a badare troppo all'inverosimiglianza della questione. A far da contraltare ai viziosi giovinastri, fanno bella mostra di se, abilmente disposti nel presepio faberiano, due autentici campioni della virtù: il fratello di William, Henry, e una stravagante vedova, Emmeline Fox. Quest'ultima presta indefessamente la sua opera di redenzione proprio nei quartieri dove operano le colleghe (o ex colleghe) di Sugar. I due, travolti alla fine da un insana (ma perché poi?) passione, saranno separati da un crudele destino allorché Henry perirà all'improvviso nell'incendio della propria casa e subito dopo Emmeline, che sembrava destinata a morire di tisi, guarisce in maniera sorprendente, ereditando gli effetti personali del povero Henry, compreso il suo gatto.
È singolare come, malgrado l'abiezione in cui è vissuta, Sugar si sia dotata di una cultura letteraria enciclopedica che sfoggia con moderazione e al momento opportuno, contribuendo ad affascinare clienti prima e amante poi. Altrettanto singolare è la sua descrizione fisica: vengono esaminati con la solita chirurgica freddezza i difetti e le affezioni, la psoriasi che le traccia il corpo, la secchezza della pelle delle mani che si squama così come le labbra. Ma tutto questo non diventa mai un teatro dell'orrido, così come la puntuale descrizione di fatti corporali più o meno intimi non diviene mai pura pornografia. Sono, è vero, descritti sempre con ragionieristica precisione ma chissà perché non riescono a distogliere dalla trama o a infastidire più di tanto.
Il fatto è che quando tutto ciò potrebbe avvenire, ormai il lettore è stato catturato, né più né meno di William, dal fascino misterioso di Sugar. Sì perché la nostra protagonista non finisce per ammaliare William con chissà quali arti seduttive ma si trasforma all'occorrenza in una perfetta istitutrice della piccola Sophie che viene addirittura guarita dalla persistente e vergognosa eneuresi notturna e condotta abilmente per le tortuose strade del sapere.
Ma non basta perché Sugar diviene anche segretaria, confidente e consulente di fiducia di William il quale, grazie a lei e soprattutto grazie al suo divino buon senso, riesce a districarsi nella non facile professione di imprenditore. Imprenditore improvvisato, diremmo noi, ma evidentemente fortunato e decisamente abile nella scelta dei collaboratori. Insomma Sugar è la sintesi dei sogni maschili: vigile e intelligente consigliera, fidata collaboratrice, segretaria, assistente, consolatrice neanche un po‘gelosa, all'occorrenza vice madre e, incredibile contraddizione, amante sfrenata. E l'ordine delle attribuzioni può anche essere capovolto. Qualsiasi uomo a questo punto penserà che Faber ha un po' esagerato.
La patetica figurina di Agnes, la bellissima moglie di William, non riesce proprio a coinvolgere il lettore e la poverina, dopo aver dato segni d'incipiente pazzia, finisce per uscire di scena proprio alla vigilia del suo trasferimento in un manicomio. I diari della scomparsa vengono somministrati in massicce dosi al lettore poiché Sugar manifesta un'inclinazione morbosa e una curiosità inesauribile nei confronti della rivale. Ma rivale Agnes non sarà mai: lei e Sugar sono creature appartenenti a due mondi talmente distanti che è impossibile vengano a conflitto. Infatti nel libro non s'incontrano praticamente mai.
La scomparsa di Agnes avviene in modo misterioso: non si saprà mai se il cadavere che viene ripescato dal Tamigi, e che William riconosce, o ritiene di aver riconosciuto, sia proprio il suo. Di fatto sta che Agnes, avvertita da Sugar che la voleva salvare dalla reclusione manicomiale, fugge nottetempo e probabilmente finisce per nascondersi in un convento, a meno che non sia davvero annegata incidentalmente.
