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Cimitero delle fontanelle - Wikipedia

Cimitero delle fontanelle

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il Cimitero delle Fontanelle è un antico cimitero della città di Napoli.

Indice

[modifica] Storia

L’antico ossario nascosto nel cuore della Sanità, uno dei quartieri più ricchi di storia e tradizioni, appena fuori dalla Napoli greca–romana, nel quartiere scelto per la necropoli pagana e più tardi per i cimiteri cristiani, conserva da almeno quattro secoli i resti di chi non poteva permettersi una degna sepoltura e, soprattutto, delle vittime delle grandi epidemie che hanno più volte colpito la città.

In quest’area, situata tra il Vallone dei Girolamini a monte e quello dei Vergini a valle erano dislocate numerose cave di tufo, utilizzate fino al 1600, per reperire il materiale, il tufo, appunto, per costruire la città.

Fu usato a partire dal 1656, anno della peste, flagello che provocò almeno trecentomila morti, fino all’epidemia colerica del 1836.

Non solo, a tali resti si aggiunsero dentro le antiche cave di tufo anche le ossa provenienti dalle cosiddette “terresante” (le sepolture delle chiese) e da altri scavi.

Il Canonico Andrea De Jorio racconta che verso la fine del Settecento tutti quelli che avevano i mezzi si facevano seppellire nelle chiese nelle quali però non vi era più spazio sufficiente, accadeva, allora, che i becchini, dopo aver finto di aderire alle richieste ed aver effettuato la sepoltura, a notte alta, posto il morto in un sacco, se lo caricavano su una spalla ed andavano a riporlo in una delle tante cave di tufo.

Tuttavia, in seguito alla improvvisa inondazione di una di queste gallerie, i cadaveri vennero trascinati all’aperto. Allora furono ricomposte le ossa nelle grotte, costruito un muro ed un altare ed il luogo restò destinato ad ossario della città. Secondo una credenza popolare uno studioso avrebbe contato, alla fine dell’Ottocento circa otto milioni di ossa di cadaveri rigorosamente anonimi. Oggi si possono contare 40.000 resti e molti di tali resti sono ricoperti dall’attuale calpestio.

A dir il vero, già il toponimo Sanità, come ebbe a spiegare il canonico Gennaro Aspreno Galante, sarebbe a ricondurre ai molti miracoli che si ottenevano sulle tombe dei santi sepolti ma anche per la salubrità del luogo. Il quartiere che si estende tra via Foria e la collina di Capodimonte ha sempre avuto dei segni distintivi nell’orografia come nell’urbanistica, nella storia come nella cultura.

Ribadiamo anche il nome delle Fontanelle per la presenza di fonti d’acqua in questa parte delle città, per la presenza di abbondanti sorgenti e, in una stagione in cui era rara l’acqua a Napoli.

La valle dei Vergini prende il nome da una fratria religiosa greca, quella degli eunostidi, dedita alla temperanza e, soprattutto, alla castità. Tra storia e leggenda la singolare vicenda di Eunosto, giovane di bell’aspetto che, suo malgrado, fece innamorare Ocna. La ragazza, figlia di un magistrato, corteggiò a lungo il fanciullo, senza ottenere alcuna risposta. Infine, travolta, dalla passione, tentò di sedurlo con una vera e propria aggressione, ma Eunosto reagì bruscamente e si difese con la forza. Ferita nell’orgoglio oltre che nel corpo, Ocna raccontò ai fratelli d’esser stata vittima di un tentativo di stupro e i due la vendicarono uccidendo il ragazzo. Quando, poco dopo, si seppe la verità gli assassini furono incarcerati e la donna si uccise, mentre i cittadini vollero tributare un omaggio ad Eunosto dedicandogli un tempio.

[modifica] L'utilizzo per i resti

Come dicevamo poco anzi, già alla fine del Settecento v’è una prima sommaria sistemazione dei resti e si iniziano a vedere numerose stuoie e sudari di ossa.

