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Discussione:Chiesa di Sant'Antonio Abate - Wikipedia

Discussione:Chiesa di Sant'Antonio Abate

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

complesso abbaziale di S. ANTONIO ABATE


IL DOSSIER




SMS group (Salvaguardia Memoria Storica)

Le fonti La cosa più affascinante dell’abbazia di S.Antonio Abate è la inspiegabile scarsità di notizie riguardanti la sua storia. È praticamente impossibile riuscire a trovare qualche riferimento o almeno qualche accenno che renda chiara l’idea di come potesse essere il complesso in origine. La nostra esperienza personale ci ha portato a consultare in due anni più di diecimila schede tra biblioteche e archivi di stato, uffici catastali e curie vescovili: per un motivo imprecisato, della chiesa di S.Antonio Abate nessuno ha mai scritto o disegnato nulla; almeno sino agli inizi del XX secolo, quando Benedetto Croce, notata questa enorme lacuna, si reca nell’abbazia per descriverne dettagliatamente la struttura e le opere artistiche in essa contenute, per poi riportarle in quella stupenda rivista culturale che era “Napoli Nobilissima”. Oltre a questa preziosissima testimonianza, datata 1905, scarsissime sono le fonti a nostra disposizione: un diploma del re Roberto D’Angiò del marzo 1313, un breve di Pio IX, un accenno nella “Guida Sacra” di Galante e due litografie, di cui una a colori (fig. 1) risalente al 1890, e l’altra del pittore francese Remònd (XVIII sec.) in copertina. Questo, purtroppo, il materiale su cui abbiamo lavorato sino ad ora: ma la ricerca, che è “il simbolo della voglia di conoscere e capire l'evoluzione dell' uomo”, continua.


fig. 1 – il lazzaretto e la chiesa sullo sfondo (litografia del 1890)


