Sankin kōtai
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Il sankin kōtai, pratica che nel Giappone di epoca Tokugawa venne sancita legalmente per la prima volta dopo secoli di applicazione consuetudinaria e che, in tale periodo, conobbe la sua massima diffusione. Per comprenderne pienamente l’importanza è necessario non solo collocarne con esattezza l’analisi nel quadro storico di cui costituisce uno dei molteplici provvedimenti, ma anche analizzare e valutare quelle conseguenze, più o meno previste dai legislatori dell’epoca, che ne costituiscono una parte inscindibile. Infatti in questa sede si desidera mostrare come una norma tra le norme, banale e, forse, scontata all’apparenza, agì in maniera inconsapevolmente attiva in un contesto sociale ed economico in lento ma inesorabile mutamento, fino a divenire una delle cause che concorsero allo sgretolamento di quel sistema di cui, invece, avrebbero dovuto mantenere e garantire lo status quo. Ciascuno dei capitoli successivi prenderà in esame un aspetto del sankin kōtai: dapprima se ne valuterà l’importanza politica, quindi quella economica e, infine, quella socio-culturale, cercando di presentare da un lato gli effetti ottenuti e, dall’altro, gli effetti che, invece, si sarebbero dovuti ottenere. Si cercherà di mettere in luce la dissonanza fra le intenzioni della politica adottata e strenuamente difesa dell’élite al potere e i reali mutamenti che gradualmente ebbero luogo in seno alle quattro classi in cui la società giapponese era suddivisa. Generalmente al sankin kōtai viene attribuito un peso abbastanza marginale nel contesto dei provvedimenti attuati dai Tokugawa: difatti nei diversi testi consultati se ne fa risaltare talora un singolo aspetto, talora una qualche caratteristica ma, se si uniscono tutte le informazioni, alla stregua di piccoli tasselli, il mosaico che ne risulta mostra che in realtà esso arrivò a influire finanche su aspetti minuti della vita dell’epoca. Ed è proprio la scoperta di continui rimandi e riferimenti a tale sistema che giustifica la scelta di dedicargli più ampia trattazione. Tuttavia, a questo punto, affinché si possa meglio riuscire a contestualizzare l’oggetto del presente elaborato, si rendono necessarie alcune precisazioni. In primo luogo è bene spiegare che sankin kōtai è un termine piuttosto generico che in epoca Edo designava l’atto, compiuto dai daimyō, di recarsi alla capitale, per ottenere udienza presso lo shōgun o per svolgere mansioni di vario tipo, rispettando un calendario e un codice di comportamento rigidamente prestabiliti. Il vocabolo sankin può essere trascritto in kanji in due modi: 参覲 e 参勤. Il primo kanji del composto, ossia 参 (SAN-mai), ha il duplice significato di “andare” e “venire”, tuttavia per comprenderne il reale contenuto semantico è necessario tenere presente che sottintende un’azione compiuta con rispetto e umiltà; difatti il verbo 参る (mai-ru) viene utilizzato soprattutto nell’ambito del kenjōgo o “linguaggio umile”. La resa di KIN con due kanji diversi non comporta differenze nella pronuncia del fonema risultante, ma occorre sottolineare che nel kanji 覲 è presente il radicale 見 (mi) che indica il vedere, l’apparire, il mostrare, mentre il kanji 勤 denota l’atto di servire o di svolgere un incarico. Pertanto il vocabolo sankin suggerisce lo spostarsi da un luogo a un altro per ricevere udienza da un superiore o per compiere un incarico, invece kōtai (scritto 交代 o 交替) significa letteralmente “alternanza”, “avvicendamento”, e, di conseguenza, indica il ritorno, al termine dello svolgimento dell’incarico ufficiale, nel proprio territorio d’origine. Si fa cenno alla pratica del sankin già nel Nihon shoki (“Annali del Giappone”), opera di carattere storiografico risalente ai primi decenni dell’VIII secolo a.C., e in epoca successiva a essa si fa riferimento negli annali del bakufu di Kamakura, ovvero nello Azuma kagami (“Specchio delle province orientali”) compilato fra il XIII e il XIV secolo. Ma, dal punto di vista formale, è possibile riconoscere gli antecedenti storici del sankin kōtai nel ban’yaku e nello ōban’yaku svolti dai gokenin del periodo Kamakura , in quanto anch’essi costituivano dei servizi obbligatori da compiersi, in periodi stabiliti, rispettivamente presso la sede del bakufu e la corte imperiale. All’inizio del XVII secolo, quando Tokugawa Ieyasu, dopo aver imposto la propria egemonia sull’intero Paese, ebbe assunto la carica di shōgun, i daimyō presero l’abitudine