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Critiche al comunismo - Wikipedia

Critiche al comunismo

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Il comunismo è una particolare forma di socialismo. Questo articolo riguarda solo la critica specifica al comunismo non ad altre forme di socialismo. Vedi critica al socialismo per quanto riguarda le obiezioni al socialismo in generale.

La critica al comunismo può essere divisa in due grandi categorie: una si riferisce agli aspetti pratici degli stati comunisti del XX secolo e l'altra si riferisce ai principi comunisti nonché alla teoria o ideologia comunista. Anche se spesso si sovrappongono nella pratica, le due categorie sono logicamente distinte. Si può essere d'accordo con i principi comunisti ma essere in disaccordo con molte politiche adottate dagli stati comunisti (e questo è abbastanza comune tra i comunisti, in particolare nel caso dei trotzkisti) o, più raramente, concordare con le politiche adottate dai comunisti ma essere in disaccordo con i principi comunisti.

Indice

[modifica] Comunismo e stati comunisti in breve

Il comunismo è un sistema sociale che abolisce la proprietà privata dei mezzi di produzione, le classi sociali e lo stato. In quanto tale, uno "stato comunista" e' un ossimoro. Nessuno stato o governo si è mai autodefinito come "stato comunista", comunque, diversi stati hanno dato al partito comunista uno status speciale nelle loro leggi e costituzioni[1], sostenendo al contempo di essere indirizzati verso il conseguimento del comunismo. Il termine "stato comunista" è stato coniato e utilizzato in occidente per riferirsi a tali stati. Sono questi "stati comunisti" (in cui un partito marxista-leninista è al governo e la costituzione o le leggi sono tali che rendono impossibile allontanarlo dal governo) ad essere il bersaglio delle critiche presentate di seguito.

Nessuno stato comunista ha sostenuto di aver conseguito il comunismo (inteso come sistema sociale), ma tutti hanno progettato di raggiungerlo in un futuro ragionevolmente distante; Nikita Khrushchev, ad esempio, fece la previsione che il comunismo sarebbe stato raggiunto in Unione Sovietica per il 1980, ovvero un quarto di secolo dopo. Gli stati oggi scomparsi non raggiunsero mai il comunismo, e nessuno di quelli rimanenti sembra probabile vi riuscirà presto.

[modifica] Critica generale degli stati comunisti del XX secolo

[modifica] Censura, emigrazione e politica estera

Molti stati comunisti hanno praticato la censura del dissenso. Il livello di censura variò notevolmente tra stati e periodi storici differenti. La censura più rigida è stata praticata dagli inflessibili regimi stalinisti e maoisti, quali l'Unione Sovietica sotto Stalin (1927-53), la Cina durante la Rivoluzione culturale (1966-76), e la Corea del Nord nel corso di tutta la sua esistenza (1948-oggi).[2] Solitamente, gli stati comunisti di nuova costituzione mantenevano o rafforzavano il livello di censura presente in tali nazioni prima della presa del potere. In effetti, gli stessi comunisti erano stati molto spesso il bersaglio della censura precedente. Come risultato, dopo essere saliti al potere, essi sostenevano di voler combattere la vecchia classe governante usando le sue stesse armi, allo scopo di impedigli di inscenare una contro-rivoluzione.

Una estesa rete di informatori civili - sia volontari che reclutati con la coercizione - veniva usata per raccogliere informazioni per il governo e per riportare i casi di dissenso.[3] Alcuni stati comunisti classificavano i critici interni del sistema come affetti da malattie mentali, quale ad esempio la schizofrenia a progresso lento - che veniva riconosciuta solo negli stati comunisti - e li incarcerava in ospedali psichiatrici.[4] Ai lavoratori non era permesso far parte di sindacati liberi.[5] Diverse sollevazioni interne vennero represse dalla forza militare, come la rivolta di Tambov, la rivolta di Kronstadt, e le Proteste di Piazza Tienanmen del 1989.