La storia La leggenda vuole che la chiesa di S.Antonio Abate, posta al origine del Borgo omonimo, fosse stata fondata per volere della regina Giovanna I; ma un diploma del re Roberto d’Angiò, dimostra che, già nel marzo del 1313, esistevano chiesa ed ospedale, e che in questo luogo si curavano gli infermi del morbo detto “fuoco sacro”. Molto probabilmente il complesso originario è risalente alla fine del XIII secolo, ma fu ampliato e in alcune parti ricostruito nell’ambito di un vasto programma di edilizia religiosa e assistenziale voluto nel 1370 dalla regina Giovanna I. Programma che ebbe enorme valore ai fini dell’urbanizzazione del borgo e dell’omonima strada la quale, attraverso Porta Capuana, rappresentava la principale via d’accesso alla città. Verso la fine del ‘300, quindi, il complesso era già costituito dalla chiesa, dall’ospedale e dal convento, ed era tenuto dai monaci ospedalieri antoniani i quali ricavavano dal lardo dei maiali la sacra tintura che veniva usata per curare l’herpes zoster, da sempre chiamato a Napoli "fuoco di S. Antonio". Tra i Napoletani si diffuse così l’abitudine di allevare maialini per donarli al monastero, nonostante l’ordine antoniano fu bandito dagli Aragonesi agli inizi del ‘400 (reputando i monaci troppo legati ai loro protettori francesi). L’usanza durò fino al 1665, quando durante una processione un maialino si intrufolò tra le gambe del vescovo il quale, infuriato, dichiarò illegale l’allevamento cittadino di quel simpatico animaletto. Con l’arrivo degli spagnoli a Napoli l’abbazia fu data in commenda dai papi ai loro congiunti e favoriti. Nel 1480 ne fu investito il cardinale Giuliano della Rovere (futuro papa Giulio II). Fu così per ben due secoli, fino a quando Clemente XIV concesse l’abbazia al Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio; un ordine cavalleresco molto legato alla dinastia spagnola. Il primo abate costantiniano di cui conosciamo il nome è Pignatelli, quindi Cantelmo, Spinelli, Sersale, Zurlo, Filangieri e poi, nel 1805, Don Giuseppe Carrano, gran Priore, seguito da Monsignor Giannangelo Borsa. L’ultimo cappellano maggiore, l’abate Naselli, ebbe in commenda la chiesa sino al 1860, anno in cui fu chiusa e abbandonata in seguito alla caduta dei Borbone e alla fine del Regno delle Due Sicile. L’abbazia venne così abbandonata e rimase chiusa per diversi anni. Nel frattempo fu saccheggiata più volte, occupata definitivamente e trasformata in officina da un fabbro ferraio. Le cose non potevano continuare così e, nonostante si auspicava al più presto un intervento dall’alto, nessuno si sarebbe aspettato che Pio IX prendesse a cuore la questione S.Antonio Abate. Sorprendendo tutti, il Sommo Pontefice nel settembre del 1863 emanò un breve Quæ in rei sacræ nel quale stabiliva, a causa dei rivolgimenti politici del 1860 in Italia, che «la Chiesa Costantiniana di Sant'Antonio Abate in Napoli, e tutti i beni Costantiniani ivi esistenti, fossero sotto la temporanea dipendenza dell'Ordinario di Napoli, fino a che la Santa Sede lo avesse creduto opportuno». Dopo tre anni finalmente l’abbazia entrava di nuovo a far parte dei complessi curiati, ma ci volle qualche anno per rimetterla di nuovo in funzione. Nel frattempo fu nominato rettore il Cav. Carmine Cinque, che nel 1888 eseguì un maestoso restauro. Questi rimase in carica fino ai primi anni del 1900, quando Benedetto XV, nel dicembre del 1916, emanò un breve Ad futuram rei memoriam nel quale dispose la restituzione della Chiesa di Sant'Antonio Abate all'Ordine Costantiniano e riconobbe nell'allora Gran Priore (e nei suoi successori) l'Abate titolare di detta Chiesa, con giurisdizione sul Clero Costantiniano per le cose che concernono l'Ordine. Fu da allora che il complesso abbaziale non appartenne più alla curia vescovile di Napoli. Inoltre, tranne due piccole targhe del 1921 peraltro firmate ancora da padre Cinque, dal secondo arrivo dei Costantiniani al secondo dopoguerra non vi è più nessun riferimento storico riguardante il complesso abbaziale di S.Antonio Abate.

La struttura esterna Il complesso originario poteva vantare di ben quattro stabili. Oltre alla chiesa vi erano, infatti, il lazzaretto, il convento, la torre col campanile, un cortile e una vigna che si estendeva per tutto il circondario. Purtroppo la crescente urbanizzazione, l’aumento demografico e la crisi degli alloggi portarono un profondo e radicale cambiamento nella zona tra S. Carlo all’arena, via Foria e l’Arenaccia. La vecchia strada detta “del campo” che univa Piazza Carlo III con la stazione fu completamente rifatta negli anni del risanamento, e grossi cambiamenti avvennero anche nel borgo di S.Antonio Abate. L’allargamento della strada portò all’abbattimento di un lato della chiesa, i nuovi palazzi costruiti in via Foria vennero sovrapposti all’antico convento antoniano e le vecchie celle dei monaci e le stanze dei poveri ammalati di herpes vennero occupate abusivamente da altri poveracci sfrattati da un giorno all’altro per l’avvento dei lavori del risanamento.

La facciata principale della chiesa risale al 1769, quando il cardinale e arcivescovo Antonino Sersale la costruì di punto in bianco coprendo quella originale risalente al periodo gotico. Ma osservando bene si può notare a destra quel che resta di un antico portale a sesto acuto ora purtroppo murato, ingresso originario del convento. Nella lunetta vi era un affresco del settecento rappresentante la Vergine col bambino in mezzo a due santi. Sul fronte della nuova facciata sopra una lapide vi è lo stemma (bandato di oro e di azzurro) del cardinal Sersale: «a memoria perenne dei deturpamenti fatti eseguire fuori e dentro dall’architetto Tommaso Senese», fu il commento di Benedetto Croce.

