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Chiesa di Sant'Antonio Abate - Wikipedia

Chiesa di Sant'Antonio Abate

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La Chiesa di Sant'Antonio Abate è una delle chiese di Napoli.

[modifica] Cenni storici

La chiesa è stata fondata nel XIV secolo. Venne costruita dagli Angioini insieme al complesso ospedaliero. Nell'ospedale, i frati erano soliti curare soprattutto le scottature e i sofferenti del fuoco di Sant'Antonio, servendosi di un prodotto ricavato dal grasso di maiale. Un primo rimaneggiamento è databile 1370, il seguente, fu quello del XVII secolo che, ha cancellato parte della struttura originaria. Per volere del Cardinale Sersale, nel 1779, la struttura religiosa subì un rimodernamento. Poche le fonti:La leggenda vuole che la chiesa di S.Antonio Abate, posta al origine del Borgo omonimo, fosse stata fondata per volere della regina Giovanna I; ma un diploma del re Roberto d’Angiò, dimostra che, già nel marzo del 1313, esistevano chiesa ed ospedale, e che in questo luogo si curavano gli infermi del morbo detto “fuoco sacro”. Molto probabilmente il complesso originario è risalente alla fine del XIII secolo, ma fu ampliato e in alcune parti ricostruito nell’ambito di un vasto programma di edilizia religiosa e assistenziale voluto nel 1370 dalla regina Giovanna I. Programma che ebbe enorme valore ai fini dell’urbanizzazione del borgo e dell’omonima strada la quale, attraverso Porta Capuana, rappresentava la principale via d’accesso alla città. Verso la fine del ‘300, quindi, il complesso era già costituito dalla chiesa, dall’ospedale e dal convento, ed era tenuto dai monaci ospedalieri antoniani i quali ricavavano dal lardo dei maiali la sacra tintura che veniva usata per curare l’herpes zoster, da sempre chiamato a Napoli "fuoco di S. Antonio". Tra i Napoletani si diffuse così l’abitudine di allevare maialini per donarli al monastero, nonostante l’ordine antoniano fu bandito dagli Aragonesi agli inizi del ‘400 (reputando i monaci troppo legati ai loro protettori francesi). L’usanza durò fino al 1665, quando durante una processione un maialino si intrufolò tra le gambe del vescovo il quale, infuriato, dichiarò illegale l’allevamento cittadino di quel simpatico animaletto. Con l’arrivo degli spagnoli a Napoli l’abbazia fu data in commenda dai papi ai loro congiunti e favoriti. Nel 1480 ne fu investito il cardinale Giuliano della Rovere (futuro papa Giulio II). Fu così per ben due secoli, fino a quando Clemente XIV concesse l’abbazia al Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio; un ordine cavalleresco molto legato alla dinastia spagnola. Il primo abate costantiniano di cui conosciamo il nome è Pignatelli, quindi Cantelmo, Spinelli, Sersale, Zurlo, Filangieri e poi, nel 1805, Don Giuseppe Carrano, gran Priore, seguito da Monsignor Giannangelo Borsa. L’ultimo cappellano maggiore, l’abate Naselli, ebbe in commenda la chiesa sino al 1860, anno in cui fu chiusa e abbandonata in seguito alla caduta dei Borbone e alla fine del Regno delle Due Sicile. L’abbazia venne così abbandonata e rimase chiusa per diversi anni. Nel frattempo fu saccheggiata più volte, occupata definitivamente e trasformata in officina da un fabbro ferraio. Le cose non potevano continuare così e, nonostante si auspicava al più presto un intervento dall’alto, nessuno si sarebbe aspettato che Pio IX prendesse a cuore la questione S.Antonio Abate. Sorprendendo tutti, il Sommo Pontefice nel settembre del 1863 emanò un breve Quæ in rei sacræ nel quale stabiliva, a causa dei rivolgimenti politici del 1860 in Italia, che «la Chiesa Costantiniana di Sant'Antonio Abate in Napoli, e tutti i beni Costantiniani ivi esistenti, fossero sotto la temporanea dipendenza dell'Ordinario di Napoli, fino a che la Santa Sede lo avesse creduto opportuno». Dopo tre anni finalmente l’abbazia entrava di nuovo a far parte dei complessi curiati, ma ci volle qualche anno per rimetterla di nuovo in funzione. Nel frattempo fu nominato rettore il Cav. Carmine Cinque, che nel 1888 eseguì un maestoso restauro. Questi rimase in carica fino ai primi anni del 1900, quando Benedetto XV, nel dicembre del 1916, emanò un breve Ad futuram rei memoriam nel quale dispose la restituzione della Chiesa di Sant'Antonio Abate all'Ordine Costantiniano e riconobbe nell'allora Gran Priore (e nei suoi successori) l'Abate titolare di detta Chiesa, con giurisdizione sul Clero Costantiniano per le cose che concernono l'Ordine. Fu da allora che il complesso abbaziale non appartenne più alla curia vescovile di Napoli. Inoltre, tranne due piccole targhe del 1921 peraltro firmate ancora da padre Cinque, dal secondo arrivo dei Costantiniani al secondo dopoguerra non vi è più nessun riferimento storico riguardante il complesso abbaziale di S.Antonio Abate.

