Il sangue dei vinti
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Il sangue dei vinti | |
Autore: | Giampaolo Pansa |
Anno (1a pubblicazione) : | 2003 |
Genere: | Saggio |
Sottogenere: | storiografia |
EDIZIONE RECENSITA | |
Anno: | |
Editore: | Sperling & Kupfer |
Pagine: | 381 |
ISBN | codice ISBN (senza trattini né spazi) |
Progetto Letteratura |
Il sangue dei vinti è un saggio di storia contemporanea scritto da Giampaolo Pansa ed edito da Sperling & Kupfer.
A mezza via tra la narrazione letteraria e resoconto storico, il libro alterna alla forma del saggio documentato la libera ricostruzione, che trattiene ed elimina quanto desiderato dall'autore. Molto contestato negli ambienti di sinistra, e in particolar modo dall'ANPI, il libro racconta i crimini compiuti da ex partigiani ed altri individui dopo il 25 aprile 1945, a Liberazione ormai compiuta, ai danni di fascisti e presunti tali, militari e civili, donne, bambini e anziani che, in alcuni casi senza colpa alcuna, furono legati al fascismo, ai suoi crimini, ai suoi gerarchi.
In questo quadro non pochi furono i crimini animati da spirito di rivalsa, vendetta e odio di classe. Il libro rende omaggio a questi morti, ma con un'impostazione ed un linguaggio chiaramente antiaccademici ed indirizzati ai contemporanei, che hanno contribuito senz'altro al significativo successo editoriale dell'opera.
Indice |
[modifica] Due piani narrativi, una lunga scia di sangue e violenza
Il libro si sviluppa su due piani paralleli: da un lato i misfatti vengono illustrati seguendo un percorso geografico che, partendo da Milano ed irradiandosi al resto della Lombardia, passa al Piemonte (terra natale dell'autore che arricchisce la descrizione con suoi personali ricordi ed impressioni) lungo un itinerario che da Novara, a Torino, Cuneo e Vercelli, sfocia a Genova ed in Liguria e poi giunge sino in Veneto, dopo aver attraversato l'Emilia Romagna da Reggio, a Modena, a Bologna.
È un itinerario dolente nel quale si dipana un tragico rosario di violenze e di sangue, costellato ora di semplici seppur dolorose umiliazioni e sopraffazioni, ora di processi sommari ed omicidi esemplari, sino a raggiungere la dimensione di vere e proprie stragi. Ne fanno le spese indifferentemente fascisti e personaggi (anche di secondo piano) accusati di essere spie o collaborazionisti, giovani e ragazzini - difficilmente individuabili come criminali - la cui colpa era a volte solo quella di aver prestato servizio nell'esercito di Salò. Inseguiti a fucilate e talvolta assassinati i reduci, alle giovani ausiliarie delle milizie ed organizzazioni fasciste tocca spesso un duro calvario: umiliate e disumanizzate, rasate a zero e trascinate come bestie dome in pubblica piazza, sono esposte al pubblico dileggio cui, a volte, segue un'esecuzione sommaria.
Dopo i giorni dell'ira, che coincisero con la fine della guerra e culminarono simbolicamente nell'esposizione dei cadaveri dei gerarchi fascisti, di Mussolini e di Claretta Petacci in piazzale Loreto a Milano (che lo stesso Ferruccio Parri stigmatizzò immediatamente definendolo un «episodio di macelleria messicana») violenze, razzie, torture, stupri ed omicidi giungono a colpire anche chi è solo sospettato di una qualche familiarità con i fascisti, per poi allargarsi a colpire piccoli industriali e proprietari terrieri, sacerdoti, e persino partigiani bianchi e cattolici impegnati in politica nella DC.
Accanto a questo percorso spaventoso e dolente, l'autore affianca un piano narrativo teso a focalizzare e a mostrare al lettore - da vicino e sin quasi nell'intimo, dal loro punto di vista - l'umanità delle vittime di questa coda di sangue e violenza che segue una guerra spaventosa e che si trascina nel suo orrore per circa due anni. Vengono così narrati in vivido dettaglio drammi vissuti da persone che oggi definiremmo gente comune, le tragedie di famiglie anche solo sospettate di vicinanza al fascismo, o altrimenti giudicate degne di essere colpite, che vedono i propri figli scomparire e le proprie figlie subire stupri ed oltraggi.
Particolarmente toccante - ed allo stesso tempo paradigmatico rispetto alla lettura che Pansa propone di quest'orgia di violenza - è il caso di Giorgio Morelli, ventunenne partigiano bianco, nome di battaglia "il Solitario". Entrato a Reggio Emilia a cavallo di una bicicletta prestagli dal fratello di quello che diverrà famoso come don Giuseppe Dossetti, il 24 aprile 1945 per primo vi aveva issato il tricolore sul municipio della città liberata. Testimone della misteriosa scomparsa di un suo amico, comandante di una formazione partigiana rossa, trovato assassinato in circostanze mai chiarite, e di una serie di altre violenze ed omicidi, Morelli anima un piccolo giornale, "La Penna", attraverso il quale denuncia abusi e crimini perpetrati dagli ex compagni di lotta. Vittima a propria volta di un agguato, morirà a seguito alle ferite riportate, non senza aver manifestato la propria sfida e la propria integrità sino all'ultimo, indossando in pubblico il cappotto che aveva al momento dell'attentato subito, i fori dei proiettili che lo avrebbero condotto alla tomba ben in vista.
