Discussione:Pensiero
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PENSIERO
L'uomo, fin dai tempi antichi, è stato consapevole delle sue capacità di ricordare le cose, di riflettere sulle sue azioni per meglio dirigerle verso gli scopi che intende raggiungere. Il tentativo di dare una spiegazione di questa capacità ha portato alle teorie più diverse e poiché ci troviamo di fronte a fatti non misurabili con strumenti fisici, il pensiero è stato generalmente inteso come funzione di una sostanza, non materiale, presente nell'uomo; il pensiero è stato definito come una facoltà (cioè una “capacità”. Spiegazione alquanto tautologica)
Tuttavia la spiegazione delle peculiari capacità del pensiero umano ha posto, fin dall'antichità, non pochi problemi. Anassàgora credeva che il pensiero non fosse dei singoli ma appartenesse ad una mente universale (νοΰς, pron. nùs); Aristotele intendeva che il pensiero fosse una funzione dell'organismo umano, ma i concetti fossero forme del pensiero causate da un fattore divino (sarà poi indicato come intelletto attivo ). San Tommaso difende la individualità e la immortalità dell'anima intesa come forma sussistente del corpo ed il pensiero sarebbe una sua facoltà peculiare. Nel 1700, altri, orientati in spiegazioni di tutt'altro tipo, hanno sostenuto che il pensiero fosse un prodotto fisiologico del cervello ottenuto dalla estrema complessità delle connessioni neurologiche (La Mettrie, Helvetius, Holbach).
In tempi recenti gli studi di analisi linguistica hanno messo in evidenza le improprietà concettuali di molti dei predetti discorsi e la perversa tendenza reificante del nostro linguaggio, che giunge fina ad immaginare il pensiero alla stregua di uno strumento o addirittura come un prodotto cerebrale.
La base interpretativa delle odierne spiegazioni della psicologia è data dall'intendere l'unità psico-fisica come due aspetti della stessa realtà dell'individuo: l'aspetto oggettivo e l'aspetto soggettivo. Il primo corrisponde a tutto ciò che in un individuo è oggetto di osservazione; il secondo corrisponde alle proprie vicende individuali in quanto vissute e, quindi, di per sé, note solo al soggetto stesso. È vero che non vi è pensiero a cui non corrisponda attività neurologica nell'individuo, ma tra i due eventi non vi è nessun rapporto di causalità, si tratta bensì di una stesso evento vissuto dal soggetto o considerato come fatto fisico. Il pensiero è, in un individuo, il suo vissuto, immaginativamente rappresentato. Così inteso, includiamo in esso sentimenti, affetti, intuizioni, attività di riflessione, di giudizio, decisionale, ecc. Tuttavia generalmente il termine pensiero viene usato con un significato più ristretto ossia come riflessione che prende in esame (che giudica) le esperienze vissute. In questo senso lo indichiamo in opposizione agli stati affettivi e poniamo la dicotomia: pensieri e sentimenti.
Vi è infine la dizione di pensiero come contenuto dell'attività pensante per cui diciamo “un nobile pensiero”, un “cattivo pensiero”, i “miei pensieri", “levati dalla mente questo pensiero” ecc. In questo caso noi reifichiamo quelle che sono solo forme di coscienza e non sapremmo fare diversamente per poter discutere di esse. Gli studiosi di psicologia su questo argomento assumono due distinte posizioni, quella comportamentistica e quella cognitivistica.
La prima, preoccupata della legittimità scientifica di ogni sua affermazione, ritiene che il progetto di una scienza che studi il pensiero si fonda su un palese equivoco: il pensiero è un vissuto soggettivo e come tale non è oggettivabile onde poter divenire materia di osservazione scientifica. Ciò che crediamo di studiare come pensiero sono invece i comportamenti fonetici, grafici, posturali di un individuo (SKINNER, Il comportamento verbale ). Nell'indirizzo Behavioristico o comporamentistico della psicologia non troveremo dunque studi sul pensiero, ma solo studi sul comportamento o, più precisamente, il pensiero è studiato come forma di comportamento sia a livello di encefalogramma che come risposta operativa ad una data situazione.
Il Cognitivismo ritiene invece che, per mezzo dell'introspezione (attentamente controllata), possiamo indagare sugli stati di coscienza e cioè sul pensiero. Punto di partenza per questi studi possono essere considerati The Principles of Psychology di William James (1980). Lo psicologo statunitense evidenzia che i pensieri non sono qualcosa che si colloca nella coscienza, ma sono la coscienza stessa che, come vissuto soggettivo, modifica via via le sue forme. Tutti i suoi studi si rifanno ad attente analisi introspettive. Sulla linea del cognitivismo troviamo gli studi del funzionalismo, della psicoanalisi, della Gestalt-psychology.
