L'amore molesto
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Titolo originale: | L'amore molesto |
Paese: | Italia |
Anno: | 1995 |
Durata: | 104' |
Colore: | colore |
Audio: | sonoro |
Genere: | drammatico |
Regia: | Mario Martone |
Soggetto: | L'amore molesto un romanzo di Elena Ferrante |
Sceneggiatura: | Mario Martone, Elena Ferrante |
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Fotografia: | Luca Bigazzi |
Montaggio: | Jacopo Quadri |
Effetti speciali: | Paolo Ricci |
Musiche: | Steve Lacy, Alfred Shnitke |
Scenografia: | Maria Izzo |
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Si invita a seguire lo schema del Progetto Film |
L'amore molesto è un film di Mario Martone del 1995 tratto dal romanzo omonimo di Elena Ferrante.
Indice |
[modifica] Il film
Dopo il successo de Morte di un matematico napoletano, film d'esordio premiato nel 1992 al Festival del cinema di Venezia, Mario Martone torna sugli schermi firmando la trasposizione cinematografica di un romanzo opera prima di una misteriosa scrittrice: Elena Ferrante.
Il regista appartiene a quel gruppo di autori di solida formazione teatrale che a partire dai primi anni novanta si mettono in evidenza con alcune opere convincenti e che qualche critico cinematografico si appresterà a definire come la scuola napoletana degli anni novanta. Di questo gruppo, oltre a Martone, fanno parte registi come Pappi Corsicato e Antonio Capuano.
L'amore molesto si impone all'attenzione del pubblico e della critica soprattutto per la grande prova artistica fornita dalla sua interprete principale, quella Anna Bonaiuto (nella vita privata compagna del regista) che si affermerà nel corso degli anni novanta come una delle attrici più dotate e artisticamente solide del panorama teatrale e cinematografico italiano.
Martone imbastisce intorno alle performance della Bonaiuto e di un gruppo di notevoli personalità artistiche dell'ambiente napoletano, una sapiente trama psicologica incentrata sul rapporto ambiguo che la protagonista femminile possiede con il proprio vissuto giovanile. Ne scaturisce una opera complessa che a tratti splende per la bravura e la raffinatezza artigianale (perfetta la narrazione per immagini, per inserti e flashback) e a tratti invece langue, insistendo troppo a lungo sulla confusione mentale che si impossessa lentamente della protagonista. Bello e imperfetto è stato definito il film da Lietta Tornabuoni su La Stampa, mentre work in progress è stato il termine utilizzato da Gian Piero Brunetta; entrambi i commenti stanno a significare un lavoro pregevole, rimasto però sostanzialmente incompiuto.
Il soggetto del film è fortemente psicoanalitico e si percepisce l'influenza di un certo cinema italiano degli anni sessanta, con palesi richiami a Michelangelo Antonioni e ai temi della comunicazione, dello scambio e del rapporto con la realtà.
Il regista, curando la trasposizione del romanzo della Ferrante, indaga il rapporto madre-figlia in termini talmente inconsci da sfiorare a volte l'allucinazione. Sembra di scorgere alcuni riferimenti alla terapia sistemica familiare di Berth Hellinger, il terapeuta tedesco che da anni studia l'influsso delle relazioni familiari alterate sul comportamento dei singoli individui. Attraverso il proprio vissuto familiare, inconsciamente negato e rimosso ma improvvisamente riaffiorato, la protagonista del film viene coinvolta in un dedalo di circostanze che la conducono, come in un sogno che a tratti si trasmuta in incubo, in un doloroso viaggio di scoperta.
Il percorso è accompagnato, come si è detto, dalla grande prova della protagonista che imposta espressivamente sul suo volto e sul suo corpo tutti i momenti femminili di questa esperienza devastante, e da una grande fotografia che, grazie all'esperto Luca Bigazzi, ci restituisce una immagine di Napoli scevra di ogni stereotipo contemporaneo ma al tempo stesso estremamente realistica. D'altra parte è questo l'elemento filmico più significativo dell'opera: la capacità di aver tracciato un percorso di allucinazione in un contesto metropolitano estremamente definito in termini di luoghi e persone. Questa possibilità risulta forse limitata in un ambito prettamente teatrale, dove però sono i linguaggi verbali che, potendo aspirare a forme espressive migliori e più efficaci, risultano privilegiati. Ecco che allora la proposta di Martone, come elemento di sintesi e raccordo tra cinema e teatro, si rivela interessante e originale.
[modifica] La trama
Dalia, una illustratrice napoletana trapiantata da lunghi anni a Bologna, viene richiamata a Napoli dalla morte improvvisa della madre, suicidatasi per annegamento. La donna non presta credito alla tesi ufficiale del suicidio, convinta che la esuberanza, la vivacità e la positività esistenziale che della madre ricorda assai bene, mai l'avrebbero spinta ad un gesto così definitivo e categorico. Inizia pertanto ad indagare il passato recente della donna, sospinta anche da alcune inquietanti telefonate che riceve da un interlocutore sconosciuto.
I fatti e la ricostruzione frammentaria degli ultimi giorni di vita della madre portano improvvisamente alla luce avvenimenti remoti che Dalia aveva occultato e sepolto nella propria memoria e la costringono a riconsiderare una realtà personale diversa da quanto aveva inconsciamente costruito. Dalia deve ricordare e rivivere il momento in cui, condizionata dall'atteggiamento paterno violento ed opprimente, rompe i rapporti con la madre, accusata dal coniuge di una relazione clandestina con un individuo misterioso. Ma Dalia non è pronta a scoprire la verità su sua madre e quindi su stessa e proprio nel momento in cui il mistero intorno agli ultimi giorni che precedono lo strano suicidio sta per sciogliersi, ella decide di far ritorno a Bologna, allontanandosi per sempre da un passato doloroso e dalla verità che esso nasconde.