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Laogai - Wikipedia

Laogai

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Indice

Il termine laogai (勞改, abbreviazione di laodong gaizao, 勞動改造, in cinese "riforma attraverso il lavoro") si riferisce, propriamente, a una particolare forma di lavoro forzato della Repubblica Popolare Cinese. Il termine viene anche usato in modo generalizzato per indicare le diverse forme di lavoro forzato previste dal sistema giuridico e carcerario cinese, che include anche il laojiao ("rieducazione attraverso il lavoro") e il jiuye (letteralmente "personale addetto al lavoro forzato", viene da alcuni considerato una forma indiretta di reclusione). Lo stesso termine laogai, in senso viceversa restrittivo, viene talvolta usato per indicare un campo da lavoro.

Le condizioni di vita dei condannati ai lavori forzati in Cina, e l'uso di questa forza lavoro nella società cinese moderna, sono spesso indicati come lesivi dei diritti umani. Diverse fonti sostengono che nei campi di lavoro vengano comunemente applicati la tortura e il lavaggio del cervello e che vi sia un alto grado di mortalità dei prigionieri riconducibile a maltrattamenti di vario tipo. È anche altamente controverso il tema dell'uso che il governo cinese fa della manodopera a costo quasi nullo costituita dai carcerati, che secondo alcune fonti sarebbero sottoposti a ritmi di lavoro disumani e al limite dello schiavismo.

Un resoconto molto celebre (per quanto controverso) della vita nei laogai sono i libri di Harry Wu, un dissidente cinese che ha passato molti anni in queste carceri, per poi fuggire negli Stati Uniti.

[modifica] Note terminologiche

Il termine laogai si è diffuso in Occidente soprattutto in seguito alla pubblicazione dei libri di Wu. Tuttavia, riferimenti a questa parola si trovano già in Communist China: The early years 1949-1955 di Frederick A. Praeger (1964), Red Guard: The Political Biography of Dai Hsiao-ai (Gordon A. Bennett e Ronald N. Montaperto, 1972) e in La porta proibita di Tiziano Terzani (1984), che lo usa come sinonimo di "campo". Diversi autori, in particolare ex prigionieri, indicano i laogai con espressioni come "campo di concentramento"[1] o "gulag cinese"[2] per sottolineare le durissime condizioni di vita e i maltrattamenti subiti.

[modifica] Definizioni ufficiali

Documenti ufficiali del Partito Comunista Cinese datati 26 agosto 1954 menzionano il laodong gaizao come "un processo di riforma dei criminali attraverso il lavoro, essenzialmente un metodo efficace per eliminare i criminale e i controrivoluzionari". Il termine laogjiao (laodong jiaoyang - rieducazione attraverso il lavoro) si trova in documenti del 3 agosto 1957. Nel 1988, il Ministero di Giustizia descrisse gli scopi del sistema dei laogai in questo modo: "lo scopo principale dei laogai è quello di punire e riformare i criminali. Per definire concretamente le loro funzioni, essi servono in tre campi: punire i criminali e tenerli sotto sorveglianza; riformare i criminali; utilizzare i criminali nel lavoro e nella produzione, creando in tal modo ricchezza per la società". Secondo il tifa, che elenca i termini utilizzabili e pubblicabili in Cina, è illegale chiamare i laogai cinesi "campi di concentramento" o anche semplicemente "campi"; questi termini possono riferirsi ai campi nazisti, sovietici, o della Cina nazionalista.

[modifica] Tipi di condanna

La condanna al laogai (in senso stretto) richiede un processo ufficiale e viene applicata a soggetti riconosciuti dalla legge come criminali, con pene di media e lunga durata di lunghezza stabilita; i detenuti sono privati dei diritti civili e non ricevono salario.

