Pietra di Bologna
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La Pietra di Bologna è un'iscrizione latina in forma di epitaffio per Aelia Laelia Crispis, risalente probabilmene al XVI secolo, anche conosciuta come enigma di Aelia Laelia Crispis.
Indice |
[modifica] Il testo
D M
AELIA LAELIA CRISPIS LVCIVS AGATHO PRISCIVS |
Agli dei mani Elia Lelia Crispide Lucio Agato Priscio |
[modifica] Origine dell'iscrizione
I primi riferimenti alla pietra di Bologna compaiono in alcuni documenti del XVI secolo. In particolare, l'erudito belga Giovanni Torre, ospite di Marcantonio Volta presso il complesso di Santa Maria di Casaralta, ne cita il testo in una lettera indirizzata a un collega inglese. Da allora l'iscrizione è stata annotata spesso nei diari di viaggio o nella corrispondenza degli ospiti dei Volta.
Il complesso di Casaralta, oggi stabilimento militare, era stato eretto nel XIII secolo quale priorato dell' Ordo Militiæ Mariæ Gloriosæ, meglio conosciuto come ordine dei frati gaudenti.
Nel 1550 il complesso diventò una commenda e fu assegnato ad Achille Volta, che lo ampliò e ne arricchì gli interni con particolari stravaganti: un caminetto con le fattezze di un'enorme maschera, la cui bocca larga tre metri costituiva l'apertura; il dipinto di un rinoceronte con il motto "NO VUELO SIN VENCER" ("non volo senza vincere" in spagnolo); un bassorilievo di marmo al di sotto del quale compariva la scritta "ASOTUS XXX".
Il testo dell'iscrizione potrebbe essere stato concepito in questo clima da cenacolo umanistico, vicino al mistero, all'allegoria e all'esoterismo.
Nel XVII secolo la dimora fu abitata dal senatore Achille Volta, omonimo del suo antenato, che fece ricopiare il testo - ormai illeggibile - su una nuova lastra di marmo rosso. Questa copia è la "pietra di Bologna" oggi visibile.
In questo rifacimento il testo ha perduto tre versi finali che forse comparivano nella versione originale:
Hoc est sepulchrum intus cadaver non habens
Hoc est cadaver sepulchrum extra non habens
Sed cadaver idem est et sepulchrum sibi
ovvero:
Questo è un sepolcro che non contiene alcuna salma
Questa è una salma non contenuta in alcun sepolcro
ma la salma e il sepolcro sono la stessa cosa.
Secondo Richard White queste righe sono la traduzione di un antico epigramma greco attribuito ad Agatia lo Scolastico.
Attualmente l'iscrizione restaurata nel 1988, è conservata a Bologna presso il Castellaccio del Museo Civico Medievale di Palazzo Ghisilardi-Fava assieme ad un'altra più piccola che ne ricorda la trascrizione per opera del senatore Volta.
[modifica] Le interpretazioni
L'iscrizione di Aelia Laelia Crispis ha sempre suscitato grande interesse, specie in ambito alchemico.
Ecco alcune delle principali soluzioni proposte già nel XVI secolo:
- Niobe (Richard White, XVI sec.)
- Una delle amadriadi, ovvero una ninfa delle querce (Ulisse Aldrovandi, XVI sec.)
- L'acqua piovana (Michelangelo Mari, XVI sec.).
Lo storiografo Calindri nel XIX secolo ha affermato che "celebre ed insigne sarebbe stata Bologna, se altro ancora non avesse avuto e contenuto in sé stessa, che questa enigmatica lapide".
Una trattazione dell'argomento si deve anche a Carl Gustav Jung, mentre Gerard de Nerval cita Aelia Laelia in due racconti: Pandora e Le Comte de Saint-Germain.
Le interpretazioni più recenti vogliono che l'iscrizione non sia altro che un gioco umanistico, uno scherzo, un'invenzione erudita per far scervellare gli interpreti.
[modifica] Bibliografia essenziale
- Nicola Muschitiello (a cura di). Aelia Laelia. Il mistero della Pietra di Bologna. Bologna, Il Mulino, 2000.
- Umberto Cordier. Guida ai luoghi misteriosi d'Italia.Alessandria, Piemme, 2002.
- Cortesi Paolo. Manoscritti segreti. Dai misteri del Mar Morto alle profezie di Nostradamus. Roma, Newton & Compton, 2003