Azotofissazione
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La fissazione dell'azoto atmosferico o azotofissazione consiste nella riduzione, tramite la nitrogenasi, dell'azoto molecolare (N2) in azoto ammonico (NH3). L'azoto ammonico è successivamente reso disponibile per molte importanti molecole biologiche quali gli amminoacidi, le proteine, le vitamine e gli acidi nucleici attraverso i processi di nitrificazione e nitratazione.
La reazione di azotofissazione può essere descritta come segue:
- N2 + 8H+ + 8e- + 16 ATP → 2NH3 + H2 + 16ADP + 16 Pi
L'idrogeno impiegato in tale reazione deriva dall'ossidazione di carboidrati, dalla quale gli agenti azotofissatori ricavano anche l'energia necessaria (sotto forma di ATP). Inoltre vengono implicati anche catalizzatori metallici quali molibdeno (Mo) e vanadio (V). Questa azione viene svolta dai diazotrofi, microrganismi liberi nel suolo e nelle acque o legati in simbiosi con piante superiori.
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[modifica] Esempi di fissazione dell'azoto
[modifica] Microrganismi azotofissatori non simbionti
Sono soprattutto batteri appartenenti ai generi Clostridium ed Azotobacter. I batteri del genere Clostridium si trovano in tutti i tipi di suolo e nelle acque sia dolci che salate. La loro diffusione è limitata solo dalla presenza di ossigeno, dato che sono batteri anaerobi. In questi casi, però, possono sopravvivere in simbiosi con altri microrganismi aerobi od anaerobi facoltativi presenti negli strati più superficiali del suolo. Sono attivi anche in suoli acidi fino a pH 5.5. Le diverse specie del genere Clostridium che svolgono attività azotofissatrice sono autotrofe per questo elemento chimico, ma non altrettanto per il carbonio che ricavano dai carboidrati già presenti nel terreno. L'ossidazione di questi ultimi avviene in condizioni anaerobiche e quindi non soltanto è incompleta (restano infatti sottoprodotti come acidi organici, alcoli, acetone ecc.), ma anche la resa energetica è inferiore rispetto a quella ottenibile con l'ossidazione degli stessi composti in condizioni aerobiche. Di conseguenza anche l'efficienza di fissazione dell'azoto è inferiore rispetto a quella operata dalle specie del genere Azotobacter, che sono aerobie: la resa di Clostridium è di circa 3-7 mg di azoto fissato per 1 g di carboidrati, mentre quella di Azotobacter è stimata intorno a 10-12 mg di azoto per 1 g di carboidrati. Anche le specie del genere Azotobacter sono diffuse in tutti i suoli e nelle acque dolci e salate e pertanto possono convivere con quelle del genere Clostridium sebbene in percentuali variabili in condizioni chimico-fisiche diverse, a causa delle differenti necessità metaboliche: i batteri del genere Azotobacter, infatti, non sopportano pH inferiori a 6.0 ed, essendo aerobi, esigono una buona ossigenazione. Inoltre non sono in grado di demolire la cellulosa e perciò, nei casi in cui questa è l'unica fonte di carbonio disponibile, debbono entrare in simbiosi con altri microrganismi capaci di degradarla. La capacità che posseggono i generi Clostridium ed Azotobacter di fissare l'azoto atmosferico, però, è dovuta principalmente alla carenza di questo elemento nel terreno: qualora nel suolo abbondino l'ammoniaca od i nitrati l'attività azotofissatrice di questi batteri cessa (in quanto troppo dispendiosa dal punto di vista energetico) e vengono sfruttate le altre fonti di composti azotati. Perciò questi organismi sono autotrofi facoltativi per l'azoto .
[modifica] Microrganismi azotofissatori simbionti
La simbiosi azotofissatrice è propria di piante pioniere adatte a vivere in terreni poveri o ecologicamente "disagiati".
L'esempio più noto di simbiosi azotofissatrice è quello tra le Leguminose e il Rhizobium leguminosarum. Altri esempi sono quella tra l'ontano napoletano o l'ontano nero e gli attinomiceti del genere Frankia (Frankia alni) presenti in noduli a livello radicale. Anche l'olivello spinoso (Hippophae rhamnoides) ospita attinomiceti nei propri noduli radicali. Le specie del genere Cycas possiedono cianobatteri simbionti presenti sulle radici coralloidi.
I batteri del genere Rhizobium si insediano nelle radici dell'ospite, inducendo la formazione di tipici noduli radicali, e qui, dato che sono autotrofi solo per l'azoto, sottraggono diversi composti organici e sali minerali all'ospite stesso, cedendogli però in cambio composti azotati. Questi scambi sono favoriti da particolari e caratteristici tessuti vascolari che si sviluppano proprio all'interno dei noduli radicali. Inoltre,quando la pianta muore (e con essa anche i batteri simbionti), le grandi quantità di composti azotati che si sono accumulate dentro tali microrganismi vengono rilasciate nel terreno che, perciò, riceve un apporto di azoto supplementare e certamente di gran lunga superiore a quello che può essere ottenuto dalla semplice degradazione dei soli tessuti vegetali morti. In ogni caso anche Rhizobium è un autotrofo facoltativo per l'azoto e quindi, sebbene riesca a fissare fino a 100 mg di questo elemento per grammo secco di nodulo radicale, preferisce, quando è possibile, ricavarlo da altre fonti. Inoltre questi batteri possono vivere ed operare anche in terreni acidi fino ad un pH di 4.2-4.5 (sebbene preferiscano suoli neutri o lievemente alcalini), ma necessitano di altri elementi quali calcio (Ca), fosforo (P), molibdeno (Mo), cobalto (Co), boro (B) e ferro (Fe). Per tutti questi motivi suoli molto poveri di tali elementi chimici oltre che di azoto vengono colonizzati dagli ontani oppure dall'olivello spinoso. In tutti i casi di simbiosi, comunque, si è osservato che la fissazione dell'azoto si compie in modo efficiente soltanto finché è possibile la fotosintesi da parte delle piante ospiti. Qualora questa venga impedita per lungo tempo i microrganismi presenti nei noduli radicali possono addirittura trasformarsi in agenti patogeni ed invadere i tessuti dell'ospite fino a provocarne la morte.
[modifica] Altri esempi
- Casuarina, Allocasuarina e altri generi della famiglia delle Casuarinaceae
- Lobaria e altri licheni
- Azolla
- Gunnera
- Ceanothus
- Myrica
- Cercocarpus
- Purshia tridentata
- Shepherdia argentea
La simbiosi ha svariati vantaggi sia per le piante superiori che per i microrganismi.
In arboricoltura da legno è interessante il conseguente arricchimento di azoto disponibile nel terreno grazie alla decomposizione delle foglie delle piante azotofissatrici che in questo senso facilitano l'accrescimento delle altre specie presenti nell'impianto.
Le quantità di azoto fissato per unità di superficie di terreno sono molto variabili; a titolo di esempio la soia può fissare sino a 300 kg di azoto per ettaro per anno.
[modifica] La fissazione industriale dell'azoto
Una breve storia dei metodi sviluppati per la fissazione industriale dell'azoto è riportata nella voce Storia dell'industria chimica.