La condanna al laojiao ("rieducazione attraverso il lavoro") è riservata a coloro che hanno compiuto reati minori, per cui non sono legalmente classificati come criminali. I condannati conservano i diritti civili e percepiscono un modesto salario. Il sistema del laojiao viene spesso attaccato come lesivo dei diritti umani e civili. A questo tipo di condanna è infatti associato un iter giudiziario semplificato (e quindi potenzialmente più arbitrario), che permette alle amministrazioni e alla polizia locali di recludere i colpevoli senza processo. I detenuti "laogai" e "laojiao" non raramente vivono negli stessi complessi e lavorano insieme, e si distinguono sopratutto perché i primi indossano un'uniforme e hanno i capelli rasati.

Il sistema dei jiuye ("personale addetto al lavoro forzato") riguarda invece l'assegnamento di un lavoro all'interno di una struttura carceraria. Anche il jiuye viene considerato con sospetto da molte fonti occidentali. Sebbene esso non implichi formalmente l'incarcerazione dell'individuo (che rimane teoricamente libero e percepisce uno stipendio regolare) la condizione del personale jiuye (che spesso è costituito da persone obbligate a prestare servizio nei campi) viene spesso descritta come "semi-carceraria". I lavoratori possono vivere insieme alle loro famiglie all'interno o nei pressi dei complessi carcerari e spesso sono ex-detenuti provenienti dal laogai. Esisterebbe il detto: "laogai e laojiao hanno una fine; jiuye è per sempre".

[modifica] Cenni storici

L'antica Cina fece uso del lavoro forzato per oltre 2.500 anni, sfruttando anche in tempo di pace sia civili che criminali. Forzati furono impiegati nella costruzione della Grande Muraglia e del Grande Canale. Già molto prima della rivoluzione, il lavoro forzato veniva inteso come "rieducativo" in un'accezione forte, ovvero volto a instillare nel lavoratore l'etica confuciana. Durante il periodo nazionalista, il lavoro forzato perse molta importanza, l'eccezione della leva militare durante la guerra col Giappone. Mao Zedong tornò ad applicarlo in modo sistematico, nel contesto della sua visione sociale e politica, come strumento adatto da una parte alla rieducazione dei controrivoluzionari, dall'altra a garantire che anche i detenuti contribuissero come i cittadini liberi alla produzione. Il legame fra l'antico dispotismo orientale e la visione di Mao è ben rappresentato dal fatto che lo stesso Mao dichiarò esplicitamente di ispirarsi ai princìpi del Signore di Shang, della dinastia Qin, secondo il quale "la popolazione deve essere obbligata a lavorare"[3]. I detenuti furono spesso mandati in campi nelle regioni di confine, che avevano anche funzioni militari difensive.

Nel periodo maoista, e prima delle riforme di Deng (1978-1992), i laogai furono largamente usati per reprimere le opposizioni al regime. Gli stessi processi erano spesso solo una formalità, avendo la difesa solo il compito di invocare la clemenza della corte. Il sistema giudiziario non era infatti basato sul concetto di diritto, ed insistere troppo nella dichiarazione di innocenza portava ad un inasprimento della pena: "clemenza con chi confessa, severità con chi resiste". In origine, il laojiao si è anche distinto dal laogai per l'incertezza della durata della pena, al punto che alcuni detenuti arrivavano a commettere crimini più gravi per passare al laogai (con pene di durata fissata). La situazione è cambiata nel 1982, quando la durata massima della condanna al laojiao è stata stabilita in tre anni.

Il numero dei prigionieri e l'uso dei campi è stato intensificato durante alcune fasi politiche o produttive quali la Campagna dei cento fiori, il Grande balzo in avanti e la Rivoluzione Culturale.

Nei primi anni, i detenuti in quanto "controrivoluzionari" costituivano il 90% dei reclusi; negli anni '80, circa la metà dei detenuti negava di aver commesso alcun crimine; negli anni '90, la percentuale di detenuti politici si è ridotta fino al 10%. Nel periodo Maoista (1949-1976) i condannati al laojiao erano reclusi solitamente per 20 anni, mentre nel periodio Denghista (1978-1992) la durata non superava i 10.[4]


[modifica] Condizioni di vita

Quello che conosciamo delle condizioni di vita nei laogai proviene quasi esclusivamente da detenuti fuggiti o scarcerati e rifugiatisi all'estero. Fra le testimonianze che descrivono i laogai in modo più critico, paragonandoli ai gulag e ai lager, ci sono The thirty-sixth way (1969), Prisoner of Mao (1973), Red in tooth and claw (1994) e Zuppa d'erba (1996). Alcuni temi ricorrenti in queste opere sono:

  • descrizioni di lavoro forzato a ritmi disumani (fino a 18 ore al giorno, con l'obbligo di rispettare determinate quote produttive);
  • uso della denutrizione e della tortura come sistemi punitivi e coercitivi;
  • appello alla delazione fra prigionieri;
  • sedute periodiche di "critica" e "autocritica", in cui i detenuti si accusano a vicenda, o si auto-accusano, di comportamenti criminali, a scopo rieducativo.

L'insieme di questi elementi configura anche un contesto generale di violenza fisica e psicologica coordinate che corrispondono al concetto di lavaggio del cervello.

Philip Williams e Yenna Wu (The Great Wall of Confinement, 2004) hanno paragonato le testimonianze dei prigionieri cinesi con quelle di Arcipelago Gulag di Solženicyn e con Un mondo a parte di Gustaw Herling. Gli autori riconoscono numerose somiglianze sotto diversi aspetti: condizioni delle baracche e di lavoro, maltrattamenti, delazione, denutrizione, scarsa igiene e malattie.

[modifica] Uso della tortura

Secondo il Rapporto annuale 2006 di Amnesty International, «Torture e maltrattamenti hanno continuato a essere pratiche diffuse in molte istituzioni statali. I metodi di tortura più comuni comprendevano calci, percosse, scosse elettriche, sospensione per gli arti superiori, incatenamento in posizioni dolorose e privazione del cibo e del sonno.»

L'uso della tortura è ampiamente documentato, dopo il 2000, dai praticanti del Falun Gong, che testimoniano numerosi altri metodi (vedi sotto Siti del Falun Gong). Pratiche dello stesso tipo sono documentate negli anni '90 da Harry Wu e nel 1958 dal Libro bianco sul lavoro forzato nella Repubblica Popolare Cinese della Commissione Internazionale contro il regime concentrazionario. Philip Williams e Yenna Wu spiegano che i metodi di tortura recenti differiscono poco da quelli tradizionali, applicati duranta la dinastia Qing. Il libro Huo diyu di Li Baojia del 1906 descrive e mostra graficamente tali metodi.

[modifica] Dimensioni del fenomeno

Anche circa il numero dei laogai presenti sul territorio cinese, e il numero dei detenuti, non si hanno informazioni ufficiali. Il già menzionato Wu sostiene che dal 1949 alla metà degli anni '80 si debbano contare almeno 50 milioni di prigionieri, e che il numero di prigionieri attuali si aggiri intorno agli 8 milioni. Sempre Wu, nel suo libro Laogai: The Chinese Gulag elenca 990 campi, ipotizzando che il numero reale sia da 4 a 6 volte maggiore, fornisce una serie di mappe con la loro collocazione e descrive alcuni campi (vedi la voce Harry Wu). Alcune fonti ipotizzano che il fenomeno dei laogai sia molto più vasto di quanto si possa ipotizzare persino dalle stime di Wu e che il lavoro forzato, a costo quasi nullo, possa costituire un elemento importante dell'economia cinese moderna. Nessuno di questi dati ha conferma ufficiale da parte del governo cinese o di autorità internazionali.

Molte fonti denunciano anche un presunto alto livello di mortalità nei laogai dovuto alle cause più disparate; anche questo dato è non confermato da fonti ufficiali cinesi e non verificabile. Fonti apertamente ostili forniscono cifre molto elevate: per esempio, Il libro nero del comunismo stima in 20 milioni i decessi dal 1949 al 1989 (a partire dai dati del sinologo Jean-Luc Domenach: numero medio di prigionieri di 10 milioni e tasso di mortalità del 5% l'anno). Analogamente, Mao: La storia sconosciuta di Jung Chang e Jon Halliday stima in 27 milioni i decessi per il periodo maoista dal 1949 al 1976, a partire dai dati di Rummel, Margolin, Ledovskij e Kulik (10 milioni di prigionieri e tasso di mortalità del 10%). Rummel parla di 15 milioni. Philip Williams e Yenna Wu (The Great Wall of Confinement, 2004) considerano anche quest'ultima stima troppo elevata e spiegano che la mortalità era inferiore a quella del gulag sovietico.

