Charlotte Corday D'Armont
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Charlotte Corday D'Armont (Saint-Saturnin-des-Ligneries, nei pressi di Sées, Normandia, 27 luglio 1768 - Parigi, 17 luglio 1793) fu una rivoluzionaria francese. Alla figura di Charlotte Corday D'Armont si sono ispirate numerose opere, soprattutto teatrali.
Ammiratrice di Rousseau e degli eroi di Plutarco e di Pierre Corneille (di cui era pronipote), si appassionò per le idee repubblicane dei girondini. Gli eccessi rivoluzionari e la proscrizione dei deputati girondini (31 maggio e 2 giugno 1793) la convinsero di dover uccidere Jean-Paul Marat, che, secondo lei, era il principale sobillatore della guerra civile. Giunta apposta da Caen a Parigi, il 13 luglio 1793 riuscì a farsi ricevere in casa dallo stesso Marat e lo pugnalò mentre era nel bagno. Condannata a morte dal tribunale rivoluzionario, fu messa alla ghigliottina quattro giorni dopo.
Figlia di François de Corday d’Armont, gentiluomo di provincia di umili origini, e di Jacqueline-Charlotte-Marie de Gontier des Autiers, era la trisnipote di Pierre Corneille.
La morte separò M. de Corday dai suoi cinque figli, quando la piccola Charlotte era ancora in tenera età. Le tre femmine entrarono in un monastero di Caen. Charlotte aveva allora tredici anni. Ne aveva diciannove al momento della soppressione dei monasteri dovuta al decreto del 13 dicembre 1790. La sua vecchia zia, Madame de Bretteville, l'accolse nella sua casa di Caen. Charlotte propendeva per idee nuove e moderne: era il periodo in cui i Girondini lottavano contro i loro nemici alla Convention, i Giacobini, il periodo in cui Jean-Paul Marat, rappresentante per lei della tirannia, trionfava a Parigi.
I Girondini proscritti e fuggitivi si erano rifugiati nel Calvados. Qui, essi tenevano delle assemblee a cui Charlotte Corday assistette più volte. Fu così che ella conobbe Buzot, Salles, Pétion, Valazé, Kervélégan, Mollevaut, Barbaroux, Louvet, Giroust, Bussy, Bergoeing, Lesage, Duchastel, Henry-Larivière.
Il 9 luglio 1793, lasciò Caen per recarsi a Parigi, dove giunse l'11 luglio e prese alloggio all'Hotel de la Providence. Munita di una lettera di presentazione di Barbaroux, si presentò dal deputato Lauze-Duperret dal quale apprese che Marat non si presentava più alla Convention. Bisognava dunque cercarlo a casa. Lei gli scrisse:
« Vengo da Caen; il vostro amore per la Patria mi fa presumere che conoscerete con piacere gli sfortunati avvenimenti di questa parte della Repubblica. Mi presenterò a casa vostra verso la una, abbiate la bontà di ricevermi e di accordarmi un momento della vostra attenzione. Vi darò l'opportunità di rendere un grande servizio alla Francia.»
Non avendo potuto essere introdotta alla presenza di Marat, gli fece pervenire un secondo biglietto:
« Vi ho scritto questa mattina, Marat; avete ricevuto la mia lettera? Non posso crederlo, poiché mi si rifiuta la vostra porta. Spero che domani mi accorderete un incontro. Ve lo ripeto, arrivo da Caen; devo rivelarvi segreti importantissimi per la salvezza della Repubblica. Peraltro sono perseguita per la causa della libertà. Sono sfortunata; è sufficiente che io lo sia per aver diritto al vostro patriottismo.»
Senza attendere la risposta, Charlotte Corday uscì dalla sua camera d'albergo alle 19.00 ed arrivò al civico 18 di Rue des Cordeliers.
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[modifica] L’assassinio di Marat
Alphonse de Lamartine, nel suo Histoire des Girondins (Storia dei Girondini), T II. Libro 44, scrive:
« Ella scese dalla vettura dal lato opposto della strada, di fronte alla dimora di Marat. La sera iniziava a scendere, soprattutto in questo quartiere rabbuiato dalle alte case e dalle strette vie. La portinaia all'inizio rifiutò di lasciar entrare la giovane sconosciuta nel cortile. Ella insistette e salì i primi gradini della scalinata, chiamata invano dalla voce della portinaia. A quel rumore, Albertine, l'amante di Marat, aprì uno spiraglio di porta, e si rifiutò di far entrare la sconosciuta. Il sordo alterco tra le due donne, l'una che supplicava di lasciarla parlare con "l'Amico del Popolo", l'altra che si ostinava a sbarrare la porta, arrivò fino alle orecchie di Marat. Egli comprese, dalle spiegazioni spezzate, che la visitatrice era la straniera che gli aveva mandato due lettere durante la giornata. Con voce autoritaria, ordinò di lasciarla passare.
