Guerra al terrorismo
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Questa voce è ritenuta di parte, o non neutrale, (vedi l'elenco delle voci non neutrali). Se vuoi contribuire alla voce, e per ulteriori informazioni, partecipa alla pagina di discussione relativa. (uso di questo tag) (voce segnalata nel mese di gennaio 2007)
Motivazione: il testo è nettamente di parte Vedi anche: Progetto storia Portale storia Segnalazione di Sonichead
L'espressione Guerra al terrorismo è stata usata dal Presidente americano George W. Bush all'indomani dell'attacco terroristico alle torri gemelle di New York dell'11 settembre 2001, percepito dalla maggioranza dei cittadini americani come una aggressione alla loro nazione, al pari, se non più grave, di quella di Pearl Harbor nel 1941 ad opera dei giapponesi. Quest'ultima, infatti, fu portata contro basi militari americane situate al di fuori del territorio americano, mentre la prima ha invece colpito direttamente sul suolo americano degli obiettivi civili, con la sola eccezione di quella verso il Pentagono.
L'entità delle conseguenze dell'attacco terroristico, diverse migliaia di morti e la distruzione completa dei due grattacieli (più un palazzo di minore altezza), hanno spinto Bush a dare seguito alle teorie elaborate a suo tempo nel documento "A New American Century": vero e proprio programma degli elementi conservartori che sono indicati dai media di tutto il mondo come "neo-cons" (nuovi conservatori). Lo scopo espresso dal Presidente era ufficialmente quello di "esportare la democrazia nel mondo intero" con il ricorso non episodico anche alla guerra (considerata l'unica arma contro il fenomeno terrorista), come gli interventi in Afghanistan e in Iraq avrebbero dimostrato, affiancato in quest'opera da Israele con l'avvio della secondo conflitto col Libano del 2006 che mirava ad abbattere la potenza del partito fondamentalista sciita dell'Hezbollah ( Hizb Allāh ).
Nel suo discorso tenuto sul luogo dell'attentato, pochi giorni dopo la tragedia, lo stesso Presidente statunitense annunciava una lunga e difficile "guerra" al terrorismo internazionale che si sarebbe dovuta combattere per almeno 30 anni.
Le due invasioni sopracitate hanno avuto scenari diversi, in quanto l'Afghanistan era noto quale paese ospitante le basi di al-Qā‘ida, considerata responsabile, secondo la CIA, degli attacchi suicidi sul suolo americano; dunque con una responsabilità indiretta dell'attacco stesso.
Del tutto diverso invece lo scenario per l'attacco all'Iraq. L'Amministrazione americana all'epoca espresse la propria idea di poter perseguire i suoi nemici armati anche attraverso una guerra preventiva. In altre parole una trasposizione sul piano del diritto internazionale del principio militare secondo cui "la miglior difesa è l'attacco".
Secondo le teorie sopracitate della nuova destra americana, il terrorismo troverebbe riparo e finanziatori occulti soprattutto nei paesi ove manca una democrazia compiuta. Alcuni Stati vicino e medio-orientali avrebbero tollerato non solo la presenza di noti terroristi sul loro suolo ma spesso ne avrebbero appoggiato più o meno apertamente le rivendicazioni.
Se la cosa può essere comprovata in qualche modo per l'Afghanistan, ciò non è peraltro dimostrabile per l'Iraq che, nel settembre 2006, gli stessi USA hanno dovuto riconoscere essere stato completamente estraneo al terrorismo internazionale nel corso della pur sanguinosa presidenza di Saddam Husayn. La scelta di attaccare l'Iraq piuttosto che l'Iran o la Siria, altri "paesi canaglia|, indicati quali contigui se non proprio sostenitori del terrorismo, è stata operata quindi su supposizioni e informazioni della CIA, dimostratesi poi assolutamente infondate.
Pur radicalmente delegittimato, l'intervento statunitense e dei suoi alleati britannici è stato però immediatamente definito come un lodevole sforzo per rendere in ogni caso il mondo intero migliore, anche a costo di ridiscutere alcuni articoli delle Convenzioni di Ginevra al fine di poter giustificare la detenzione preventiva e senza diritto di difesa dei supposti terroristi detenuti in carceri speciali dove il ricorso alla tortura fisica e psicologica non sembra costituiscano un'eccezione alla regola riconosciuta internazionalmente del rispetto fisico e psichico dei prigionieri. Del pari gli USA e i loro alleati hanno reclamato la legittimità della loro azione di prelevamento clandestino di sospetti terroristi, con la complicità più o meno diretta dei Paesi in cui questi ultimi risiedevano.