Chiesa di Sant'Antonio (Breno)
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La chiesa di Santo Antonio a Breno è nota principalmente per essere stata una delle tappe del percorso artistico del Romanino in Valcamonica
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[modifica] La storia
La edificazione della chiesa risale alla metà del XIV secolo; la sua struttura si modificò poiintegralmente tra il 1467 ed il 1516, adattandosi, per così dire, allo sviluppo del tessuto urbano di Breno sino ad assumere l’aspetto che tuttora conserva. La chiesa, con i suoi modi stilistici assai semplici, di impronta goticheggiante, segue infatti le irregolarità della piazza antistante e dalla strada in salita che costeggia il suo lato sinistro. Un portale quattrocentesco, in arenaria rossa, abbellisce la facciata; nella lunetta soprastante si vedono le tracce quasi illeggibili di un affresco della Madonna in preghiera tra gli Angeli.
L'interno della chiesa è ad aula unica, divisa in tre campate che si ampliano verso il presbiterio. La allogazione al Romanino degli affreschi da eseguire sulle pareti del presbiterio è databile attorno al 1535, subito dopo i lavori eseguiti dall’artista bresciano per la chiesa di Santa Maria della Neve a Pisogne, e ne rappresenta il periodo di massimo splendore.
In precedenza una serie di artisti, operanti in tempi diversi, aveva decorato le pareti della navata con affreschi che sono andati in gran parte persi, salvo alcune figure di santi recuperate da un restauro eseguito nell’anno 2000.
Rimangono invece intatte le pregevoli decorazioni a fresco sulla volta a vela del presbiterio, con le figure degli Evangelisti e dei Dottori della Chiesa eseguite forse da un artista locale, Pietro di Cemmo, che si ispira ai modi stilistici di Vincenzo Foppa (alcuni critici vogliono che l'autore sia lo stesso Foppa, altri il Civerchio).
Del 1527 è la grande pala d'altare posta sulla parete di fondo del presbiterio, raffigurante una Madonna col Bambino fra i santi Rocco, Sebastiano, Antonio Abate e Siro, opera del pittore lodigiano Callisto Piazza, con orientamenti stilistici che sembrano guardare al Moretto e al Romanino.
Nel XVII secolo la chiesa cominciò a decadere, sino essere sconsacrata verso la fine dell'Ottocento, quando divenne caserma e poi cinematografo.
Dichiarata monumento nazionale nel secolo scorso, la chiesa fu provvidenzialmente sottoposta ad una serie di restauri che hanno consentito di salvare il salvabile.
[modifica] Gli affreschi del Romanino
Gli affreschi eseguiti dal Romanino nella chiesa di Sant'Antonio sono ispirati da quella vena grottesca ed anticlassica che pervade il percorso dell'artista in Valcamonica.
Anch'essi purtroppo hanno sofferto delle mutilazioni prodotte dal lungo periodo di degrado della chiesa. Dell'importante ciclo i realizzato per ricoprire interamente le tre pareti del presbiterio, solo le scene poste sulla destra si lasciano compiutamente riconoscere. Il tema iconografico che Romanino svolge (da connettersi verosimilmente alle qualità taumaturgiche di Sant'Antonio Abate) è piuttosto insolito: esso si riferisce ad un episodio biblico tratto dal Libro di Daniele
Tre giovani compagni del profeta, chiamati come lui alla corte del re assiro Nabucodonosor, si rifiutano di commettere apostasia e vengono condannati dal sovrano ad essere arsi vivi in una fornace.
- «E' vero, Sadràch, Mesàch e Abdènego, che voi non servite i miei dei e non adorate la statua d'oro che io ho fatto innalzare? » [...] Ma [essi] risposero al re Nabucodònosor: «Re, noi non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito; sappi però che il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace con il fuoco acceso e dalla tua mano[...].» (Daniele, 3)
L'affresco interpreta con grande sapienza narrativa lo svolgersi del racconto biblico. Sul lato destro vediamo i tre giovani israeliti trascinati da davanti al re assiro soldati in lucenti armature: essi hanno i tratti popolari, dolenti e ribelli, delle persone che soffrono dell'arroganza dei potenti. Poi vediamo i trombettieri – colti nel loro comico sforzo di soffiare quanto più possono nei loro strumenti - che chiamano tutti a prostrarsi dinnanzi alla statua d'oro; infine si assiste alla scena dei sodati uccisi dall'insopportabile calore riverberato all'esterno della fornace, mentre i tre compagni di Daniele vengono salvati da un angelo del Signore che allontana da loro le vampe della fornace.
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- Particolari del Miracolo dei tre compagni di Daniele
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Una balaustra è posta sopra la scena per riempire verso l'alto tutto lo spazio pittorico; essa è popolata da una variegata schiera di personaggi vocianti, che commentano quanto avviene sotto i loro sguardi, come a coinvolgere lo spettatore invitandolo ad entrare anch'egli nella scena.
Siamo di fronte ad una narrazione sapientissima, che non esita a far uso di prospettive incongrue per catturare l'attenzione di chi guarda; una narrazione ricca di asprezze nordiche, che trasmette un forte senso drammatico, con brani in cui l'artista mostra tutto il suo talento di disegnatore (si veda ad esempio lo scorcio dei soldati uccisi dal calore) ed altri ispirati ad una sorta di compiacimento per i dettagli stravaganti (come i due cani che si azzuffano in primo piano davanti alla scena della fornace). La tavolozza del Romanino, con una ampia gamma di grigi e di gialli, è capace di rincorrere le diverse vibrazione della luce che irrompe sulle scene del racconto.
Impossibili da riconoscere, a causa delle mutilazioni subite, sono invece gli episodi che raffigurati sulla parete di fondo, ai due lati della grande pala del Piazza (sono state avanzate le ipotesi di Susanna proclamata innocente da Daniele, del Banchetto di Erode e del Convito di Baldassare) e di quelle sulla parete di sinistra (ipotesi del Tradimento di Giuda o dell' Arresto di Daniele)
Le parti superstiti degli affreschi testimoniano anch'esse la freschezza con cui Romanino riesce tratteggiare impressionisticamente la copiosa messe di personaggi che escono dal suo pennello: E’ ancora il suo gusto per i dettagli stravaganti ad esprimersi nella variegata tipologia di copricapi che tali personaggi esibiscono.