[modifica] La tesi centrale del libro
Pansa organizza il libro attorno all'ardita e non conclusivamente provata tesi (largamente smentita, per altro, dai fatti e dalla totalità della storiografia dotata di strumenti scientifici) che la maggior parte delle stragi commesse dagli ex partigiani sarebbero state pilotate dal PCI con l'intento di sopprimere la borghesia per sostituirla con una classe dirigente comunista, attraverso una sorta di pulizia etnico-politica. I presunti massacri compiuti a guerra ormai finita, sarebbero stati in primo luogo responsabilità di Palmiro Togliatti che nulla avrebbe fatto per porre freno a tale pretesa ferocia partigiana, se non difendere e aiutare coloro che si erano macchiati di quelli che Pansa asserisce sarebbero stati orrendi crimini (Brigata Garibaldi, Volante Rossa, Guzzi500 Rossa, Massacro di Schio).
Il ritratto di Togliatti tracciato da Pansa, tuttavia, trascura completamente e sembra ignorare il fatto storico conclamato che il segretario del PCI, in qualità di ministro di Grazia e Giustizia del governo De Gasperi, emanò il 22 giugno 1946 - proprio nel periodo cui fa riferimento il libro - un'ampia amnistia generale per i reati comuni, militari e politici: un atto che, senza distinguere tra colpevoli di reati minori e responsabili di gravissimi crimini, determinò la liberazione di migliaia di fascisti (7.000 circa nel primo mese di applicazione), tra i quali efferati criminali condannati all'ergastolo, come un colonnello dei carabinieri coinvolto nell'assassinio dei Fratelli Rosselli e alcuni torturatori professionali della famigerata Banda Koch.
[modifica] Documentazione e finzione
Il libro si sviluppa tra finzione e cronaca vera e propria, ricorrendo all'artificio di dotarsi di un filo rosso costituito da un'onnipresente alta funzionaria della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze - significativamente scelta quale tempio archivistico e letterario della Cultura italiana - che suppostamente, come una sorta di Virgilio, accompagna Pansa nella sua ricerca e nel suo racconto e che tutto sembra sapere del sangue dei vinti, pur senza mai citare quello per loro mano versato ai danni dei vincitori.
L'autorevole bibliotecaria, in realtà, è un personaggio totalmente inventato - come dichiarato esplicitamente nell'introduzione del volume - alla quale Pansa attribuisce il nome di Livia Bianchi, partigiana, Medaglia d'oro al valor militare, caduta ventiseienne nel gennaio 1945 in Valsolda per mano dei nazifascisti.
L'opera ripropone la denuncia di una congiura del silenzio e di una cultura dell'insabbiamento sistematiche alle quali la sinistra, in particolare quella più estrema, ha fatto ricorso per rintracciare le radici della stagione delle stragi e della strategia della tensione, questa volta ribaltando i termini della questione, laddove ai silenzi e ai compromessi segreti posti in essere dalla Repubblica, si oppone l'amnesia e la supposta mistificazione che avrebbe non solo colpito i vinti, ma la loro stessa memoria.
In tal modo, la destra estrema che ancor oggi si richiama alla Repubblica di Salò, così come quella post-fascista, si trovano a proprio agio nell'accogliere il lavoro di Pansa come un'occasione importante, offerta da parte di un autore di sinistra, per riportare al centro del dibattito storiografico e politico stragi, foibe e triangoli della morte sulla scorta di un meccanismo di autoaccreditazione curiosamente analogo a quello che, da sinistra, fu utilizzato dalle frange più estreme, comprese quelle che diedero vita al terrorismo rosso, per costituirsi quali vittime non riconosciute e tradite dalla Repubblica italiana.
L'autore ha sottolineato che l'obiettivo dell'opera è raccontare, sottraendolo ai decenni di oblio cui lo ha condannato una larga parte della retorica resistenziale, il destino dei vinti, vittime, secondo Pansa, di una persecuzione non casuale ed organizzata, tesa a realizzare l'egemonia del PCI in guisa che, secondo le sue stesse parole, pubblicate dal quotidiano la Repubblica in replica alle numerose reazioni scatenate dal suo libro, «i dirigenti comunisti italiani intendevano indebolire un’intera classe, la borghesia, e sostituire il vecchio ceto dirigente con una nuova leadership in cui il Pci fosse pienamente rappresentato. E’ esattamente ciò che è accaduto dopo il 25 aprile, in tante località, anche piccole. Dove sono stati giustiziati il podestà, il segretario comunale, il medico condotto, la maestra, l’ostetrica, il possidente o il commerciante più in vista. [...] Accoppando questa gente, e facendo sparire i loro corpi, si creava un vuoto che sarebbe stato riempito da un altro ceto»[1].
[modifica] Seguiti
- Sconosciuto 1945 (2005)
- La grande bugia (2006)
[modifica] Note
- ↑ G. Pansa, Sangue nero sangue rosso, «la Repubblica», 13 novembre 2003.
[modifica] Collegamenti esterni
- L'ANPI sul libro di Pansa
- Considerazioni sul libro di Pansa da parte dell'Associazione Partigiani Autonomi
[modifica] Voci correlate
- Eccidio di Codevigo
- Eccidio di Schio
- Strage della cartiera di Mignagola
- Strage di Oderzo
- Volante Rossa
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