[modifica] La struttura

La struttura esterna Il complesso originario poteva vantare di ben quattro stabili. Oltre alla chiesa vi erano, infatti, il lazzaretto, il convento, la torre col campanile, un cortile e una vigna che si estendeva per tutto il circondario. Purtroppo la crescente urbanizzazione, l’aumento demografico e la crisi degli alloggi portarono un profondo e radicale cambiamento nella zona tra S. Carlo all’arena, via Foria e l’Arenaccia. La vecchia strada detta “del campo” che univa Piazza Carlo III con la stazione fu completamente rifatta negli anni del risanamento, e grossi cambiamenti avvennero anche nel borgo di S.Antonio Abate. L’allargamento della strada portò all’abbattimento di un lato della chiesa, i nuovi palazzi costruiti in via Foria vennero sovrapposti all’antico convento antoniano e le vecchie celle dei monaci e le stanze dei poveri ammalati di herpes vennero occupate abusivamente da altri poveracci sfrattati da un giorno all’altro per l’avvento dei lavori del risanamento.

La facciata principale della chiesa risale al 1769, quando il cardinale e arcivescovo Antonino Sersale la costruì di punto in bianco coprendo quella originale risalente al periodo gotico. Ma osservando bene si può notare a destra quel che resta di un antico portale a sesto acuto ora purtroppo murato, ingresso originario del convento. Nella lunetta vi era un affresco del settecento rappresentante la Vergine col bambino in mezzo a due santi. Sul fronte della nuova facciata sopra una lapide vi è lo stemma (bandato di oro e di azzurro) del cardinal Sersale: «a memoria perenne dei deturpamenti fatti eseguire fuori e dentro dall’architetto Tommaso Senese», fu il commento di Benedetto Croce.

La porta di accesso alla chiesa (fig. 2) è di marmo bianco finissimo, gli stipiti sostengono un architrave sul quale, per mezzo del prolungamento degli stipiti, si forma una lunetta a sesto acuto. Come si può notare, l’interno della lunetta è ora bianco; ma in un preziosissimo disegno del Maresca (1900) si può notare (fig. 3) un meraviglioso affresco risalente alla fine del ‘600, rappresentante S.Antonio Abate in atto di benedire. Ai lati del Santo vi erano gli stemmi del cardinale Cantelmo, arcivescovo di Napoli, e del Pontefice Innocenzo Pignatelli. Di tale affresco parla anche Croce nel 1905, e alcune testimonianze orali ne datano la scomparsa intorno al 1940.

In alto, al centro della lunetta, vi è un bassorilievo rappresentante un agnello e un chiodo ove vi era pencolante lo stemma in marmo dell’Ordine Costantiniano (fig. 4). Sul marmo vi sono tre scudi della stessa forgia appartenenti alla potente famiglia dei Capano, originaria del Cilento, nobile del seggio di Nido di Napoli, che lasciò le sue memorie anche nella chiesa di S. Pietro Martire. Secondo la testimonianza del Maresca la porta di S. Antonio Abate è stata fatta costruire da Roberto Capano sotto Giovanna I, ma seguendo il ragionamento di Croce la porta risale addirittura al tempo di Roberto d’Angiò (notando la stessa mano della porta di S. Pietro). Particolare importantissimo sono i due bassorilievi ai lati: un uomo e una donna praticamente identici a quelli della chiesa di S. Pietro Martire. La parte in legno è di qualche anno più giovane, i battenti della porta sono divisi in novanta scompartimenti, e sul battente di sinistra vi è lo stemma dell’ordine antoniano; ovvero il tan, che in araldica si chiama croce patente scorciata. Lo stemma di destra e quello dei Durazzo, ed ecco ciò che Croce scrive su questo portale: «questi battenti sono pochi del XIV secolo rimasti a Napoli, e meritano di essere con ogni cura conservati; sono tuttora in buono stato e gioverebbe il liberarli dalle dipinture che li covrono in densa crosta. Vennero eseguiti, a parer mio, nell’ultimo ventennio del sec XIV»

Il lazzaretto di fronte alla chiesa (fig. 5) è stato da poco restaurato e riportato agli antichi colori originali. Anche se abbandonato all’incuria per moltissimi anni, l’ospedale ha mantenuto la struttura originaria. Enorme importanza hanno la statua di S.Antonio e lo scudo posto al di sopra dell’antico portale, ingresso principale di quando il complesso abbaziale era funzionante: infatti, l’attuale larghetto S. Antonio Abate è stato ricavato in epoca relativamente recente (inizio anni ’40) dalla caduta dei due muri di cinta che univano il lazzaretto alla chiesa e al convento.

[modifica] L'interno

L'interno è a navata unica con soffitto a cassettoni, in precedenza vi erano sei cappelle per lato; oggi sono sopravvissute solo quelle sul lato sinistro. Dalla struttura Angioina sono ancora riscontrabili, al di sotto degli stucchi, gli archi delle cappelle; dello stesso periodo sono i due frammenti di affreschi sul primo pilastro a sinistra e su quello a destra, raffiguranti la Crocifissione di Sant'Antonio Abate e la Madonna delle Grazie col Bambino. Ulteriori opere medioevali sono le tre sculture vicine ai modi dei fratelli Bertini: San Baculo in abito da pellegrino(secondo alcuni si tratta di Santiago de Compostela, viste le conchiglie sul fianco), Madonna col Bambino, Sant'Antonio Abate affiancato dal Verro (create nel XV secolo).

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