La porta di accesso alla chiesa (fig. 2) è di marmo bianco finissimo, gli stipiti sostengono un architrave sul quale, per mezzo del prolungamento degli stipiti, si forma una lunetta a sesto acuto. Come si può notare, l’interno della lunetta è ora bianco; ma in un preziosissimo disegno del Maresca (1900) si può notare (fig. 3) un meraviglioso affresco risalente alla fine del ‘600, rappresentante S.Antonio Abate in atto di benedire. Ai lati del Santo vi erano gli stemmi del cardinale Cantelmo, arcivescovo di Napoli, e del Pontefice Innocenzo Pignatelli. Di tale affresco parla anche Croce nel 1905, e alcune testimonianze orali ne datano la scomparsa intorno al 1940.

In alto, al centro della lunetta, vi è un bassorilievo rappresentante un agnello e un chiodo ove vi era pencolante lo stemma in marmo dell’Ordine Costantiniano (fig. 4). Sul marmo vi sono tre scudi della stessa forgia appartenenti alla potente famiglia dei Capano, originaria del Cilento, nobile del seggio di Nido di Napoli, che lasciò le sue memorie anche nella chiesa di S. Pietro Martire. Secondo la testimonianza del Maresca la porta di S. Antonio Abate è stata fatta costruire da Roberto Capano sotto Giovanna I, ma seguendo il ragionamento di Croce la porta risale addirittura al tempo di Roberto d’Angiò (notando la stessa mano della porta di S. Pietro). Particolare importantissimo sono i due bassorilievi ai lati: un uomo e una donna praticamente identici a quelli della chiesa di S. Pietro Martire. La parte in legno è di qualche anno più giovane, i battenti della porta sono divisi in novanta scompartimenti, e sul battente di sinistra vi è lo stemma dell’ordine antoniano; ovvero il tan, che in araldica si chiama croce patente scorciata. Lo stemma di destra e quello dei Durazzo, ed ecco ciò che Croce scrive su questo portale: «questi battenti sono pochi del XIV secolo rimasti a Napoli, e meritano di essere con ogni cura conservati; sono tuttora in buono stato e gioverebbe il liberarli dalle dipinture che li covrono in densa crosta. Vennero eseguiti, a parer mio, nell’ultimo ventennio del sec XIV»

Il lazzaretto di fronte alla chiesa (fig. 5) è stato da poco restaurato e riportato agli antichi colori originali. Anche se abbandonato all’incuria per moltissimi anni, l’ospedale ha mantenuto la struttura originaria. Enorme importanza hanno la statua di S.Antonio e lo scudo posto al di sopra dell’antico portale, ingresso principale di quando il complesso abbaziale era funzionante: infatti, l’attuale larghetto S. Antonio Abate è stato ricavato in epoca relativamente recente (inizio anni ’40) dalla caduta dei due muri di cinta che univano il lazzaretto alla chiesa e al convento.


        fig. 2 –  portale principale (2004)                               fig. 3 – portale con affresco (1904) 
   
      fig. 4 – Real Stemma Costantiniano                fig. 5 – il lazzaretto restaurato con la chiesa

Le opere Se oggi possiamo parlare di ciò che conteneva la chiesa di S.Antonio Abate dobbiamo ringraziare ancora una volta Benedetto Croce che la reputò «interessantissima per la sua antichità, per la sua storia, che si riannoda ai fasti angioini e durazzeschi, per la sua architettura e sopra tutto, pel sommo pregio di talune opere d’arte che contiene». Nonostante già egli stesso nel 1905 afferma che «la chiesa è in uno stato di abbandono deplorevole , giustificato dalle tristi vicende subite, specialmente dall’anno 1860 in poi, per oltre un decennio». Se cento anni fa era in uno stato deplorevole, oggi non siamo di certo migliorati: anzi, la maggior parte delle opere che avevano attirato lo storico filosofo napoletano sono sparite nel tempo, alcune rubate altre decadute e scomparse sotto la mano di restauri incompetenti.

