Dialoghi (Seneca)
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Con il titolo complessivo di Dialogi (lat. "Dialoghi") è conosciuto un insieme di opere del filosofo romano Lucio Anneo Seneca.
Indice |
[modifica] Considerazioni generali
A dispetto di tale denominazione (di certo molto antica perché già utilizzata da Quintiliano), non si tratta di veri e propri dialoghi, poiché il filosofo costituisce la voce narrante in prima persona senza che nella trattazione sia previsto un interlocutore diverso dal destinatario dell'opera; l'unica eccezione è rappresentata dal De tranquillitate animi, in cui Seneca immagina un colloquio fra sé e l'amico Sereno.
Va detto però che la classica forma dialogica presente in Platone era andata via via disseccandosi, riducendosi in molte trattazioni filosofiche ad accenni a un avversario ipotetico con espressioni fisse quali: «qualcuno dirà» «tu dici» «tu dirai», dopo cui di solito si esponeva in breve e in modo più vivace, grazie all’artificio retorico del finto contraddittore, una tesi da confutare.
Questa forma riduttiva e schematizzata di dialogo troverà la sua espressione più efficace nella διατριβή [diatribé] cinico-stoica, sorta di predica o più pacatamente di conferenza popolare, rivolta cioè a un largo pubblico inesperto di filosofia, in cui alla trattazione sistematica d’un tema o problema filosofico-morale si sostituiva l’esortazione e l’invito ad accettare o abbandonare certi comportamenti che la sommaria dimostrazione di quel tema indicava come buoni o come cattivi. Erano pertanto opere brevi, sciolte e libere da una disposizione rigorosa degli argomenti, vivaci e addirittura, nei cinici soprattutto, violente nell’esposizione del tema, che deliberatamente piuttosto che alla ragione degli ascoltatori si rivolgevano di preferenza al sentimento, alla loro natura predisposta a seguire presumibilmente il bene e fuggire il male. E ampio spazio in quest’opera di accattivarsi e impressionare il sentimento era dato agli esempi da seguire o da fuggire tratti dalla storia e dalla vita di uomini famosi.
Va aggiunto peraltro che questo stile filosofico incontrava singolarmente quello delle declamazioni retoriche dell'età imperiale fino a Nerone, che, abbandonata la concinnitas ciceroniana della perfetta disposizione degli argomenti e dell’esatto equilibrio degli ampi periodi dove il pensiero era ben bilanciato nei precisi incastri di frasi principali e subordinate, preferiva invece una più libera disposizione degli argomenti per associazione d’idee o d’immagini e periodi più brevi e distaccati tra loro, dove il chiaroscuro delle singole frasi che si susseguivano trovava la sua conclusione nella sententia, la concisa e sentenziosa frase finale che illuminava e metteva in rilievo, per la memoria, il concetto principale da ritenere. Non è dunque solo curiosità aneddottica che buona parte di questo gusto retorico sia giunto a noi nella raccolta di Controversiae e Suasoriae fatta da Seneca padre, colui cioè che per motivi di carriera politica distolse i figli dalla filosofia e li avviò allo studio e alla pratica della retorica. Ciò che naturalmente in queste brillanti ma un po’ vacue esercitazioni Seneca però non poteva trovare era la serietà d’intenti e la profondità d’indagine che una διατριβή aveva. Invero questa fusione di stile nervoso e di contenuto filosofico poteva trovarla solo in essa.
Ora non c'è dubbio che i Dialoghi di Seneca risentano fortemente di questa forma espositiva della filosofia greca di mezzo – cioè dopo il periodo classico di Socrate, Platone e Aristotele – e che molti dei dialoghi senecani sono delle διατριβή adattate a un pubblico e interlocutori romani. Del resto i circoli filosofici che Seneca frequentò giovane coltivavano, nella loro accentuazione dei problemi morali, soprattutto questo genere di trattazione filosofica, spesso in forma direttamente orale, come si addice a una predica appunto.
