Gens
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Nell'antica Roma, la gens (pl. gentes) era un clan, cioè un gruppo di famiglie (familiae), che condividevano lo stesso nomen. Sebbene durante la formazione classica vi fosse stata una tendenza ad un rimando mitico delle nascite della gens (si noti in particolare l'opera di Virgilio nei confronti della gens Giulia), molto probabilmente l'origine della gens non era riconducibile ad un antenato comune. Infatti la lex XII tabularum citata da Gaio ricorda che "in mancanza di eredi, il patrimonio va agli agnati prossimi, altrimenti alla gens". Poiché gli heredes sui hanno un grado nella familia, mentre non vi sono rimandi a gerarchie nelle parentele gentilizie, è improbabile che vi fosse una parentela sanguigna (cfr. gli studi del Serrao). Nella Convenzione dei nomi romani, il secondo nome era il nome della gens alla quale la persona apparteneva.
L'origine delle gentes è sicuramente precedente alla fondazione della civitas romana, ed in particolare nella sua costituzione ricorda una matrice di stampo indoeuropeo che ci riconduce alle strutture dell'orda, o ancora della Sippe tedesca. È molto originale l'opinione del De Francisci che nel suo Primordia Civitatis (1960) associa speculazione etnografica e archeologia identificando la signoria della gens sul pagus, e in particolare la sua disposizione nel vicus, formato a sua volta da tante domus. Più in generale la struttura della gens ben si identifica nella prospettiva economica dell'epoca. si trattava infatti di un gruppo che ben poteva sviluppare la pastorizia, e in un secondo periodo l'agricoltura ad un livello prettamente estensivo. Nell'opinione del De Visscher e del Bonfante, alla proprietà collettiva della gens corrispondevano le res mancipi, ovvero i beni di interesse collettivo (il gregge, i fondi, gli strumenti del lavoro). Si tratta tuttavia di supposizioni; quali fossero le res mancipi, non ci è dato saperlo.
I rapporti delle gentes erano un fattore importante nella politica a livello primordiale; la fondazione di Roma, probabilmente alla metà dell'VIII secolo, è sicuramente riconducibile ad una federazione gentilizia per motivi economici, politici, sociali che portarono alla fondazione di una città (forse il primordiale arx sul Campidoglio), e consentirono lo sviluppo nella valle del Tevere, in corrispondenza del tratto navigabile del fiume, in prossimità del ponte Sublicio e dell'isola Tiberina.
Originalmente tra i plebei ed i patrizi non era permesso il matrimonio e parecchie gentes patrizie di conseguenza si estinsero. La Lex Canuleia del 445 a.C. abolì il divieto di matrimonio tra patrizi e plebei, assegnando lo ius connubii alle famiglie della plebe..
Fra le gentes patrizie c'erano due categorie, le gentes maiores e le gentes minores.
Le gentes maiores erano le famiglie principali di Roma, le più antiche, discendenti dai primi padri o senatori nominati da Romolo detti Patres maiorum gentium. Secondo Tito Livio queste gentes originarie, risalenti alla fondazione di Roma furono un centinaio, e tra queste vi erano la gens Aemilia, la gens Claudia (che in realtà era giunta a Roma dalla Sabina nel 504, ed alla quale era stato assegnato un ager), la gens Cornelia, la gens Curtia, la gens Fabia, la gens Valeria.
Altre gentes come la Iulia o la gens Quinctia erano state cooptate da Roma quando la città di Alba Longa fu conquistata e distrutta dai romani guidati da Tullo Ostilio.
![]() «Roma interim crescit Albae ruinis [...] Principes Albanorum in Patres [...] legit., Iulos, Servilios, Quinctios, Geganios, Curiatios, Cloelios. »
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![]() «Roma intanto prospera sulle rovine di Alba [..] (Tullo) fa salire al rango di senatori i maggiorenti degli Albani [...] i Giulii, i Servilii, i Quintii, i Gegani, i Curiatii, i Clelii »
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(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 30., Newton & Compton, Roma, 1975, trad.: G.D. Mazzocato)
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Le gentes minores erano le più recenti ed i loro membri discendevano dalle famiglie plebee che Tarquinio Prisco aveva innalzato all'onore del patriziato per crearsi una base di supporto al suo potere.