 La chiesa è composta di una sola navata senza crociera. Originariamente aveva sei cappelle per ciascun lato, ma oggi se ne vedono tre a destra e tre a sinistra (le altre sono state chiuse per ricavarne vani e sagrestie).

Appena si entra, sulla sinistra, si può notare un magnifico blocco marmoreo risalente al XIV secolo (fig. 6) che rappresenta la Vergine diademata e seduta di prospetto che sostiene il bambino Gesù. Quest’ultimo è in atto di benedire con l’indice e il medio, e tiene nella mano sinistra un uccellino che da il nome all’opera: “La madonna del cardellino”. L’importanza di questa scultura è notevole per due ragioni: primo, la rappresentazione della Vergine madre si nota in forme identiche tra le tombe angioine in Santa Chiara e nella Madonna in S. Pietro Martire; secondo, gli antichi scrittori napoletani affermano che nel viso della Vergine è possibile trovare numerosi tratti comuni alla regina Giovanna, tanto da credere che la regina stessa abbia posato per lo scultore.

                                                fig. 6 – la Madonna del Cardellino

Questo, secondo Benedetto Croce, è Tino da Siena, ma è più probabile che sia il grande Tino da Camaino.

Proseguendo sul lato sinistro, incontriamo una preziosissima teca in fine marmo rosa e bianco (fig. 7) ove all’interno era contenuto il busto argenteo di S.Antonio Abate (oggi visitabile nella cappella del tesoro al duomo di S. Gennaro). Fino a qualche anno fa, invece, al suo interno era possibile ammirare un eccezionale busto in prezioso legno settecentesco di S.Antonio Abate (fig. 8) ora conservato altrove.


                          fig. 7 – teca in marmo                fig. 8 – busto di S. Antonio Abate (‘700)

Si arriva così all’odierna sagrestia, nella quale è incastonato nel muro un altorilievo in marmo bianco del XIX secolo (fig. 9) rappresentate la madonna ed il bambino. Sul lato destro, dopo una moderna statua dell’addolorata e un Cristo crocifisso del 1963, troviamo una magnifica fonte battesimale (fig. 10) del ‘500, tutta in marmo bianco. Al centro di essa è possibile ammirare un bassorilievo raffigurante S.Antonio col verro (fig. 11).

                  fig. 9 – altorilievo                        fig. 10 – fonte battesimale            fig. 11 – particolare fonte 

Uno di fronte all’altro, dopo un metro di cammino dalla porta principale, sono esposti a destra e a sinistra due incantevoli affreschi del XIV secolo di sicura scuola giottesca. Il primo (fig. 12) rappresenta la crocifissione con S.Antonio orante; il secondo, “meglio conservato”, (fig. 13) raffigura la Vergine che allatta il bambino. È possibile notare la meravigliosa naturalezza del bambino nell’afferrare il seno della madre e la vivacità dei colori, nonostante siano stati deturpati dall’incuria. Sempre simmetricamente è possibile scorgere più avanti due rarissime statue in marmo di 1,40 metri ciascuna, raffiguranti S. Baculo (fig. 14) e S. Antonio Abate (fig. 15). Nulla si conosce dell’autore di queste due statue, a detta di Croce «piene di verità nell’espressione dei volti e nelle pieghe dei panni». Probabilmente appartengono ad un discepolo di Baboccio da Piperno, che dovette eseguirle nella prima metà del XV secolo.


                                   fig. 12 – crocifissione                    fig. 13 – Madonna che allatta  
   
                     
                            fig. 14 – S. Baculo                                            fig. 15 – S. Antonio

Nella terza cappella a sinistra, incastrata nel muro, vi è una lapide in marmo (fig. 16) risalente al 1534. Di fronte ad essa avrebbe dovuto essercene un’altra (o almeno c’è stata sino al 1905). Molto probabilmente era la tomba di un dotto, morto in giovane età quando era abate Alvaro della Quadra. Al di sopra di questa vi era una magnifica sfera di marmo finemente scolpita. Oltre al maestoso S. Gennaro di Luca Giordano, di cui parleremo più avanti, nella cappella vi erano due edicolette (ora trasportate ai lati dell’odierna sagrestia) che ospitavano altrettanti dipinti risalenti ai primi anni del XVIII secolo. Appartenenti sicuramente alla scuola giordanesca, essi raffiguravano presumibilmente S. Rita e S. Fara.