Gli stessi stati comunisti, così come i loro sostenitori, spesso sostengono che censura e limitazioni simili sono spiacevoli ma necessarie. Essi argomentano che, specialmente durante la Guerra Fredda, gli stati comunisti vennero assaliti dalla propaganda capitalista esterna e infiltrati da servizi segreti di potenti nazioni capitaliste, come ad esempio la CIA. In quest'ottica, restrizioni e soppressione del dissenso erano misure difensive contro la sovversione.

Alcuni hanno sostenuto che, anche se la censura era praticata negli stati comunisti, l'estensione di quest'ultima è stata enormemente esagerata ad Occidente. Albert Szymanski, ad esempio, nel suo esauriente studio intitolato Human Rights in the Soviet Union, traccia un paragone tra il trattamento dei dissidenti anti-comunisti in Unione Sovietica dopo la morte di Stalin e il trattamento dei dissidenti anti-capitalisti negli Stati Uniti durante il periodo del maccartismo, concludendo che "nel complesso, appare che i livelli di repressione nell'Unione Sovietica nel periodo 1955-1980, furono approssimativamente allo stesso livello di quelli negli USA durante gli anni di McCarthy (1947-56)."[6] Amnesty International stima il numero di prigionieri politici in URSS nel 1979 a poco più di 400.[7]

Sia comunisti che anti-comunisti hanno criticato il culto della personalità di molti leader degli stati comunisti, e la leadership ereditaria della Corea del Nord. Il dissidente comunista Milovan Djilas e altri hanno inoltre sostenuto che una nuova classe di potenti burocrati di partito emerse sotto il potere del partito comunista, e sfruttò il resto della popolazione. Un proverbio ceco osserva: "Sotto il capitalismo, l'uomo sfrutta l'uomo; sotto il comunismo succede il contrario." (si veda anche nomenklatura)

[modifica] Emigrazione dagli stati comunisti

I critici sostengono che l'emigrazione dagli stati comunisti è prova della disaffezione a quei regimi. Tra il 1950 e il 1961 2.750.000 tedeschi dell'est di trasferirono nella Germania Ovest. Durante la rivoluzione ungherese del 1956 circa 200.000 persone si mossero in Austria quando il confine austro-ungherese venne temporaneamente aperto. Dal 1948 al 1953 centinaia di migliaia di nordcoreani si spostarono a sud, fermati solo quando all'emigrazione venne posto freno dopo la guerra di Corea. Dopo la conquista cinese del Tibet, i demografi cinesi stimarono che 90.000 tibetani andarono in esilio. A Cuba 50.000 membri del ceto medio lasciarono l'isola tra il 1959 e il 1961, dopo che Fidel Castro prese il potere. Una fuoriuscita ancor più grande si ebbe durante l'esodo del Mariel, e molti cubani continuano a tentare di emigrare negli USA ancora oggi. Dopo la vittoria comunista in Vietnam oltre un milione di persone (i famosi boat people) lasciarono il paese via mare durante gli anni 1970 e 1980. Un altro grande gruppo di rifugiati lasciò Cambogia e Laos. Quest'ultimo perse gran parte della sua élite più istruita e il 10% della sua popolazione.

Le restrizioni all'emigrazione da parte degli stati comunisti ricevette una massiccia pubblicità. Il Muro di Berlino fu uno degli esempi più famosi, ma la Corea del Nord impone ancora un veto totale sull'emigrazione e le restrizioni di Cuba sono periodicamente criticate dalla comunità cubano-americana. Durante l'esistenza del Muro di Berlino, sessantamila persone tentarono senza successo di emigrare illegalmente dalla Germania Est e vennero condannate al carcere per aver tentato di "abbandonare la Repubblica". Ci furono circa cinquemila fughe riuscite verso Berlino Ovest e 239 persone morirono nel tentativo di attraversare.[8]