I resti anonimi si moltiplicheranno col passare degli anni e, qui che confluiranno le ossa trasferite oltre dalle terresante anche i corpi straziati dalle epidemie, così una quindicina d'anni dopo verranno qui collocate le ossa ritrovate nel corso della sistemazione di via Toledo, risalenti al cataclisma del 1656.

Ed ancora, nel 1934, furono collocate qui le ossa ritrovate durante i lavori di sistemazione di via Acton, non lontano dal Maschio Angioino, come ricorda una lapide ben visibile nella cavità, scese le scale poste sulla parete di destra, dove è una lastra di vetro a terra.

Alla fine dell’Ottocento, dinanzi all’ingresso principale della cava, viene eretta la Chiesa di Maria Santissima del Carmine'. Il tempio sostituisce la cappella ricavata all’interno della cava e regolarmente utilizzata per le celebrazioni liturgiche. L’accesso dalla chiesa, aperta fino agli anni ottanta del Novecento, dov’era l’altare, introduce alla grotta di Lourdes, dove si trovano la statua dell’Immacolata e di Bernadette, e quindi la cappella con Cristo morto. A sinistra c’è un alto finestrone, di fronte l’altare con il Crocifisso sagomato e, alla sua sinistra, il presepe sistemato nella prima metà del Novecento, con Maria e Giuseppe a grandezza naturale.

Entrando, posti di fronte all’altare, sulla sinistra, sotto il finestrone, ci sono le prime due bare che raccolgono i resti di ossa (forse di bambini).

Entrati nella prima delle tre grandi gallerie, a sezione trapezoidale, in direzione N-S, con un’altezza variabile tra i 10 e i 15 m. e lunghe un centinaio di metri collegate da corridoi laterali, subito a destra è stata realizzata la cappella che ricorda il canonico Gaetano Barbati, che organizzò le prime squadre di fedeli per la sistemazione dei resti, inoltre fece scrivere la lapide sulla facciata della chiesa, come monito di pietà cristiana per i posteri.

Ai piedi della statua vi è una bara in cui sono deposti i resti di due scheletri posti l’uno accanto all’altro e la credenza popolare li identifica come i due sposi. Proseguendo il successivo corridoio laterale ospita, forse il teschio più famoso, ovvero quello del "Capitano".

Particolare è anche la figura del”Capitano” (il cui teschio ha a lungo troneggiato nell’ossario). Sulla sua figura aleggiano varie leggende e ad essa è legata anche quelle dei due sposi, citati poc’anzi, situati nella bara, sotto la statua di Gaetano Barbati.

[modifica] La leggenda del teschio del "Capitano"

La prima versione ci racconta che la futura sposa era molto devota al capitano e veniva qui a pregare mentre il fidanzato scettico, volle accompagnarla un giorno, portandosi dietro un bastone di bambù e conficcandolo, così, nell’occhio del teschio, invitò il capitano al suo matrimonio.

Quando fu il giorno delle nozze apparve un uomo vestito da carabiniere. Incuriosito di tale presenza lo sposo chiese chi era e quest’ultimo gli rispose che proprio lui lo aveva invitato, accecandogli un occhio, detto ciò si spogliò e apparve lo scheletro ed i due morirono sul colpo e chissà quanti altri invitati.

L’altra versione raccolta da Roberto De Simone, fa entrare in scena alcune elementi sociologici di attualità: Un giovane camorrista, donnaiolo e spergiuro, il quale aveva osato profanare il Cimitero delle Fontanelle, ivi facendo l’amore con una ragazza.

Ma ad un tratto sentì la voce del capitano che lo rimproverava ed egli, ridendosene, rispose di non aver paura di un morto.

Alle nuove imprecazioni del capitano, il temerario giovane lo sfidò a presentarsi di persona, giurando ironicamente di aspettarlo il giorno del suo matrimonio.