Il termine greco però si acclimerà a Roma nella traslitterazione latina di diatrĭba solo più tardi – il primo a usarlo pare sia stato Aulo Gellio – e fu Seneca stesso probabilmente a dare a queste sue opere il nobile termine di Dialogi. Del resto l’uso e l’adattamento che Seneca ne fa comportano parecchie differenze rispetto alla διατριβή greca. Intanto Seneca usa come interlocutori reali, non ipotetici, persone della sua cerchia, in questo similmente alle lettere epicuree, da cui oltre che esortarli può cercare sostegno e appoggio alle sue tesi morali che spesso adombrano la giustificazione filosofica di precisi comportamenti pubblici che il filosofo teneva in quel torno di tempo. E la stretta, e a volte contraddittoria, dipendenza delle opere e dell’azione di Seneca è parte non secondaria del suo fascino. Tutti gli interlocutori poi sono equites (cavalieri) o appartenenti a classi alte della società romana. Ciò che darà all’esposizione di Seneca, pur mantenendo spesso il vigore e la forza satirica dei modelli originali, un tono meno basso e volutamente volgare, urtante addirittura che invece era proprio della predica popolare cinica. Seneca inoltre, sulla scia delle opere filosofiche di Cicerone, romanizzerà molti degli exempla, cioè dei comportamenti esemplari pro o contro una certa tesi morale, traendoli dalla storia romana anche recente, in cui spesso riverserà i suoi odi e le sue amicizie e stime verso figure note con cui ebbe a che fare. Infine molto tipiche di Seneca e dei suoi gusti sono le citazioni, anche queste adattate spesso al significato che a Seneca interessava dare, sparse di poeti: l’amato Virgilio soprattutto e l’“immaginifico” Ovidio, che aveva anticipato in età augustea certi gusti “barocchi”, sdegnosi della classica misura cioè, che fiorirono nell’età neroniana.
Un po’ diverse, avendo caratteristiche proprie, sono le tre Consolationes, che mantengono però la forma schematica di dialogo nel rivolgersi alla persona che si cerca di consolare e confortare nel dolore, e lo scopo principale d’esortazione ad abbandonare un certo comportamento falsamente morale per un altro moralmente corretto. Ad ogni modo se dialogi è termine già senecano e del suo tempo, e se queste opere hanno caratteristiche di forma, di stile e d’argomento – morale – consimili, la loro compilazione in un unico volume e l’ordine che lì vi hanno, è difficile e si tende a escludere che sia opera di Seneca. Quanto all’ordine di composizione, che a grandi tratti è possibile ricostruire, esso è importante per la stretta connessione, già indicata, tra l’opera scritta e il momento in cui viene scritta, riflettendosi nelle singole opere l’atteggiamento e la disposizione psicologica di Seneca nei confronti del potere e della società di Roma che egli aveva in quel dato momento. L’importanza dell’insieme dei Dialogi perciò sta anche nel fatto che la loro composizione, attraversando tutta l’altalenante vita e carriera pubblica di Seneca, ci permette di avere uno sguardo sull’animo e i suoi cambiamenti del grande filosofo a seconda delle alterne fortune politiche.
I Dialogi di Seneca sono dieci, distribuiti in dodici libri:
- Ad Lucilium de providentia;
- Ad Serenum de constantia sapientis;
- Ad Novatum De ira in tre libri;
- Ad Marciam de consolatione;
- Ad Gallionem de vita beata;
- Ad Serenum de otio;
- Ad Serenum de tranquillitate animi;
- Ad Paulinum de brevitate vitae;
- Ad Polybium de consolatione;
- Ad Helviam matrem de consolatione.
[modifica] De providentia
![]() |
Per approfondire, vedi la voce De providentia (Dialoghi). |
In questo dialogo Seneca sostiene che è nell’ordine provvidenziale che i buoni abbiano incommoda (sventure, avvenimenti dolorosi) ma che essi sono immuni dai mala, che sono i veri e propri mali morali. La divinità stessa ammette che i buoni subiscano disgrazie e calamità per allenare e rinforzare la virtù e far in modo che possa concretamente manifestarsi nelle azioni. D’altra parte la fortuna da cui gli incommoda dipendono, se giunge a rendere la vita insopportabile e indegna d’essere vissuta il buono non avrà esitazione a liberarsene scegliendo la morte.
[modifica] De brevitate vitae
![]() «Exigua pars est vitae, qua vivimus. Ceterum quidem omne spatium non vita, sed tempus est »
|
![]() «Il tratto di vita in cui viviamo è minimo. Infatti tutto lo spazio rimanente non è vita, ma tempo »
|
(Seneca )
|
L'argomento trattato è il tempo e l'uso che dovrebbe farne il "sapiens" (il saggio). Nonostante tutti si lamentino della brevità della vita, infatti, questa è lunga a sufficienza "per la realizzazione delle cose più grandi"; agli uomini sembra breve perché essi ne sprecano gran parte in futili occupazioni.