Ponendo attenzione al comportamento degli animali è facile dedurre che anche in essi è un vissuto soggettivo e quindi anche in essi, se vi è in qualche modo rappresentazione immaginativa, è presente un'attività di pensiero anche se nell'uso corrente si parla piuttosto di intelligenza animale, riservando per l'uomo la denominazione di pensiero. Indubbiamente le forme del pensiero animale sono in corrispondenza del grado di sviluppo che l'individuo ha nella scala zoologica e sarebbe errato attribuire ad essi quelle stesse del pensiero umano.
Il termine "pensiero” ha tuttavia, in psicologia, un significato molto impreciso e quindi viene generalmente specificato da attributi che indicano un'attività della coscienza in particolare. Abbiamo innanzitutto la distinzione tra il pensiero non comunicabile e quello comunicabile. Il primo è vissuto dal soggetto ma è privo delle forme necessarie perché possa essere comunicato agli altri. Viene pure detto non socializzato.
Il pensiero non comunicabile può essere pensiero non orientato (dalla intenzionalità del soggetto) o anche pensiero orientato. Al primo corrisponde il pensiero autistico, studiato dalla psicoanalisi; sono inclusi in esso sentimenti ed emozioni che non hanno nella coscienza una rappresentazione che corrisponda agli schemi mentali necessari alla comunicazione con gli altri. Questo tipo di pensiero può divenire comunicabile solo attraverso il linguaggio mitologico.
Il pensiero non comunicabile, ma orientato è quello egocentrico del bambino che pensa, ma non ha ancora maturato schemi mentali validi per poterlo comunicare agli altri.
Il pensiero comunicabile è invece quello che, nel momento stesso in cui è vissuto, viene formulato negli schemi mentali del linguaggio. Viene detto perciò pensiero socializzato.
Il pensiero socializzato ci porta a considerare attentamente il rapporto tra pensiero e linguaggio.
Il linguaggio è la simbolizzazione, in segni fonetici, grafici, ecc., dei nostri vissuti; quando non si riesce a trovare simbolizzazioni per questi vissuti si è nelle condizioni del pensiero non comunicabile, anzi il soggetto non può neppure riproporlo a se stesso come oggetto di riflessione. Poiché il bambino è sollecitato a questo lavoro di simbolizzazione prima dalla mamma, poi dalla scuola, insomma dal contesto sociale in cui vive, il pensiero comunicabile è anche detto socializzato. La psicolinguistica e la sociologia della conoscenza (detta pure: Wissenssoziologie) studiano questi aspetti del pensiero umano.
Possiamo considerare inoltre l'attività di pensiero per le forme in cui essa si svolge in funzione di scopi precisi. Abbiamo: il pensiero immaginativo, creativo, associativo, intuitivo, riflessivo, schizofrenico. Distinguiamo infine il pensiero preoperatorio, operatorio-concreto e logico-formale che sono schemi diversi del pensiero che caratterizzano, nell'uomo, le fasi dello sviluppo dal bambino all'adolescenza.
Il pensiero immaginativo è quello del soggetto che simbolizza i propri stati d'animo in immagini che non hanno la funzione di rispondere a progetti operativi, bensì di soddisfare esigenze psicologiche profonde o anche di cui si é coscienti.
Il pensiero creativo organizza esperienze e conoscenze in funzione di progetti operativi.
Il pensiero associativo collega, nella coscienza, una esperienza ad un'altra. È funzionale sia all'attività fantastica che a progetti operativi sul piano concreto (non su quello operativo-formale). È tipico del pensiero animale e degli schemi mentali del pensiero infantile.
Il pensiero intuitivo opera simbolizzando il vissuto in immagini e sostituendo una immagine meno valida con una più valida sia sul piano della produzione fantastica che sul piano operativo. Per esempio un triangolo simbolizzato come metà rettangolo ci offre la possibilità di calcolarne la superficie.
Il pensiero riflessivo opera invece elaborando schemi mentali che possono essere operativo-concreti (come nella fanciullezza) ovvero logico-formali (come a partire dalla tarda pubertà). Gli schemi mentali operativo-concreti procedono associando una soluzione precedentemente sperimentata come positiva ad una situazione che si presenta pressoché analoga. Gli schemi mentali logico-formali procedono nella compilazione di un quadro di tutte le possibilità, cioè di tutte le ipotesi che non implicano contraddizioni, ed in esso cercano la soluzione del problema.
Il pensiero schizofrenico: sotto questo nome va un insieme di tipologie patologiche e generalmente quei casi in cui le forme in cui via via si evolve la coscienza, sotto lo stimolo di fattori esterni, non sono coerenti l'una all'altra.
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