Lapsi
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Con il termine latino lapsi (letteralmente "scivolati"), si indicarono nel III e IV secolo, i cristiani che sotto la minaccia delle persecuzioni compirono atto di adorazione verso gli dei pagani. Questa situazione fu molto frequente, in particolare a partire dalla persecuzione di Decio, che colpì in modo capillare una chiesa che era già molto diffusa. Molti furono quelli che si piegarono. Il modo in cui essi tradirono la propria fede venne suddiviso in quattro tipi di comportamento che avevano uno specifico nome:
- Turificati, che avevano bruciato l'incenso agli dei.
- Sacrificati, che avevano offerto sacrifici agli dei.
- Libellatici, che si erano procurati documenti falsi, che attestavano il loro sacrificio agli dei.
- Traditores, che si riferiva a vescovi e prelati che avevano consegnato le Sacre Scritture alle autorità romane. Il termine trae la sua radice dal verbo latino tradere che significava "consegnare" e assunse poi il significato di "tradire", in riferimento a Giuda che aveva consegnato Gesù al sinedrio.
Finita la persecuzione molti di essi chiesero di rientrare nella Chiesa causando grandi discussioni sul modo in cui dovessero essere reintegrati. In sostanza la Chiesa si divise tra chi, in modo intransigente, non accettava nessun perdono e chi come san Cipriano di Cartagine accettava il loro reinserimento nella comunità, pur imponendo penitenze severe. A Roma papa Cornelio era sulla stessa lunghezza d'onda di Cipriano mentre un presbitero romano di nome Novaziano era per la linea intransigente, quindi per una scomunica perpetua per i traditori.
A complicare le cose si aggiunse la questione dei sacramenti. Papa Stefano I decise per un nuovo battesimo dei lapsi e che questo fosse valido anche se amministrato da sacerdoti lapsi. Cipriano non accettò questa decisione e venne scomunicato. Paradossalmente furono proprio Cipriano, il clemente, ma anche Stefano I, a dover a loro volta testimoniare con il martirio la propria fede, mentre l'intransigente Novaziano non fu così eroico. La scomunica di Cipriano venne presto dimenticata e assieme a Stefano I vennero proclamati santi.
Questa situazione si protrasse ancora per molto tempo, in particolare nella provincia d'Africa, dove la chiesa locale era molto gelosa delle proprie autonomie. Nel secolo successivo troviamo altri due personaggi a contendersi su questo tema e a provocare uno scisma. Ancora una volta protagonista fu la città di Cartagine e la provincia africana. Nel 311 moriva Mensurio vescovo di Cartagine e al suo posto venne eletto Ceciliano. Entrambi questi prelati erano stati traditores durante la persecuzione di Diocleziano. Settanta vescovi della provincia con a capo Donato di Numidia si opposero e nominarono Maggiorino come vescovo di Cartagine. Questi morì pochi mesi dopo e al suo posto venne eletto Donato, provocando appunto uno scisma, quindi la presenza a Cartagine di due linee di vescovi: quelli che successero a Donato detti donatisti e i successori di Ceciliano nella linea del papato. Solo nel V secolo sant'Aurelio di Cartagine riuscì, anche con l'aiuto di sant'Agostino d'Ippona, a ricomporre la questione.