[modifica] De vita beata
E' un dialogo apologetico che Seneca scrisse per difendersi dalle accuse di incoerenza che gli erano state rivolte. "Aliter loqueris, aliter vivis", lo apostrofa l'interlocutore immaginato nel dialogo: "dici una cosa, ne fai un'altra". Seneca non nega le sue colpe, ma controbatte che nei suoi scritti parla in generale della virtù, non della propria vita personale. Lui si definisce infatti un semplice aspirante alla saggezza (adsectator sapientiae): "non sum sapiens [...] nec ero", cioè "non sono un saggio, né lo sarò"; non ritiene quindi di appartenere alla categoria dei "sapientes", gli unici che hanno raggiunto la virtù.
[modifica] De otio
Risale ai tempi del ritiro di Seneca dalla vita politica. Come nel De tranquillitate animi, viene preso in considerazione il rapporto fra impegno attivo nella vita civile e attività contemplativa. Secondo l'Autore, la scelta di una vita appartata è irrinunciabile. Se il filosofo sceglie l'impegno politico, in realtà, è in virtù di una scelta forzata, imposta dalle circostanze.
[modifica] De tranquillitate animi
Il De tranquillitate animi è dedicato all'amico Sereno. Nell'opera Seneca indica i modi per raggiungere la tranquillità dell'animo e, nei capitoli 3-5, invita alla partecipazione alla vita politica, cercando una mediazione fra i due estremi dell'otium contemplativo e dell'impegno proprio del civis romano, suggerendo un comportamento capace di adattarsi alle condizioni politiche per conseguire la serenità e la capacità di giovare agli altri, se non con l'impegno pubblico, almeno con l'esempio e la parola.
[modifica] De Costantia Sapientis
In questo dialogo Seneca definisce il concetto di sapiens, cui caratterisiche essenziali sono appunto la costanza e l'imperturbabilità. Per costanza Seneca intende sia la perseveranza del saggio nei propri giudizi e intenti nonché la coerenza tra pensiero e azione, sia l'immutevolezza della virtù nel corso del tempo, che deve rimanere salda e irremovibile davanti alle difficoltà che la sorte presenta; l'imperturbabilità è invece quella proprietà del saggio di rimanere indifferente di fronte all'"iniuria" e alla contumelia: l'"iniuria", vale a dire l'offesa, ha come intenzione l'arrecare un danno a qualcuno; ma il saggio non può subire alcun male, poiché dove c'è virtù non c'è male, e quindi l'offesa, pur raggiungendolo, non lo danneggia. Il saggio non è quindi inarrivabile, ma invincibile. La contumelia invece non è una vera e propria offesa, è perciò meno grave, e consiste nell'assumere un comportamento che porta disagio a un altro, il quale si sente disprezzato. Ricevere una contumelia è quindi un 'venire disprezzato'; ma il saggio è quanto di più simile ci sia a un Dio, se non fosse per la sua mortalità, è pertanto maggiore di chiunque sia l'artefice della contumelia e non può certo essere disprezzato da un essere inferiore. È così dimostrato che il 'sapiens' non può subire nè offesa nè contumelia. Il saggio, infine, poiché ha riposti tutti i suoi beni in sé e non ha lasciato nulla affidato alla fortuna, non può da essa essere danneggiato. La fortuna infatti può portare via tutto ciò che ha donato all'uomo; ma la virtù non è un dono della fortuna, e non può perciò essere da essa sottratta.
[modifica] Voci correlate
[modifica] Altri progetti
Wikisource contiene il testo completo di Lucius Annaeus Seneca
Wikiquote contiene citazioni di o su Dialoghi (Seneca)
Autobiografia e Biografia - Cavalleresca - Critica - Diario - Reportage di viaggio - Epica - Erotica - Fantascienza - Fantasy - Favola - Fiaba - Fumetto e Manga - Giallo - Horror - Leggenda - Letteratura - Mito - Narrativa - Poesia - Ragazzi - Romanzo - Saggio - Satira - Teatro - Tragedia - Western |
Letteratura nel mondo: araba - argentina - berbera - brasiliana - bulgara - cristiana - francese e francofona - galiziana - giapponese - greca - inglese e britannica - israeliana - italiana - latina - occitanica - rumena - russa - siciliana - spagnola - portoghese - sudafricana - tedesca - ungherese
Categorie: Classici - Correnti - Critica - Fantascienza - Generi - Letteratura - Linguistica - Metrica - Opere - Personaggi - Poeti - Premi - Premi Nobel - Riviste - Riviste del '900 - Scrittori - Scrittori per genere - Storia della letteratura |
Wikizionario - Wikiquote - Wikibooks - Wikisource |
---|
Storia della filosofia | Filosofi | Discipline filosofiche | Opere filosofiche