Stelutis alpinis
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Stelutis alpinis | ||
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Autori: | Arturo Zardini | |
Data di pubblicazione: | 1915 - 1918 | |
Genere: | musica corale | |
Stile: | villotta | |
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Stelutis alpinis è uno fra i più celebri brani corali della tradizione italiana, composto da Arturo Zardini (1869-1923), detto il Mulinâr.
Scritto in friulano è per gli abitanti di questa regione, e non solo, un vero e proprio inno. Composto da Zardini quando era profugo a Firenze durante la prima guerra mondiale, non è un brano popolare ove per popolare si intenda di provenienza orale e quindi di valenza assoluta per gli appassionati di etnomusicologia, ma si tratta di un brano d'autore sia nel testo che nella musica.
Si richiama vagamente nella forma alla villotta friulana in cui due parti superiori (tenori primi e secondi) procedono per moto parallelo e una o due parti inferioni (bassi e baritoni) "contrappuntano" sui gradi fondamentali della scala, in questo caso di Re maggiore.
È un caposaldo indiscusso della musica corale che gli estimatori del settore trattano come "una reliquia" proprio per la sacralità di un testo che, pur non facendo riferimenti espliciti a scritti religiosi o liturgici, è considerato la vera preghiera dell'alpino, e spesso è cantato durante le celebrazioni liturgiche a cui partecipano i militari di montagna.
La bellezza e la dolcezza del brano è stata avvalorata da esecuzioni splendide da parte di grandissimi cori come i Philippines Madrigal Singer di Manila o il coro Tone Tomsic di Lubiana.
Numerosi anche i compositori che hanno tenuto in considerazione il melos del brano per una propria rivisitazione come ad esempio Antonio Pedrotti per il coro della SAT, Mario Lanaro, Lamberto Pietropoli eccetera.
Fra gli artisti che sono stati ispirati dal brano vi è anche Francesco De Gregori che l'ha ripreso nell'album Prendere e lasciare.
L'interpretazione migliore per questo brano è da intendersi "sottovoce" con alcuni piccoli crescendo per l'enfatizzazione di qualche parola. Un vero e proprio madrigale moderno di valore inestimabile narra di un alpino morto nella grande guerra, il quale si rivolge alla propria sposa, dicendole che lui e la stella alpina le saranno sempre accanto.
![]() «Se tu vens cassù ta cretis,
là che lôr mi àn soterât, al è un splàz plen di stelutis: dal gnò sanc 'l è stât bagnât. Par segnâl, une crosute jé scolpide lì tal cret: fra chês stelis nàs l'erbute, sot di lôr jò duâr cuièt. Ciòl, su, ciòl une stelute: je a' ricuarde il nestri ben. Tu i darâs n'e bussadute, e po plàtile tal sen. Quan che a cjase tu sês sole e di cûr tu préis par me, il gnò spirt atôr ti svole: jò e la stele sìn cun te. Ma 'ne dì, cuant che la vuere a' sarà un lontan ricuârt, tal tô cûr dulà che a' jere stele e amôr, dut sarà muart. Resterà par me che stele che il miò sanc al à nudrît, par che lusi simpri biele su l'Italie a l'infinît.» |
![]() «Se tu vieni quassù tra le creste,
laddove mi hanno sepolto, c'è uno spiazzo pieno di stelle alpine: dal mio sangue è stato bagnato. Come segno una piccola croce scolpita lì nella roccia: fra quelle stelle nasce l'erbetta, e sotto di loro io dormo sereno Cogli cogli una piccola stella: ti ricorderà il nostro amore. Dalle un bacio, e poi poggiala sul tuo seno. Quando a casa tu sarai sola e di cuore pregherai per me il mio spirito ti aleggerà intorno io e la stella siamo con te. Ma un giorno quando la guerra sarà un lontano ricordo, nel tuo cuore in cui v'erano la stella e l'amore, tutto morirà. Per me rimarrà quella stella nutrita dal mio sangue, affinché luccichi per sempre bella sull'Italia all'infinito.» |
(Stelutis alpinis)
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Le ultime due strofe, (da "Ma 'ne dì, quant che la vuere".. in avanti) sono apocrife, dunque non composte dal Zardini, ma aggiunte in seguito [1].
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