Forse per gelosia o forse per malfidenza, Albertine obbedì controvoglia. Introdusse la giovane nella stanzetta dove si trovava Marat, e ritirandosi lasciò la porta del corridoio socchiusa, per cogliere la più piccola parola o il più piccolo movimento del malato.
La stanza era debolmente illuminata. Marat era nella vasca da bagno. Nel riposo forzato del corpo, egli non lasciava tuttavia riposare il suo animo: una mensola grezza, posata sulla vasca, era coperta di carte, di lettere aperte e di fogli iniziati.
Charlotte evitò di fermare il suo sguardo su di lui, per la paura di tradirsi su quanto stava per fare. In piedi, gli occhi bassi, le mani penzoloni vicino alla vasca, attese che Marat la interrogasse sulla situazione in Normandia. Lei risponde brevemente, dando alle sue risposte il senso e il tono concilianti atti ad elogiare le disposizioni presunte dal demagogo. Lui le domandò poi i nomi dei deputati rifugiati a Caen: lei glieli disse. Lui li annotò, e non appena ebbe finito di scriverli, « Bene!» disse col tono di un uomo sicuro della sua vendetta, « prima di otto giorni andranno tutti sulla ghigliottina!»
A queste parole, come se l'animo di Charlotte avesse aspettato un'ultima infamia per risolversi a vibrare il colpo, ella prese il coltello nascosto nel petto e lo affondò fino al manico, con una forza insospettata, nel cuore di Marat. Poi lo ritirò grondante di sangue dal corpo della vittima e lo lasciò cadere ai suoi piedi. « A me, mia cara amica!»gridò Marat, e spirò. »
Charlotte Corday fu arrestata da Simone Evrard (la sposa di Marat) e dai suoi domestici. Protetta dall'ira della folla, fu poi trasportata all’Abbaye, la prigione più vicina alla casa di Marat, per essere interrogata. ra le altre cose, sotto il vestito le trovarono un foglio di carta piegato otto volte, sul quale era stato scritto:
Ai Francesi amici della legge e della pace.
« Fino a quando, o sfortunati Francesi, vi compiacerete dei problemi e della divisione? Già per troppo tempo dei faziosi, degli scellerati, hanno messo l'interesse delle loro ambizioni al posto dell'interesse generale; perché, vittime del loro furore, vi annientate da voi stessi, per perseguire il desiderio della loro tirannia sulle rovine della Francia?
« Le fazioni scoppiano da tutte le parti, la Montagna trionfa grazie al crimine e all'oppressione, i mostri alimentati dal nostro sangue conducono questi detestabili complotti […] Noi lavoriamo per la nostra disfatta con più zelo ed energia di quanta ne abbiamo usata per conquistare la libertà! O Francesi, ancora poco tempo, e non resterà che il ricordo della vostra esistenza!
« Già i diparimenti indignati marciano su Parigi, già il fuoco della discordia e della guerra civile abbraccia la metà di questo vasto impero; esiste ancora un mezzo per comprenderlo, ma questo mezzo deve essere pronto. Già il più vile degli scellerati, Marat, il cui solo nome è l'emblema di tutti i crimini, cadendo sotto il ferro vendicatore, indebolisce la Montagna e fa impallidire Danton, Robespierre, e tutti questi altri briganti seduti sul trono sanguinante, circondati dal fulmine, che gli dei vendicatori dell'umanità sicuramente non sospendono per rendere la loro caduta più eclatante, e per colpire tutti quelli che saranno tentati di cotruire la loro fortuna sulle rovine dei popoli abusati!
