Italo-egiziani
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Un italo-egiziano è un egiziano di origini italiane. I legami fra l'Italia e l'Egitto affondano nei secoli: addirittura fino al dominio di Roma sul paese, quando le vennero parificate alle. La comunità italiana raggiunse il suo apice poco prima della Seconda Guerra Mondiale, con 55.000 membri, che ne facevano il terzo gruppo etnico egiziano. Il numero di italo-egiziani diminuì drasticamente dopo la guerra e l'avvento di Nasser al potere, in maniera simile alle altre comunità allofone. La maggior parte degli italo-egiziani fece ritorno in patria fra il 1950 e il 1960; nonostante l'esodo massiccio, una comunità italo-egiziana vive a tutt'oggi nelle città di Alessandria d'Egitto e del Cairo.
[modifica] Relazioni fra i due Stati
Il ruolo dell'Italia nelle relazioni economiche egiziane è stato sempre collegato al numero di italiani risiedenti nel paese. Le prime missioni a scopo educativo che Mehmet Ali organizzò furono dirette in Italia, per imparare l'arte della pittura. Ali richiamò inoltre numerosi italiani da mettere al servizio del nascente stato egiziano: la ricerca del petrolio, la conquista del Sudan, l'ideazione e la costruzione della città di Khartum e la mappatura del delta del Nilo. La corte reale di Ismail Pascià era formata prevalentemente da italiani. Lo stesso Ismail si avvalse di architetti italiani per progettare e costruire la maggior parte dei suoi palazzi, oltre che molti quartieri periferici del Cairo e la Khedivial Opera House, che fu inaugurata dall'Aida di Giuseppe Verdi.
L'Italia, inoltre, fu la destinazione scelta per l'esilio dell'ultimo re d'Egitto, Faruk.
[modifica] La comunità italo-egiziana
Come si è detto, appena prima della seconda guerra mondiale la comunità italiana era la seconda comunità del paese per grandezza, appena dopo la comunità greca. Lo stesso Giuseppe Ungaretti nacque in Egitto. Sul giornale egiziano Al-Ahram, il 19 Febbraio del 1933, fu pubblicato in prima pagina un articolo interamente dedicato agli italo-egiziani, scritto dallo storico Angelo San Marco, che disse: "La gente di venezia, Trieste, Genova, Pisa, Livorno, Napoli, i siciliani ed i dalmati continuano a vivere in Egitto nonostante le loro città natali siano in decadenza ed abbiano perso il loro status di centri marittimi". San Marco, inoltre, poneva l'accento sul monopolio italiano delle esportazioni. Le due maggiori comunità italo-egiziane erano quelle del [Cairo]] (18.575 abitanti nel 1928) e di Alessandria d'Egitto (24.280 italo-egiziani nello stesso anno). Pur tendendo a concentrarsi in quartieri propri (come il quartiere veneziano del Cairo) od assieme ad altre comunità allofone, gli italo-egiziani hanno sempre adottato i costumi e gli usi egiziani, come il modo di vestirsi. Per gli italiani furono costruite otto scuole pubbliche e se scuole parrocchiali, supervisionate da un ufficiale inviato dal console italiano, per un totale di 1500 studenti circa.
Gli italiani residenti in Egitto erano perlopiù mercanti ed artigiani, ai quali si andò ad aggiungere col tempo un numero crescente di lavoratori dovuto all'arretratezza economica italiana, che rendeva impossibile la competizione dell'Italia con gli investimenti provenienti da altre nazioni, come la Francia.
Nella città di Alessandria d'Egitto, dove la comunità italiana era maggiore, sorsero, soprattutto durante il ventennio fascista, numerose associazioni filantropiche (addirittura 22), come l'Opera Nazionale, la Società degli Invalid e veterani di Guerra, la Federazione dei Lavoratori Italiani, l'Ospedale Italiano Mussolini, il Club Italiano e l'Associazione Dante Alighieri. Furono fondati inoltre numerosi giornali in lingua italiana, fra cui L'Oriente ed Il Messaggero Egiziano.
La testimonianza della lunga permanenza e dell'integrazione di comunità italiane in Egitto resta a tutt'oggi nelle centinaia di termini italiani presenti nella parlata colloquiale egiziana (specialmente nelle grandi città costiere). San Marco spiega ciò come "un risultato dello spirito di tolleranza delle nostre genti, della loro mancanza di un forte sentimento nazionalista o religioso che le spingesse all'isolamento, alla loro avversione a sentirsi superiori."