di recarsi periodicamente a rendergli omaggio e, a partire da Maeda Toshinaga del potente, nonché prospero, han di Kaga, iniziarono a costruire delle residenze nella capitale e a tenervi i loro familiari. Tuttavia il termine composto sankin kōtai venne utilizzato per la prima volta, con l’accezione con cui ancor oggi è maggiormente noto, solo dopo il 1634, anno in cui Iemitsu, il terzo shōgun Tokugawa, codificò in norme precise, attraverso la revisione del Buke shohatto, quella che oramai era una consuetudine stabilita. Da allora, la maggior parte daimyō fu obbligata per legge a recarsi a Edo ad anni alterni e fu ivi tenuta a costruire delle dimore in cui far risiedere in permanenza consorti ed eredi legittimi che, in tal modo, divennero veri e propri ostaggi lasciati allo shōgun quale dimostrazione di lealtà, obbedienza e sottomissione. Da tutto ciò si può facilmente desumere che il fenomeno, in sé, non fosse nuovo in Giappone, ma:
la novità e l’importanza delle “residenze alternate” sta nelle dimensioni, nella regolarità e nella capillarità di questa coercizione e nel fatto che essa fosse applicata, ininterrotta ed inalterata, per oltre due secoli, mentre nel paese si andavano verificando tanto profondi mutamenti economici e sociali.
La scelta del governo centrale di dar corpo a questo sistema non fu certamente casuale e anzi si colloca nell’ambito di quei provvedimenti cui il bakufu fece ricorso al fine di garantire la cosiddetta Pax Tokugawa. Infatti, una volta terminato, dopo un lungo periodo di lotte intestine, il faticoso processo di unificazione del Paese, alla casata che da tale processo uscì vincitrice non restò che mantenere e rendere stabile il proprio dominio. A tale scopo vennero adottati provvedimenti e misure volti a contenere quelle forze che, se non sufficientemente tenute sotto controllo, avrebbero potuto sovvertire l’ordine appena costituito. Il bakufu si occupò in primo luogo dei daimyō ricompensando coloro che gli erano stati fedeli e controllando coloro che, prima della battaglia di Sekigahara del 1600, decisiva per la conquista del Paese, gli erano stati ostili, poi, una volta assegnati i vari han, il bakufu diede inizio a una politica che lo portò in breve tempo a consolidare il proprio potere. E proprio grazie alla regolamentazione del sistema del sankin kōtai si ottennero molteplici risultati degni di nota. Innanzitutto le periodiche visite a Edo consentirono di tenere sotto stretta e diretta sorveglianza i signori feudali, fatto questo che, dopo il lungo periodo di lotte interne che aveva visto più e più volte l’instaurarsi di pericolose alleanze, non poteva che costituire un notevole pregio; inoltre, le ingenti spese di viaggio e di mantenimento della doppia residenza - nello han e a Edo - rese questi ultimi deboli e vulnerabili sotto il profilo finanziario. In questo quadro, come è già stato accennato, non è affatto da trascurarsi la pratica di lasciare degli ostaggi in permanenza alla capitale, che, come il bakufu ben sapeva, costituiva di per sé un deterrente ai comportamenti ostili, o potenzialmente tali, nei confronti del governo centrale, a causa delle pesanti ripercussioni cui poteva dar seguito. Oltre a ciò si deve considerare la graduale ma costante trasformazione dei daimyō da bushi in burocrati e cortigiani, dediti maggiormente agli affari di governo dei loro feudi e, soprattutto, ai piaceri offerti dalla vita nella capitale, che alle arti marziali. Come è facile intuire questo lento ma inesorabile spostamento di interessi li rese, col tempo, decisamente meno propensi a occuparsi degli affari del governo centrale… per lo meno fino a che quest’ultimo fu in grado di tenere saldamente in mano le redini del Paese. Non è difficile immaginare che il sankin kōtai, pur riguardando direttamente solo i diretti vassalli dello shōgun, non restò un fenomeno circoscritto unicamente ai daimyō, ma coinvolse in vari modi e si ripercosse anche su tutte le altre classi in cui era suddivisa la società Tokugawa. Una delle conseguenze immediate del sistema fu la crescita mercantile di alcune importanti città, prima fra tutte Ōsaka, che divennero dei grandi centri di raccolta in cui veniva convogliato il riso proveniente da tutti gli han del Paese allo scopo di convertirlo in denaro. In questo contesto assunse sempre maggior peso la classe degli shōnin che, seppur ritenuta “improduttiva” dalla dottrina confuciana, divenne parte essenziale di tutte le transazioni che si rendevano