E con ciò egli giurò in cuor suo di non sposarsi mai. Pur tuttavia il giovane si dimentica del giuramento e dopo qualche tempo si sposò. Al banchetto di nozze si presentò tra gli invitati un personaggio vestito di nero che nessuno conosceva e che spiccava per la sua figura severa e taciturna.

Alla fine del pranzo, invitato a dichiarare la sua identità, rispose di avere un dono per gli sposi, ma di volersi mostrare solo a loro.

Gli sposi lo ricevettero nella camera attigua, ma quando il giovane riconobbe il capitano fu solo questione di un attimo. Il capitano tese loro le mani e dal suo contatto infuocato gli sposi caddero morti all’istante.

La particolarità di tale teschio, posto all’interno di una teca è la sua lucidatura ovvero mentre gli altri crani sono ricoperti di polvere quest’ultimo è sempre ben lucidato, ora l’umidità dei luoghi sotterranei è stata sempre interpretata come sudore: “Se domandate ai devoti vi diranno che quell’umidità è sudore delle anime del Purgatorio”.

Gli umori che si depositano su questi resti sono ritenuti dai fedeli acqua purificatrice, emanazione dell’aldilà in quanto rappresentazione delle fatiche e delle sofferenze cui sono sottoposte le anime.

[modifica] Il culto delle anime

Ma il punto di partenza è la preghiera per tali anime. Le ossa anonime, accatastate nelle caverne lontano dal suolo consacrato, sono diventate ben presto per la gente della città le anime abbandonate le cosiddette”pezzentelle”, le anime purganti che sono diventate un ponte tra l’aldilà e la terra, un mezzo di comunicazione tra i mondi dei morti e i mondi dei vivi.

Al teschio, spesso, era associato un nome, una storia, un ruolo. Ancora negli anni Settanta c’era l’abitudine di sostare di notte ai cancelli del Cimitero per aspettare le ombre mandate dal teschio di don Francesco, un cabalista spagnolo, a rivelare i numeri per giocare a lotto. Spesso il napoletano, più che altro donne si recavano sul posto adottavano un teschio particolare che l’anima lo ha indicato nel sogno. A questo punto il cranio faceva parte della famiglia del devoto.

Al camposanto delle Fontanelle, il comportamento rituale si esprimeva tramite un preciso cerimoniale, il cranio veniva lucidato, pulito, lo si poggiava su dei fazzoletti ricamati adornato con lumini e dei fiori. Il fazzoletto era il primo passo che segnava l’adozione da parte di un devoto ad una particolare anima e rappresentava il principio affinché la collettività adottasse il teschio.

Al fazzoletto si aggiungeva il rosario, messo al “collo” del teschio per formare un cerchio; in seguito il fazzoletto veniva sostituito da un cuscino, spesso ornato di ricami e merletti. A ciò seguiva l’apparizione in sogno dell’anima prescelta, la quale richiedeva preghiere e suffragi.

I fedeli sceglievano chi pregare e a chi offrire i lumini nelle loro visite costanti e regolari. Solo allora il morto appariva in sogno e si fa “riconoscere”. In sogno comunque la richiesta delle anime è sempre la stessa: tutte hanno bisogno di “refrisco”.

La frase ricorrente nelle preghiere rivolte alle anime purganti era infatti la seguente: “A refrische’ e ll’anime d’o’ priatorio”.Si pregava l’anima per alleviare le sue sofferenze in purgatorio, creando un vero e proprio rapporto di reciprocità, chiedendo in cambio o una grazia o dei numeri per giocare a lotto. Se le grazie venivano concesse gli si dava un tipo di sepoltura più degno. Ma se il sabato i numeri non uscivano o se le richieste non erano esaudite il teschio veniva abbandonato a se stesso e sostituito con un altro. Data la vasta scelta.