« Francesi! voi conoscete i vostri nemici, alzatevi! Marciate! che la Montagna annientata non abbia più fratelli né amici! Ignoro se il cielo ci riserva un governo repubblicano, ma non può donarci un Montagnardo per capo, se non altro per l'eccesso delle sue vendette […] O Francia! il tuo riposo dipende dall'esecuzione delle leggi; non ho nuociuto affatto uccidendo Marat: condannato dall'universo, lui è fuori dalla legge. Quale tribunale mi giudicherà? Se sono colpevole, Alcide lo era allora quando distruggeva i mostri! […]
« O mia patria ! Le tue disgrazie mi spezzano il cuore; non posso offrirti che la mia vita! e rendo grazie al cielo della libertà che ho nel disporne; nessuno perderà nulla con la mia morte; non imiterò affatto Pâris (l'assassino di Lepeletier de Saint-Fargeau) uccidendomi. Io voglio che il mio ultimo respiro sia utile ai miei concittadini, che la mia testa portata attraverso Parigi sia un segno di ripresa per tutti gli amici della legge! che la Montagna vacillante veda la sua sconfitta scritta col mio sangue! che io sia la loro ultima vittima, e che l'universo vendicato dichiari che io ho ben meritato la mia umanità! del resto, se si volesse vedere la mia condotta in un'altra ottica, me ne preoccuperei poco:
Che all'universo sorpreso questa grande azione,
Sia oggetto d'orrore o d'ammirazione
Il mio spirito, poco interessato di vivere nella memoria,
Non considera affatto il rimprovero o la gloria.
Sempre indipendente e sempre cittadina,
Il mio dovere mi basta, tutto il resto è niente,
Forza, dovete pensare solo ad uscire dalla schiavitù!...
« La mia famiglia e i miei amici non devono inquietarsi, nessuno conosceva i miei progetti. Allego il mio estratto di battesimo, per mostrare come la più debole mano può essere guidata dalla completa devozione. Se non riuscissi nella mia impresa, Francesi! Vi ho mostrato la strada, voi conoscete i vostri nemici; alzatevi! Marciate! Colpite!»
[modifica] Il processo
Charlotte Corday fu trasferita il 16 luglio alla Conciergerie, e l'indomani, alle otto del mattino, i gendarmi la portarono al Tribunale rivoluzionario.
Presiedeva Montané, assistito dai giudici Foucault, Roussillon e Ardouin. Fouquier-Tinville rappresentava la pubblica accusa. Al banco dei giurati sedevano Jourdeuil, Fallot, Ganney, Le Roy, Brochet, Chrétien, Godin, Rhoumin, Brichet, Sion, Fualdès e Duplain. Poiché l'avvocato scelto dall'accusata, Doulcet de Pontecoulant, non si presentò (probabilmente Fouquier-Tinville fece in modo che l'invito giungesse troppo tardi), il persidente nominò d'ufficio Chauveau-Lagarde, presente all'udienza, difensore di Charlotte Corday.
Dopo la lettura dell'atto d'accusa e le deposizioni dei testimoni, fu letta la missiva datata 16 luglio che Charlotte scrisse al padre, giustificando le sue azioni:
« Perdonatemi, mio caro papà, di aver disposto della mia esistenza senza il vostro permesso. Ho vendicato delle vittime innocenti, e ho evitato altri disastri. Il popolo, un giorno non più abusato, si rallegrerà di essersi liberato di un tiranno. Se vi ho fatto credere che sarei andata in Inghilterra, è perché speravo di mantenere l'incognito, ma ne ho riconosciuto l'impossibilità. Spero che non vi tormenterete. In ogni caso, credo che avrete dei difensori a Caen. Io ho scelto come avvocato Gustave Doulcet: un tale attentato non permette difesa, è solo per formalità. Addio, mio caro papà, vi prego di dimenticarmi, o piuttosto di volermi raggiungere nella mia sorte, poiché per questa causa ne vale la pena. Abbraccio mia sorella che amo con tutto il cuore, e la mia famiglia. Non dimenticate questo verso di Corneille :
Il Crimine fa la vergogna, e non il telaio!
Sarò giudicata domani alle otto. Questo 16 luglio. »
Dopo l'intervento di Chauveau-Lagarde, il suo difensore, la giuria riconobbe che l'accusata aveva commesso l'assassinio «con intenzioni criminali e premeditate». Il tribunale condannò Charlotte Corday alla pena di morte ed ordinò che fosse condotta al luogo dell'esecuzione vestita della camicia rossa riservata ai parricidi.
![La morte di Marat dipinto di David, 1793](../../../upload/shared/thumb/a/aa/Death_of_Marat_by_David.jpg/180px-Death_of_Marat_by_David.jpg)
[modifica] Bibliografia in francese
- Alphonse de Lamartine, Histoire des Girondins.
- Jules Michelet, Histoire de la Révolution française.
- Gérard Walter, Actes du Tribunal révolutionnaire.
- Jean-Denis Bredin, "On ne meurt qu'une fois..." Charlotte Corday, Paris, Fayard, 2006.