Hermes (rivista)
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Hermes nasce come rivista di critica e letteratura di ispirazione colta e dannunziana a Firenze nel 1904 da Enrico Corradini e dal giovane Giuseppe Antonio Borgese.
Il 1 gennaio del 1914 nasce a Firenze la rivista Hermes che prende il nome dal greco conduttore di "molte anime al di là dei confini del mondo, nel fantastico Ade".
Essa si presenta subito di chiara impronta paganeggiante e dannunziana, come viene esplicitamente dichiarato nella Prefazione-Manifesto.
Il primo numero della rivista riporta al posto d'onore la prosa Le parabole del bellissimo nemico. Il figliuol prodigo di Gabriele D'Annunzio e si dichiara subito come rivista dalle disposizioni più che critiche, emotive.
I dodici grossi fascicoli dell'"Hermes", stampati a mano su carta e adorni di incisioni in legno, riportano le parole prodotte dagli intellettuali di un piccolo gruppo borghese: Corradini e Giovanni Papini prima di tutti insieme a Borghese e poi il gruppo dei minori come Mario Maffei, Nello Tarchiani, Marcello Taddei, Luigi Dami.
Nel Congedo dell'ultimo numero di "Hermes" nel 1904, XII, p. 266, viene fatto un consuntivo compiaciuto e generico dell'opera svolta ("fummo alacri scandagliatori di verità e di bellezza, di fantasie e di coscienza"), viene ribadito il culto della forma espressa, la certezza del "prossimo risorgimento" nazionalistico e soprattutto confermata l'idolatrica devozione dannunziana.
"Qualcuno si maraviglierà leggendo che per noi è aristocratica quell''ARTÈ, nella quale la forma sia espressiva ed intimamente connaturata al contenuto.
É dunque aristocratica l'arte; e l'epiteto sembrerebbe ozioso, se non fosse oggi proprio un'esigua minoranza, una vera aristocrazia quella che riconosce il valore espressivo dell'arte e non ostenta un ebete disprezzo per la FORMA, disgraziatissima fra tutte le parole.
Del resto noi rinunceremmo volentieri all'ambiguità della parola ARISTOCRATICA, se fossero molti anzi che pochi a comprendere quando un poeta sia riuscito ad esprimere e quando sia fallito; se in una parola, la folla tornasse all'intelligenza della forma, che ebbe nella Grecia antica.
Ed anche noi, dunque, con la Grecia. Siamo, diranno, PAGANI e DANNUNZIANI. E si: noi amiamo ed ammiriamo Gabriele D'Annunzio più di ogni altro nostro poeta moderno, morto o vivo che sia, e da lui ci partiamo nella nostra arte.
Siamo DISCEPOLI del D'Annunzio, come il D'Annunzio fu discepolo del Carducci e il Carducci del Foscolo e del Monti. Ma se dannunziano significa scimmia del D'Annunzio disprezziamo l'ingiuria, e passiamo oltre.
Gabriele D'Annunzio è per noi un grande MAESTRO, non un allevatore di fringuelli ammaestrati".
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