I teschi, inoltre, non venivano mai ricoperti con delle lapidi, in quanto idoli, ma soprattutto perché la loro visione potesse condizionare l’inconscio per sognarli di notte. Secondo la tradizione popolare infatti l’anima del Purgatorio in sogno rivelava la sua identità e la sua vita. Si ritornava sul luogo di culto, si raccontava il sogno e se il teschio era particolarmente benevolo si concedeva a tutti di pregare per lo stesso teschio determinando così una sorte di santificazione popolare. Utili erano tutti i tipi di segni che potevano venire alle anime. Così un teschio che non sudava, cioè che non accumulava condensa da umidità, era segno di una sofferenza dell’anima abbandonata e cattivo presagio. In questo caso si chiedeva soccorso a Gesù e, soprattutto, alla Madonna.

L’unico mezzo di comunicazione era il sogno e dai sogni spesso nascono così varie personificazioni delle anima “pezzentelle” ed ecco moltiplicarsi le diverse figure di giovinette morte subito prima del matrimonio, altre presenze significative sono gli uomini morti in guerra o comunque in circostanze drammatiche e singolari, infatti va ricordato che siamo negli anni del secondo conflitto mondiale: la guerra ha diviso famiglie, allontanato parenti e provocato morti e dispersi. Forse, proprio in questo periodo si ricorre alle anime del Purgatorio per chiedere e aiutare quei parenti. Le anime purganti diventano quindi la concreta rappresentazione di una memoria che si rinnova continuamente.

[modifica] Il Monacone

Proseguendo, in fondo, illuminato da un impossibile raggio di luce si innalza l’inquietante figura del Monacone: l’impressionante statua di San Vincenzo Ferrer decapitata, sulla quale una mano ignota ha posto un teschio in luogo della testa.

Alle sue spalle si trovano due bare con gli unici scheletri ben visibili dentro il “cimitero”, entrambi vestiti e posti che appartengono ad una coppia di nobili: Filippo Carafa, conte di Cerreto, di Maddaloni, morto ad ottantaquattro anni, la seconda, la moglie, donna Margherita, morta a cinquantaquattro anni. Quest’ultima, si vuole raccontare, ritrovata con la bocca spalancata, sarebbe morta soffocata da uno gnocco.

Ben verosimile vuole che qui ci siano anche i resti del poeta Giacomo Leopardi. Fa da sfondo, forse, l’antro più noto ovvero quello definito il “Tribunale” per la presenza di tre croci con una base di teschi. Qui, secondo quanto si racconta da almeno oltre un secolo, si riunivano i vertici della camorra per i famosi giuramenti di sangue e gli altri riti di affiliazione e, anche, per emettere le condanne a morte.

Non lontano vi è il “Calvario” chiamato così perché il Golgota in aramaico significa teschio, il monte dove spirò Gesù. Attualmente la sistemazione non è più quella originaria in quanto per un’alluvione, ci fu un invasione di fango che coprì quasi tutti i teschi.

Continuando nella seconda galleria ogni antro è occupato da cataste di teschi che, in base all’ennesima leggenda, sarebbero stati ordinati secondo la condizione sociale dei defunti. In fondo, nel mezzo d’un ambiente di grande impatto visivo ed emozionale, quello che si potrebbe definire per l’ossoteca, al cui centro si erge un Cristo risorto.

Dopo il Calvario sulla sinistra si possono osservare i teschi adottati e custoditi in teche di marmo chi poteva permetterselo con su scritto: Per Grazia ricevuta, il nome, cognome e l’anno di adozione del devoto, chi invece non aveva possibilità , custodiva il teschio adottato in una scatola di biscotti.

L’ultimo antro ci sono gli scolatoi dove i morti venivano appoggiati per far colare i liquidi, sulle pareti sono ancora ben visibili le grappiate utilizzate dai cavamonti per scendere nella cavità e poter estrarre e lavorare il tufo.

[modifica] Collegamenti esterni

Foto del Cimitero delle Fontanelle

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