Comune (storia)
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Il Comune è una forma di governo locale che si diffuse a partire dai secoli XI e XII nelle città dell'Italia centro-settentrionale e che andò esaurendosi nel corso dei secoli XIII e XIV, con la modificazione degli equilibri politici interni, con l'affermazione sociale di nuovi ceti e con la sperimentazione di nuove esperienze di governo (signoria cittadina).
[modifica] L'istituzione del comune
Con la rinascita delle città nell'XI secolo e la ripresa delle attività artigianali, i nuovi ceti urbani si riunirono per liberarsi dai vincoli feudali e dall'autorità imperiale, creando una nuova realtà politica, il Comune.
Il Comune nacque quindi con l'intento di esprimere la lotta per l'emancipazione delle classi cittadine dalla soggezione feudale, che dà luogo a una profonda trasformazione sociale, caratterizzata dal rifiorire delle attività commerciali e l'emergere della borghesia.
[modifica] Organizzazione politica
Il governo del Comune era basato su un Consiglio generale cittadino che eleggeva dei magistrati, detti consoli, incaricati della reggenza. Alla fase consolare seguì poi una fase detta podestarile: il podestà era uno straniero, eletto a reggere il Comune in quanto si presumeva che fosse imparziale rispetto ai conflitti locali. Durante l'età comunale naquero anche le Corporazioni di mestiere, associazioni di mercanti e artigiani riunite secondo il mestiere che praticavano.
Non siamo in grado di conoscere con esattezza data di nascita, né luogo di nascita dei comuni. Sappiamo, da alcuni documenti dell'XI secolo, che i primi rappresentanti delle collettività furono chiamati Boni homines o Consoli. In principio i comuni si ponevano come delle magistrature provvisorie nate per risolvere problemi di un dato momento formate proprio da “uomini buoni” di cui tutti si fidavano. I consoli prestavano giuramento di fedeltà davanti alla cittadinanza elencando i propri obblighi, considerati prime forme di Statuti Cittadini. Durante il loro operato redigevano il “Breve”, una sorta di elenco-archivio in cui erano riportate tutte le opere pubbliche intraprese ma non terminate. Tutti i cittadini che godevano di diritti urbani si riunivano nel “Parlamento” che era l’organo fondamentale nella vita di un comune. Per facilitarne la gestione, spesso quest'organo fu ridotto ad una minoranza di individui, iniziando l’ascesa di quei gruppi che sarebbero divenuti dirigenti. Tutti i comuni si assomigliarono per la presenza di una categoria di individui che godeva di maggiori diritti rispetto agli altri. Per poter partecipare al potere comune bisognava essere: maggiorenni, maschi, pagare una tassa di ammissione, possedere una casa. Ne erano invece esclusi, le donne, i poveri, i servi, gli ebrei e i musulmani non convertiti.
In Italia l’ascesa dei comuni fu ostacolata dal centralismo normanno nell’Italia meridionale, mentre essi raggiunsero un eccezionale sviluppo a Nord espandendosi sia dalle città alle campagne. Questa crescita fu incoraggiata soprattutto dalle nobiltà locali per la possibilità tangibile di sganciarsi dal potere e dal controllo imperiale. Nel corso del XII-XIII secolo tutti i comuni acquisirono un buon livello di controllo anche sulla campagna a loro circostante attuando quel processo che è detto formazione del contado (comitatinanza) e che comprendeva il Districtus (campagne annesse) e il Comitatus (campagne che già in origine facevano capo al comune). Sempre in questi secoli altro motivo di ampliamento fu la nascita della figura del podestà, cioè di funzionari di mestiere con compiti di amministrazione del territorio comunale e mediatori tra potere e cittadinanza. Essi erano veri e propri professionisti, con compiti ben definiti e stipendiati dal comune, la cui preparazione veniva acquisita con lo studio del diritto nelle nascenti università. Furono soprattutto le grandi famiglie di nobili a studiare e a specializzarsi per divenire podestà in modo da acquisire maggiore potere nel quadro del territorio comunale.
[modifica] Crisi del comune
L'istituzione comunale entrò in crisi tra la fine del XII e l'inizio del XIV secolo. All'origine di questa crisi si collocano i contrasti sociali che finirono col logorare progressivamente la tenuta delle antiche magistrature comunali.
Fin dall'inizio l'autonomia dei Comuni fu fieramente osteggiata dagli imperatori tedeschi: Federico I, detto il Barbarossa, cercò a più riprese di togliere loro quelle regalie (diritti) che essi avevano usurpato all'autorità imperiale: imporre tributi, battere moneta, eleggere magistrati. Dopo alterne vicende il Barbarossa venne duramente sconfitto nella battaglia di Legnano (1176) dai Comuni italiani uniti nella Lega lombarda. La pace di Costanza del 1183 sancì la formale ubbidienza dei Comuni all'imperatore, e il sostanziale riconoscimento delle autonomie comunali da parte del sovrano.
Ma la vera causa del fallimento del comune furono i contrasti sociali al suo interno: le grandi famiglie aristocratiche che si disputavano il primato in un clima molto vicino a quello delle lotte feudali; la nobiltà inurbata che aveva dovuto sostenere le rivendicazioni della borghesia delle Arti, sempre più potente e intenzionata ad assumere il controllo della vita politica; infine i ceti meno abbienti che manifestavano la propria inquietudine: esclusi dai grandi profitti economici e tenuti ai margini di quella che restava sostanzialmente una Repubblica oligarchica, spingevano per migliorare la propria condizione.
La ricerca di maggiore stabilità portò la borghesia cittadina ad affiancare al podestà, sostenuto dal ceto più abbiente, una nuova figura, quella del capitano del popolo, un magistrato, spesso forestiero, che restava in carica per sei mesi o un anno, ma che finì per rappresentare gli interessi delle Arti maggiori. Ulteriore motivo di crisi dell'antico assetto comunale fu proprio l'ambizione del patriziato cittadino: la volontà di espandersi nel contado e ai danni dei Comuni limitrofi.
Anche la nascita delle monarchie centralizzate portò alla definitiva scomparsa dell'istituzione comunale, lasciando il posto alla signoria cittadina.
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