                             fig. 16 – lapide di Ferdinando Salinas e particolare dello stemma 

Il San Gennaro (fig. 17) di cui abbiamo accennato poco prima è da pochi anni tornato al suo splendore originale. Finemente restaurato nel 2001 è stato attribuito alla mano di Luca Giordano; il grande artista partenopeo vissuto nella seconda metà del ‘600. Di fronte al San Gennaro vi è un'altra bellissima tela (anch’essa da poco restaurata) la quale rappresenta S. Nicola (fig. 18). La scuola giordanesca del quadro è palese, ma l’autore dell’opera è di certo Domenico Viola: allievo del Giordano e autore di tutti i dipinti che adornano la parte superiore della chiesa. Alternati ai finestroni, infatti, vi sono rappresentati dodici santi eremiti oggi ridotti in uno stato pietoso.


                    fig. 17 – S. Gennaro                                                     fig. 18 – S. Nicola

Ma il capolavoro che più d’ogni altro manca all’abbazia è quello che un tempo era situato al centro del soffitto cassettonato. Anch’esso dipinto dalla pregevole mano di Domenico Viola, raffigurava la glorificazione di S. Antonio. Questo appariva come una vasta composizione piena di figure: al centro S. Antonio orante guarda estatico il cielo, verso il quale è in atto di ascendere circondato da angeli e cherubini, tutti imbarcati con lui su di una nuvola che sembra una zattera. Più in su vari angioletti dispiegano un velo che fa da baldacchino sul capo del Santo, ed in cima a tutto la mistica colomba irradia la sua luce sul gruppo ascendente. In basso si vedono altri angioletti affaccendati a tirar fuori una croce di legno da una capanna. Il dipinto è scomparso nel 1945.

Quando Benedetto Croce venne a visitare la chiesa nel 1905 catalogò quattro dipinti su tela di forma circolare raffiguranti altrettanti episodi della agiografia di Antonio. Purtroppo oggi ve ne sono soltanto due: in uno è possibile vedere la morte di S. Antonio (fig. 19) e in un altro la morte di S. Paolo Martire assistito da Antonio (fig. 20). Queste tele, di elevato valore artistico, dovrebbero quasi certamente appartenere alla mano di Domenico Viola, anche se un restauro ottocentesco eseguito da un ricoverato del Real Albergo dei Poveri ha coperto l’originale dipinto del pittore allievo del Giordano.


                  fig. 19 – Morte di S. Antonio                      fig. 20 – S. Antonio assiste S. Paolo martire

Un altro affresco è visibile nell’attuale cappella del Santissimo, rappresentante la deposizione del Cristo con S. Antonio (fig. 21). Ridotto in uno stato deplorevole è in attesa di un restauro che lo riporti allo splendore originario. Da notare i colori vivi presenti nella parte destra dell’opera.


fig. 21 – Deposizione di Cristo

In ultimo parleremo di un meraviglioso trittico su tavole di legno, purtroppo non presente nell’abbazia, ma trasportato in tempi recenti al museo di Capodimonte (fig. 22).


fig. 22 – Trittico originale La tavola centrale, racchiusa in cornice di legno intagliato e dorato, era coperta da un fine cristallo. Il dipinto raffigurava S. Antonio Abate in atto di benedire mentre nella sinistra reggeva un libro aperto poggiato sul ginocchio. Ecco come ce lo descrive Croce: «Il santo, nimbato, è di prospetto; la lunga e fluente barba bianca gli scende fin quasi alla cintola; un ampio mantello in pieghe ben disposto lo covre quasi tutto, raccogliendosi sul ginocchio destro. […] Data la grande antichità del dipinto, lo stato può dirsene buono. Il fondo fu ridorato in epoca non recente, e, nel far ciò fu coperta la forma del trono, e le carni del santo e quelle delle figurine inginocchiate. […] Anche il mantello del santo fu ridipinto, ma da mano non inesperta. » Questa magnifica opera, composta tra il 1270 e il 1370, è stata sostituita nel 1967 da una copia poco fedele all’originale (fig. 23).


