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Piersanti Mattarella (Castellammare del Golfo, 24 maggio 1935 – Palermo, 6 gennaio 1980) è stato un politico italiano, assassinato mentre era presidente della regione Sicilia.
Figlio di Bernardo Mattarella, uomo politico della Democrazia Cristiana, e fratello di Sergio Mattarella. Crebbe con istruzione religiosa, studiando dai gesuiti. Si dedicò alla politica nella Democrazia Cristiana, fra i suoi ispiratori ci fu Giorgio La Pira, avvicinandosi alla corrente politica di Aldo Moro.
Fu presidente della regione Sicilia e vittima di Cosa Nostra, si presume, a causa del suo impegno nella ricerca di collusioni tra mafia e pubblici poteri. Inizialmente considerato un attentato terroristico, il delitto fu indicato da Tommaso Buscetta come delitto di mafia. Secondo il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia, Giulio Andreotti era ben consapevole dell'insofferenza della mafia per la condotta di Mattarella, ma non avvertì né l'interessato né la magistratura [1], pur avendo partecipato ad almeno due incontri con capi mafiosi aventi ad oggetto proprio la politica di Piersanti Mattarella e, poi, il suo omicidio. Questo è stato affermato e scritto nella sentenza del giudizio di Appello[2] del lungo processo allo stesso Giulio Andreotti confermata dalla Cassazione nel 2004[3]. La stessa sentenza afferma che l'allontanamento di Andreotti dal sodalizio mafioso fu dovuta proprio all'efferato delitto Mattarella.
- ↑ Per gli incontri tra Andreotti ed i boss mafiosi per discutere il delitto Mattarella cfr. Sentenza Corte di Appello di Palermo 2 Maggio 2003 , Parte III cap. 2 pp. 1093-1185 Presidente Scaduti, Relatore Fontana In particolare nelle conclusioni così si legge (pp. 1514-1515)
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«Del resto, ad ultimativo conforto dell’assunto, basta considerare proprio la, assolutamente indicativa, vicenda che ruota attorno all’assassinio dell’on. Pier Santi Mattarella.
Anche ammettendo la prospettata possibilità che l’imputato sia personalmente intervenuto allo scopo di evitare una soluzione cruenta della questione Mattarella, alla quale era certamente e nettamente contrario, appare alla Corte evidente che egli nell’occasione non si è mosso secondo logiche istituzionali, che potevano suggerirgli di respingere la minaccia alla incolumità del Presidente della Regione facendo in modo che intervenissero per tutelarlo gli organi a ciò preposti e, per altro verso, allontanandosi definitivamente dai mafiosi, anche denunciando a chi di dovere le loro identità ed i loro disegni: il predetto, invece, ha, sì, agito per assumere il controllo della situazione critica e preservare la incolumità dell’on. Mattarella, che non era certo un suo sodale, ma lo ha fatto dialogando con i mafiosi e palesando, pertanto, la volontà di conservare le amichevoli, pregresse e fruttuose relazioni con costoro, che, in quel contesto, non possono interpretarsi come meramente fittizie e strumentali.
A seguito del tragico epilogo della vicenda, poi, Andreotti non si è limitato a prendere atto, sgomento, che le sue autorevoli indicazioni erano state inaspettatamente disattese dai mafiosi ed a allontanarsi senz’altro dagli stessi, ma è “sceso” in Sicilia per chiedere al Bontate conto della scelta di sopprimere il Presidente della Regione: anche tale atteggiamento deve considerarsi incompatibile con una pregressa disponibilità soltanto strumentale e fittizia e, come già si è evidenziato, non può che leggersi come espressione dell’intento (fallito per le ragioni già esposte in altra parte della sentenza) di verificare, sia pure attraverso un duro chiarimento, la possibilità di recuperare il controllo sulla azione dei mafiosi riportandola entro i tradizionali canali di rispetto per la istituzione pubblica e di salvaguardare le buone relazioni con gli stessi, nel quadro della aspirazione alla continuità delle stesse.»
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- ↑ Sentenze: Giulio Andreotti. www.marcotravaglio.it. URL consultato il 19-02-2007 .
- ↑ Processo Andreotti, la Sentenza. Il Foro Penale. URL consultato il 19-02-2007 .
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