Divenuto vedovo, William, col suo carico di rimorsi, cerca di salvare la sua vita dal naufragio, sempre seguito dappresso da Sugar la quale a questo punto comincia a intravedere una sistemazione borghese a pieno titolo a fianco dell'ormai spento pigmalione. Il rapporto tra i due è oscillante, non si riesce a capire quanto in realtà si amino e quanto dipendano invece reciprocamente l'uno dall'altra. Faber non ci risparmia i pensieri cinici di Sugar su William né quelli altrettanto strumentali di quest'ultimo sulla ragazza. Verso la conclusione il ritmo si fa serrato: Sugar, improvvisamente caduta in disgrazia, allorché il medico di famiglia rivela a William che è incinta, viene scacciata di casa. In breve organizza la sua uscita di scena e scompare portandosi dietro la piccola Sophie. William, che in brevissimo tempo si trova ad aver perso fratello, moglie, amante e figlia rimane con le poche certezze che gli danno l'azienda e la sua grande ma ormai vuota casa, piena di domestici muti testimoni di una meritata sconfitta.
È chiaro come l'autore non sia in grado di mascherare la sua avversione per il protagonista maschile. Pare che a una giornalista, che chiedeva alla moglie di Faber se per caso il marito si fosse ispirato a lei per costruire Sugar, per nulla offesa, abbia acutamente risposto che Sugar era Faber, che cioè egli si fosse identificato totalmente in lei, come già aveva fatto, e dichiarato a suo tempo, Flaubert quando aveva affermato “Madame Bovary sono io”. E questa è una riflessione che, per quanto banale, spesso il lettore dimentica, proprio come il sognatore che non vuol convincersi di essere lui stesso l'autore e il regista del sogno. In entrambi i casi si attribuisce terzietà creativa e autonomia ai personaggi le cui azioni sono percepite come evocative e coinvolgenti e di conseguenza se le guardassimo manipolate dal burattinaio non riusciremmo a farci sedurre dalla loro vicenda.
Sugar è un personaggio proteiforme, trasversale, che passa con una disinvoltura e una noncuranza totale attraverso orrori che avrebbero distrutto chiunque. La madre, irridendo la sua cultura, le aveva detto che tutte le parole imparate non le sarebbero servite a niente, salvo due: “Si” e “Soldi”. Spesso nel romanzo osserviamo personaggi troppo radicali, nelle convinzioni come nel cinismo e nell'abiezione, e una protagonista che, a dispetto della giovane età (vent'anni), sfodera una capacità mimetica incredibile. Ma a sovrapporre ancor di più la figura della protagonista a quella del suo creatore è proprio lo scrivere. Sugar, negli anni bui della sua indolente cattività nel bordello materno, scrive per liberarsi dall'angoscia della sua situazione. Scrive un'opera autobiografica in cui gli uomini che si sono accaniti su di lei con tanta bassezza divengono regolarmente oggetto di sanguinose efferatezze, finendo trucidati nelle maniere più orribili. Ma il libro è solo una valvola di sfogo, tanto che il titolo cambia di continuo fino all'ultimo: ”Splendori e miserie di Sugar” che vuole rappresentare impietosamente l' ascesa sociale di una reietta o almeno di una persona destinata ad essere tale.
Lo stile di Faber è certamente accattivante e riesce anche ad essere abbastanza originale grazie al ricorso ad artifici scenografici molto efficaci. Più di un critico ha messo in luce una certa parentela stilistica di quest'opera con quella di John Fowles “La donna del tenente francese”. L'ambientazione storica è la stessa, l'Inghilterra del periodo vittoriano, e anche l'impostazione del romanzo storico in cui l'autore non teme di far trasparire l'evidente modernità dell'analisi, della modalità rappresentativa e della psicologia dei personaggi, tutte ben lontane da quelle del loro tempo. Autore e lettore cioè sono accomunati da un patto secondo cui l'oggetto è storico ma il punto di vista dell'osservatore è moderno anzi come sostengono alcuni postmoderno.
Dal punto di vista lessicale l'opera è abbastanza particolare: si riscontra una voluta alternanza nella scelta dei vocaboli, dalla forma più colta a quella più popolare. Nel diario di Agnes ci si imbatte continuamente in errori di ortografia costruiti ad arte e un po' stucchevoli. Spessissimo si fa ricorso a vocaboli estremamente raffinati e desueti che costringono il lettore ad armarsi di vocabolario. Anche nel lessico Faber ha quindi cercato di sperimentare anche se talvolta, come ad esempio quando vuol riprodurre la parlata di alcuni personaggi minori (cocchieri, cameriere), sconta un po' la difficoltà che incontra il traduttore nel rendere in maniera credibile il passaggio linguistico.
- The Crimson Petal and the White, Canongate 2002
- Il petalo cremisi e il bianco, Einaudi 2003 e 2005. ISBN 88-06-17416-9