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Iacopone da Todi (nato in un anno compreso tra il 1230 e il 1236 – morto circa nel 1306). E’ stato forse il poeta più originale del 1200’, una delle personalità più inquietanti della nostra civiltà letteraria. Nonostante si fosse inserito nel solco della tradizione francescana, I. non vide più il rapporto fiducioso e ottimistico con la natura, che invece potè vedere San Francesco; egli non oppone la ricchezza e il potere ai valori della natura; la sua lotta è invece tragica e sfiduciata. La visione pessimistica di I. è giustificata dal fatto che egli vive con la chiesa saldamente riorganizzata nel potere temporale, e con il modello teocratico di Bonifacio VIII che a poco a poco soffoca la tradizione degli “spirituali”, fedeli alla regola di San Francesco. La religiosità di I. si pone come ripulsa radicalmente dal mondo dei suoi interessi ed egoismi; legandosi alla più dura tradizione ascetica medievale, I. rifiuta il corpo e tutte le debolezze e le ipocrisie della vita sociale. La sua poesia afferma così fin in fondo la negatività del mondo; descrive tutti i segni del male, della morte, del peccato; ma la sua rabbiosa asocialità non esclude comunque una forte carica comunicativa; egli manifesta il suo ripudio del mondo sempre attraverso il dialogo e il contatto, prendendo di petto l’ascoltatore, quasi a convincerlo con una sorta di violenza fisica. Molte laude hanno la struttura del “contrasto”, sono cioè scontri tra voci diverse: la voce divina scuote l’anima, si alterano rimproveri e giustificazioni e scattano dispute tra entità spirituali o tra persone. La poesia di I. vuole definire la natura dell’amare divino che è gioia e dolore, pace e guerra. E’ un amare che assedia e aggredisce l’anima, la urta e la provoca senza tregua, è suprema “esmesuranza” (termine coniato dallo stesso Iacopone), negazione di ogni limite, immensità che annulla ogni realtà, ogni consistenza del mondo; la parola non può realmente esprimere il sentimento dell’autore, ma solo darle un’immagine pallida ed allusiva.