[modifica] Risposte

Simili restrizioni all'emigrazione sono state in vigore in molti paesi capitalisti prima della fine del XIX secolo. Francia, Spagna e Portogallo limitarono perfino i viaggi dei loro cittadini nelle proprie colonie.[9] I vari principati tedeschi, prima del XVIII secolo, permettevano solo l'emigrazione verso le terre slave ad est, e molti di essi misero al bando l'emigrazione dal XVIII secolo alla metà del XIX. Le autorità austriache non permisero ai cittadini comuni di spostarsi oltre i confini dell'impero, prima degli anni 1850. Mentre molti paesi europei rilassarono o addirittura eliminarono completamente le loro restrizioni all'emigrazione per l'inizio del XX secolo - principalmente a causa dell'esplosione demografica - ci furono alcune eccezioni. Romania, Serbia, e soprattutto la Russia zarista richiesero ai loro cittadini di ottenere un permesso ufficiale all'emigrazione fino alla I guerra mondiale. Durante la guerra, tutte le nazioni europee reintrodussero rigide restrizioni alla migrazione, sia temporanee che permanenti.[10] I critici trovano una falla in questo ragionamento, notando che le future nazioni non-comuniste collocate nelle aree di cui sopra, non ebbero politiche di emigrazione così stringenti durante la Guerra Fredda, mentre gli stati comunisti li avevano.

Le restrizioni imposte dagli stati comunisti all'emigrazione dei loro cittadini non furono più intense di quelle imposte dai paesi capitalisti (o comunque non-comunisti) in passato. In Polonia, ad esempio, il governo comunista mantenne le stesse leggi sull'emigrazione che erano state in vigore nella Polonia capitalista a partire dal 1936.[11] Comunque, gli stati comunisti (in particolare Germania Est, Cuba, Vietnam e Corea del Nord) regolarono l'emigrazione molto più della maggior parte dei paesi capitalisti occidentali nel periodo post II guerra mondiale. La ragione data per questo aspetto fu che abbisognavano di quanta più forza lavoro possibile per la ricostruzione del dopoguerra e lo sviluppo economico.[12] Essi non negavano che in altri stati esisteva una migliore qualità della vita, ma sostenevano di trovarsi nel processo di raggiungere tali standard.

Degli stati comunisti, solo Albania e Corea del Nord imposero sempre un veto totale sull'emigrazione. Per la maggior parte degli stati comunisti, l'emigrazione legale fu sempre possibile, anche se spesso difficile. Alcuni di questi stati rilassarono significativamente le leggi sull'emigrazione a partire dagli anni 1960. Ogni anno, durante gli anni 1970, decine di migliaia di cittadini sovietici emigrarono legalmente.[13]

[modifica] Imperialismo

Gli stati comunisti erano fondati su una politica di anti-imperialismo militante. Lenin considerava l'imperialismo come "lo stadio più alto del capitalismo" e, nel 1917, dichiarò il diritto incondizionato all'autodeterminazione e alla secessione per le minoranze nazionali della Russia. Tuttavia per i critici già nell'anno successivo vennero attaccati paesi baltici, e non molto tempo dopo anche Ucraina e Polonia ma i fautori sostengono che l'intervento era in aiuto ai comunisti locali quindi non era una questione di minoranza nazionali. Successivamente, durante la Guerra Fredda, gli stati comunisti diedero assistenza militare, e in alcuni casi intervennero direttamente, in favore dei movimenti di liberazione nazionale che combattevano per l'indipendenza dagli imperi coloniali, in Asia e in Africa.

Ad ogni modo, i critici hanno accusato l'Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese di essere a loro volta imperialiste, e hanno quindi concluso che la loro politica estera era ipocrita (talvolta imperialista e talvolta anti-imperialista, a seconda dei loro interessi nella situazione particolare). In particolare, l'URSS attaccò e reintegrò le nazioni da poco divenute indipendenti di Armenia, Georgia e Azerbaijan una volta finita la guerra civile russa.[14] Stalin conquistò gli stati baltici durante la II guerra mondiale e creò degli stati satellite nell'Europa Centrale e Orientale. Dopo la rivoluzione la Cina riconquistò il Tibet, che aveva fatto parte dell'Impero Cinese durante la dinastia Qing. Le forze sovietiche intervenivano in tre occasioni contro governi o sollevazioni anti-sovietici in altri paesi: la rivoluzione ungherese del 1956, la primavera di Praga e l'invasione sovietica dell'Afghanistan. Sovietici e cinesi, così come i loro alleati, sostennero che questi erano tutti episodi di liberazione più che di conquista.