fig. 23 – copia del Trittico



A destra e a sinistra vi erano gli altri due pezzi del trittico, anch’essi sostituiti. Su di ognuno sono dipinti due santi. In quello di destra vi sono S. Ludovico d’Angiò, vescovo di Tolosa, e San Giovanni Evangelista. Il santo angioino è in piedi, col viso rivolto verso Giovanni, ed in atto di parlare. Vestito in abiti vescovili, sul manto ha una larga fascia azzurra seminata di gigli d’oro. Questi, nato nel 1275 a Nocera dei Pagani, era figlio di Carlo II d’Angiò e fratello di Roberto, re di Napoli. Data l’origine angioina dell’abbazia questo dipinto ha un enorme valore storico. Sull’altra tavola vi erano dipinti S. Pietro e S. Francesco, entrambi in postura eretta: molto interessante è quello di San Francesco per l’epoca a cui risale.

Nella terza cappella a destra ove ora vi è San Nicola si poteva ammirare un prezioso dipinto di San Carlo Borromeo, scomparso anch’esso nel secondo dopoguerra. Il San Nicola era in origine nella seconda cappella a sinistra, dove fino a pochi anni fa vi era un magnifico San Giuseppe su tela, involato nottetempo.

Tanti altri dipinti e affreschi aveva la nostra abbazia, oramai scomparsi a causa dell’incuria e dell’abbandono. Ma ciò che più di tutto si oppone alla salvaguardia dei nostri beni è il rifiuto costante di studio e ricerca verso tutto quello che appartiene al passato.

[modifica] ??

Cosa significa questa pagina? --Cloj 00:55, 12 apr 2007 (CEST)

[modifica] Alcune Precisazioni Sul dossier

è stato redatto dai giovani dall'Associazione Culturale SMS nel 2004. Ho parlato col Presidente il quale mi ha autorizzato a copiarlo nella voce. Ho anche delle foto grazie. ---Ho mandato un'email anche agli altri ragazzi. Comunque confermo questo dossier lo scrivemmo in tre nella primavera del 2004. Io sono uno degli autori.

Come ti ho già scritto in talk, devi seguire le istruzioni contenute in questa pagina, grazie. Fabius aka Tirinto 01:24, 12 apr 2007 (CEST)
Volevo sapere se era possibile firmarlo "Sms group" associazione di salvaguardia memoria storica via foria 302 napoli
Frase spostata da me per chiarezza, cronologicamente quest'intervento si colloca qui Fabius aka Tirinto 00:08, 13 apr 2007 (CEST)
No, le voci non si firmano perchè non sono proprietà personale di chi le scrive. Per saperne di più ti consiglio di guardare Aiuto:Firma
Ti consiglio inoltre di non trascurare il fatto di inviare la concessione di utilizzo del materiale che hai inserito, le violazioni di copyright vengono solitamente cancellate. Fabius aka Tirinto 00:08, 13 apr 2007 (CEST)

Ho anche le immagini come posso fare per inserirle? Il testo è originale, il dossier lo scrivemmo noi e lo stampammo per poi distribuirlo in Parrocchia. Era il giugno del 2004.

Per il testo: magari non serve, ma per dormire sonni tranquilli perchè non spedire un semplice mail come spiegato in questa pagina? Ci metti solo 2 minuti, c'è già un esempio di mail dove devi solo sostituire i tuoi dati.
Per le immagini: in generale puoi guardare la pagina Aiuto:Immagini, ma direi che la parte che ti interessa maggiormente è questa. Fabius aka Tirinto 01:20, 13 apr 2007 (CEST)

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