Processo a Socrate
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Descritto da Platone nella celeberrima Apologia di Socrate, il processo di Socrate fu una vicenda giudiziaria molto controversa, conclusasi tragicamente con la condanna a morte del filosofo, ritenuto colpevole, secondo le leggi ateniesi, di empietà e corruzione della gioventù.
Il pensiero e la filosofia di Socrate - e le questioni che questo faceva sorgere: non solo su cose effimere ma anche in campi politici, etici e legali - gli valsero le ire dei potenti di Atene, timorosi dell'influenza che il filosofo aveva nei confronti dei giovani. Gli fu attribuito pertanto di corrompere la gioventù e non credere negli dèi della città, introducendone di nuovi.
Queste accuse gli verrano rivolte da un ambizioso giovane, Meleto (con il supporto di Anito e Licone); esse erano però ben radicate nell'elite della città, che mal sopportava le interrogazioni socratiche - con cui il filosofo dimostrava che la sapienza posseduta dai grandi uomini dell'Agorà era nulla - da cui si sentiva insultata.
Il processo si tenne nel 399 a.C. innanzi a una giuria di 501 cittadini di Atene, e - come da programma per una figura come quella di Socrate - fu atipico: egli si difese contestando le basi del processo, anziché lanciarsi in una lunga e pregevole difesa (consuetudine del tempo). Fu riconosciuto colpevole per uno stretto margine di voti - appena trenta. Dopodiché, come previsto dalle leggi dell'Agorà, sia Socrate che Meleto dovettero proporre una pena per i reati di cui l'imputato fosse stato accusato. Socrate, nell'esempio supremo di ironia socratica, propose di essere mantenuto a spese della collettività nel Pritaneo (onore dei benefattori della città), salvo poi consentire di doversi multare - seppur di una somma ridicola (una mina d'argento dapprima, cioè tutto quel che gli era effettivamente in possesso, trenta mine poi, sotto pressione dei suoi seguaci, che si fecero garanti per lui). Meleto chiese invece la morte.
Furono messe ai voti le proposte, e con verdetto quasi unanime (140 voti a favore contro 360, secondo Diogene Laerzio II,42) gli ateniesi accolsero la proposta di Meleto, più per l'impossibilità di punire Socrate multandolo di una somma così ridicola che per effettiva volontà di condannarlo a morte: era pratica diffusa auto esiliarsi dalla città pur di sfuggire al giudizio, ed era probabilmente su questo che contavano gli stessi accusatori. Ma egli, come racconta Platone nel dialogo del Critone rifiutò le proposte dei suoi discepoli, che avevano ormai organizzato la sua fuga, adducendo la motivazione che se pur le leggi da giuste erano divenute ingiuste verso di lui, non sarebbe stato moralmente giusto infrangerle per non offendere gli ateniesi che ancora le ritenevano giuste. Bevendo la cicuta Socrate divenne il primo della ristretta cerchia dei martiri della filosofia, morendo all'età di 70 anni.
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Per approfondire, vedi la voce Socrate (Il dialogo: sommo bene). |
Poiché il giudizio nei tribunali ateniesi veniva dato dall'intera comunità, è comprensibile come egli sia stato riconosciuto colpevole: dopo il regime dei Trenta tiranni. (di cui un suo allievo, Crizia, fece parte) e il tradimento di Alcibiade (altro suo discepolo) vi era una grande diffidenza nei confronti dell'insegnamento di Socrate; Non lo aiutavano le sue simpatie oligarchiche,sebbene egli rimase sempre leale nei confronti del governo della città, condannando la tirannia.