necessarie affinché i daimyō entrassero in possesso di quei capitali che erano loro fondamentali per sostenere le spese di viaggio e di mantenimento delle residenze feudali e del personale addetto. Il delicato rapporto instauratosi fra la classe samuraica e quella mercantile, caratterizzato dalla crescente dipendenza della prima dai servizi offerti dalla seconda, portò alla lenta erosione della maggior parte dei patrimoni nobiliari favorendo il progressivo arricchimento degli shōnin. Pertanto, se all’inizio del periodo i bushi erano coloro che detenevano tanto la preminenza sociale che quella economica, negli oltre due secoli e mezzo di dominio dei Tokugawa si poté assistere al loro lento declino e alla conseguente ascesa degli shōnin quali detentori se non del primato sociale per lo meno di quello economico, ed è importante notare che lo sviluppo di forme economiche avanzate che si accompagnò a questo spostamento di ricchezze contribuì a preparare il Paese alla modernizzazione del XIX secolo. Il peso del sankin kōtai sulle finanze dei singoli han che, in un primo tempo, aveva favorito l’opera di accentramento del governo centrale ed era perciò stato da esso sostenuto, in un periodo successivo, proprio a causa di quelle conseguenze inattese cui aveva dato luogo, cominciò a divenire fonte di preoccupazione tanto che più di una volta vennero emesse leggi suntuarie e ordinanze per limitare l’eccessivo dispendio dei cortei di accompagnamento e il lusso delle dimore signorili di Edo. Altra importantissima conseguenza del sankin kōtai fu il miglioramento delle vie di comunicazione e dei trasporti. Poiché da tutte le province del Paese i daimyō e i loro numerosi seguiti avevano esigenza di spostarsi periodicamente verso Edo, fu inevitabile lo sviluppo di una capillare rete viaria che fosse in grado di permettere rapidi spostamenti di persone e merci. A questo, ovviamente, va aggiunta la costruzione di locande e stazioni di posta che potessero soddisfare le esigenze degli illustri viaggiatori. Non è affatto trascurabile questo aspetto del sankin kōtai in quanto per riuscire a far fronte alla gamma di servizi offerti dalle stazioni di posta fu istituito il sistema del sukegō, in base al quale ai contadini dei villaggi circostanti venivano richieste prestazioni che sottraevano loro risorse ed energie che altrimenti sarebbero state impiegate nel miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. In genere essi erano costretti non solo a dedicarsi alla costruzione e, quindi, alla manutenzione delle strade, ma anche a fornire, privandosene, un certo numero di cavalli e di giornate di lavoro, ed è evidente che, col tempo, questi oneri finissero chiaramente con l’esasperare la classe contadina e con l’acuirne il malcontento, tanto da divenire causa di molte di quelle rivolte che, soprattutto verso la fine del periodo, contribuirono a minare il potere dei Tokugawa. Dato che il sankin kōtai veniva svolto presso la sede del bakufu, durante tutto il periodo la città di Edo continuò a espandersi sotto il profilo urbanistico e a prosperare sotto il profilo economico, ma certamente degno di nota è altresì il suo pregevole sviluppo culturale. Poco tempo dopo l’entrata in vigore dell’obbligatorietà del sistema, le dimensioni della capitale aumentarono sino a farla divenire una delle città più popolose del suo tempo, difatti la costruzione delle grandi dimore dei daimyō non soltanto ne modificò l’assetto paesaggistico, ma contribuì ad aumentare la popolazione urbana dedita a soddisfare la vasta gamma di esigenze della classe samuraica: Edo divenne quindi un grande centro di consumo, importante soprattutto in qualità di centro politico. La sua rilevanza, unita al sistema del sankin kōtai, attirava a sé, sia la leadership politica che quella culturale dell’intero Paese favorendo la nascita e il confronto tanto di nuove idee che di nuovi modelli culturali. Ed essendo, quella di Edo, una élite in continuo movimento, durante tutto il periodo Tokugawa vi fu un costante flusso osmotico di cultura e conoscenze non solo dal centro ai vari han, ma anche da questi ultimi verso il centro. Perciò si può affermare che in tal modo il sankin kōtai abbia svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo di una vera e propria cultura nazionale e che abbia concorso alla diffusione di quel senso di unità grazie al quale il Giappone fu in grado di fronteggiare, nella seconda metà del XIX secolo, l’impatto con le culture occidentali.