[modifica] Laogai e Falun Gong

Il 20 luglio 1999, il governo della Repubblica Popolare Cinese dichiarò il movimento religioso Falun Gong bandito da tutto il paese (con la sola eccezione di Hong Kong), accusandolo di attività criminali. In seguito, secondo lo stesso Falun Gong, diverse migliaia di praticanti sono stati imprigionati e la gran parte di loro destinati ai laojao e tremila persone sono state uccise. Il sito ufficiale del Falun Gong (www.clearwisdom.net) pubblica regolarmente informazioni e fotografie volte a denunciare le crudeltà a cui i suoi adepti sono sottoposti all'interno dei campi [5]. Alcune informazioni presentate dal sito (per esempio quelle secondo cui i corpi dei prigionieri Falun Gong sarebbero usati dal governo cinese per l'esportazione non autorizzata di organi) sono state smentite dallo stesso Wu. Indagini di osservatori statunitensi sul campo di Sujiatun [6], in cui gli adepti del Falun Gong sarebbero stati uccisi per l'espianto degli organi, non hanno trovato alcuna prova di illeciti da parte della polizia cinese [1].

[modifica] Bibliografia e fonti

Testimonianze di prigionieri

  • Lai Ying, The thirty-sixth way, ed. Garden City, 1969, ISBN 0094569606
  • Ruo-Wang Bao, Prisoner of Mao, ed. Viking Press, 1973, ISBN 0140041125
  • Pu Nai-fu, The scourge of the sea - A true account of my experiences in the Hsia-sa village concentration camp, ed. Kuang Lu, 1985
  • Wang Xiaoling, L'allodola e il drago - Sopravvissuta nei gulag della Cina, ed. Piemme, 1993, ISBN 8838419744
  • Pu Ning & Wu-Ming-Shih, Red in tooth and claw: twenty-six years in communist chinese prisons, ed. Grove Press, 1994, ISBN 0802114547
  • Hongda Harry Wu, Bitter winds: a memoir of my years in China's Gulag, ed. Wiley, 1995, ISBN 0471114251
  • Liu Zongren, Thirty months in a chinese labor camp, ed. China Books, 1995, ISBN 0835125424
  • Zhang Xianliang, Zuppa d'erba, ed. Baldini e Castoldi, 1996, ISBN 8880890336
  • Kate Saunders, Eighteen layers of hell: stories from the chinese Gulag, ed. Cassell, 1996, ISBN 0304332976
  • Hongda Harry Wu & George Vecsey, Troublemaker, ed. Newsmax, 2002, ISBN 0970402996
  • Chen Ming, Nubi nere si addensano. L'autobiografia clandestina di un sopravvissuto alla persecuzione, ed. Marsilio, 2006, ISBN 8831788663

[modifica] Note

  1. Peng Yinhan (Dalu jizhongying - The mainland concentration camp), Pu Naifu (The scourge of the sea - A true account of my experiences in the Hsia-sa village concentration camp), Commissione Internazionale contro il regime concentrazionario (Libro bianco sul lavoro forzato nella Repubblica Popolare Cinese, 1958)
  2. Hongda Harry Wu (Laogai: the chinese Gulag e Bitter winds: a memoir of my years in China's Gulag), Kate Saunders (Eighteen layers of hell: stories from the chinese Gulag), Wang Xiaoling (L'allodola e il drago - Sopravvissuta nei gulag della Cina)
  3. Jonathan Spence, Mao Zedong, pag 21-23, 71
  4. Philip Williams & Yenna Wu (The Great Wall of Confinement: The Chinese Prison Camp) pag 2, 25, 53
  5. Nei campi di Masanjia, Jinzhou, Ping'antai e Dalian. Esistono anche video testimonianze
  6. Il campo, Testimoni, articolo di Epoch Times

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni

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