Strage di Oderzo
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La Strage di Oderzo, avvenuta in due fasi il 30 aprile e il 15 maggio 1945, fu l’esecuzione sommaria di centotredici persone appartenenti o sospettate di appartenere alla Repubblica Sociale Italiana o al Partito Fascista.
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[modifica] La resa
Il 28 aprile 1945 nella Casa Canonica di Oderzo fu firmato, alla presenza dell'abate parroco don Domenico Visentin e il nuovo sindaco della città Plinio Fabrizio, un accordo tra il Comitato di Liberazione Nazionale, rappresentato dal sig. Sergio Martin, e due repubblichini, il col. Giovanni Baccarani, comandante della Scuola Allievi Ufficiali di Oderzo, e il maggiore Amerigo Ansaloni, comandante del Battaglione Romagna.
Il risultato dell'accordo fu la resa incondizionata di tutte le forze fasciste di Oderzo, in tutto circa seicento uomini appartenenti a due battaglioni, il "Bologna" e il "Romagna" e alla scuola allievi ufficiali di Oderzo, i quali consegnarono le armi concentrandosi nei locali del "Sigismondo Brandolini", collegio gestito dai Giuseppini del Murialdo a sud della città.
[modifica] La violazione della resa
Poco dopo giunsero in città i partigiani della brigata "Cacciatori della pianura", appartenenti alla Brigate Garibaldi e legati al Partito Comunista Italiano i quali, venuti a sapere dei fascisti concentrati al Brandolini, decisero di considerare nullo l'accordo preso e di istituire un tribunale di guerra. Alcune di tali Brigate affini al Partito Comunista infatti mal sopportavano gli ordini del CLN.
Compito del tribunale di guerra era applicare in modo rigido la cosiddetta "Legge della Montagna", un insieme di disposizioni interne al gruppo per stabilire le pene da applicare a tedeschi e fascisti.
[modifica] Il processo e la prima strage
Il processo si tenne a ritmo forsennato nei giorni 29 e 30 aprile presso il cortile del Collegio: i condannati dal tribunale furono circa un centinaio. Un numero alto per appena due giorni di attività, ed è per questo che si ritiene che il tribunale operò in maniera sommaria e superficiale, condannando probabilmente anche degli innocenti. I verbali del processo, secondo i partigiani, furono sottratti da qualcuno o distrutti da un incendio.
Le prime eliminazioni avvennero già la mattina del 30: tredici prigionieri furono prelevati in due fasi dalle carceri, fucilati lungo le rive del Monticano e gettati nel fiume.
Nel pomeriggio i cento condannati, più altri ventiquattro aggiunti sul momento, furono schierati in cortile, in un clima di confusione e disorganizzazione duvuta alla pioggia e alla sete di vendetta di alcuni presenti. A tutti furono legati le mani dietro la schiena e detto che sarebbero stati trasferiti in un campo di concentramento.
Al momento di partire ci si accorse che negli unici mezzi a disposizione, un'ambulanza e un grosso camion di bestiame, non c'era posto per tutti: fu così che alcuni rimasero al Brandolini e, senza saperlo, si salvarono la vita. Tra questi alcuni militi del "Romagna": nessuno aveva cercato i loro nomi sulla lista dei condannati o sui verbali del processo, tanto da lasciare pensare che probabilmente tali documenti non furono mai redatti.
A sera i due camion, scortati, partirono per Ponte della Priula, impiegando circa due ore a compiere gli appena 22 km di distanza. Dopo essere stati tradotti in un grande prato presso le rive del Piave, furono tutti uccisi.
Un particolare impressionante è datato 16 maggio, quando in occasione delle nozze di due partigiani, il "Biondo" e "Anita" (pseudonimi), cui furono augurati dodici figli, si provvide, come atto propiziatore, all'uccisione di dodici allievi ufficiali della scuola, avvenuta sempre nei pressi del Ponte della Priula[citazione necessaria].
[modifica] Gli autori della strage
Tra gli autori della strage vanno ricordati tale "Bozambo", detto "Il boia di Montaner", nominato vice-capo della Polizia di Oderzo, e "Falco", all'anagrafe Gino Simionato, originario di Preganziol, tristemente noto nella Marca Trevigiana per numerose efferatezze essendo stato coinvolto, tra l'altro, nella strage della cartiera di Mignagola. La mattina del primo maggio gli esecutori della strage costrinsero dei contadini a seppellire i cadaveri.
[modifica] Eventi successivi
Tre giorni dopo la strage i "Cacciatori della Pianura", probabilmente su pressione del CLN - che aveva tentato di opporsi all'eccidio - si assunsero la responsabilità dell'accaduto, con un manifesto affisso in città il 4 maggio:
Due giorni dopo,un partigiano di Faenza, giunto a Oderzo e dichiaratosi commissario politico della ventottesima Brigata Garibaldi "Mario Gordini", chiese e ottenne a fatica di prelevare dalle carceri cittadine e dai rinchiusi al Brandolini altri tredici prigionieri, militi della Guardia Nazionale Repubblicana che avevano agito nella sua zona per poi scappare a nord.
Ma invece di ricondurli in Romagna per il processo, il 15 maggio l'ignoto partigiano insieme a Bozambo condusse i tredici sempre a Ponte della Priula. Di questi dodici furono fucilati a mezzanotte; il tredicesimo, un ragazzo di 18 anni che affermava di conoscere la cassa del Battaglione Romagna, venne giustiziato nei pressi della chiesa di Fontanelle.
La "vendetta" dei partigiani per le tante nefandezze compiute a nella zona di Oderzo dalle Brigate Nere si era dunque compiuta.
[modifica] Il processo e le condanne
Il 16 maggio 1953, al termine del processo tenutosi a Velletri, alcuni degli autori della strage furono condannati a pene variabili, dai ventiquattro ai trenta anni di reclusione. Tuttavia il momento politico e i forti condizionamenti politici che già avevano impedito un serio processo di epurazione, suggerirono al Parlamento e al governo di varare una serie di amnistie e condoni ad ampio raggio, grazie ai quali i condannati per la strage scontarono solo cinque anni di detenzione. Nel 1957 infatti la Corte d'appello di Roma estinguerà per amnistia i reati in quanto commessi in "lotta contro il fascismo".
[modifica] Il cippo commemorativo
A ricordo della strage i sopravvissuti innalzarono un piccolo cippo preso il luogo delle esecuzioni. Fu segretamente inaugurato la notte del 4 novembre 1966; la mattina dopo era già stato imbrattato di vernice rossa.
A distanza di sessant'anni, la ferita per i tragici eventi di quei giorni non si è ancora pienamente rimarginata, e lo dimostrano le polemiche che di solito seguono alle commemorazioni di questa strage, recentemente rievocata dalle opere di Federico Maistrello e Giampaolo Pansa.
[modifica] Bibliografia
- Federico Maistrello, Partigiani e nazifascisti nell'Opitergino (1944-1945), Cierre edizioni - Istituto per la storia della Resistenza, Verona, 2001, pag. 65-67
- Gianpaolo Pansa, Il sangue dei vinti, Milano, Sperling & Kupfer editore, 2003, pag. 193-206
- Bruno Vespa, Vincitori e vinti, Milano, Mondadori, 2005, 106,107,171
[modifica] Voci correlate
- Resistenza Italiana
- Brigate Garibaldi
- Partigiano
- Lista delle stragi avvenute in Italia
- Apparato paramilitare del PCI (1945-55)
- Strage della cartiera di Mignagola
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