[modifica] Perdita di vite

L'accusa più severa mossa contro gli stati comunisti è che essi furono responsabili di milioni di morti. La vasta maggioranza di queste morti si sostiene siano avvenute sotto i regimi di Josif Stalin in Unione Sovietica e di Mao Zedong in Cina. Per questo molti critici si concentrano su questi due regimi in particolare, anche se altri hanno sostenuto che tutti gli stati comunisti furono responsabili per un numero di morti ingiustificate. Queste ricadono generalmente in due categorie:

  1. Esecuzioni di persone condannate alla pena capitale per varie accuse, o morti avvenute in prigione.
  2. Morti che non vennero causate direttamente dal governo (le persone in questione non vennero giustiziate e non morirono in prigione), ma sono considerate il risultato accidentale o deliberato di certe politiche governative. Gran parte delle vittime ascritte ai regimi comunisti ricadono in questa categoria, che è quella solitamente soggetta a controversie.

Molti stati comunisti adottarono la pena di morte come forma legale di punizione per gran parte della loro esistenza, con poche eccezioni (ad es., l'Unione Sovietica la abolì dal 1947 al 1950[15][16]). I critici sostengono che molti, forse la gran parte, dei prigionieri giustiziati dagli stati comunisti non erano criminali, ma dissidenti politici. La Grande Purga di Stalin alla fine degli anni 1930 (all'incirca 1936-38) viene indicata come il principale esempio di ciò.[17] Anche le foibe in Jugoslavia vennero usate per tali scopi: vedi questione triestina.

Diversi stati comunisti usarono per certi periodi di tempo anche il lavoro forzato come forma di punizione, ed i critici asseriscono che la maggioranza dei condannati ai campi di lavoro - tipo i Gulag - vi vennero inviati per motivi politici e non per motivi criminali. Alcuni dei Gulag erano collocati in ambienti estremamente duri, come la Siberia, il che risultò nella morte di una parte significativa dei detenuti prima che potessero completare i termini della condanna. I Gulag vennero chiusi nel 1960.

Circa le morti non provocate direttamente da ordini governativi, i critici indicano solitamente carestia e guerra come cause immediate di quelle che essi considerano morti ingiuste negli stati comunisti. L'Holodomor e il grande balzo in avanti sono considerate carestie provocate dall'uomo. Questi due eventi da soli assommano la maggioranza delle persone considerate come vittime degli stati comunisti da praticamente tutte le stime.

[modifica] Stima delle vittime totali

Molti storici hanno tentato di dare stime del numero totale di persone uccise da un certo stato comunista, o da tutti gli stati comunisti nel loro insieme.

Il numero di persone uccise sotto il regime di Stalin in Unione Sovietica è stato stimato tra i 3,5 e gli 8 milioni da G. Ponton[18], in 6,6 milioni da V. V. Tsaplin[19], in 9,5 milioni da Alec Nove[20], in 20 milioni da Il libro nero del comunismo[21], in 50 milioni da Norman Davies[22], e in 61 milioni da R. J. Rummel[23].

Il numero di persone uccise durante il regime di Mao Zedong nella repubblica Popolare Cinese è stato stimato in 19,5 milioni da Wang Weizhi[24], in 27 milioni da John Heidenrich[25], tra i 38 e i 67 milioni da Kurt Glaser e Stephan Possony[26], tra i 32 e i 59 milion da Robert L. Walker[27], in 65 milioni da Il libro nero del comunismo[28], e in 77 milioni da R.J. Rummel[29].

Gli autori de Il libro nero del comunismo hanno inoltre stimato che 9,3 milioni di persone sono morte come risultato delle azioni di altri stati e leader comunisti, ripartite come segue: 2 milioni in Corea del Nord, 2 milioni in Cambogia, 1,7 milioni in Africa, 1,5 milioni in Afghanistan, 1 milione in Vietnam, 1 milione in Europa Orientale, e 150.000 in America Latina.[30] R.J. Rummel ha stimato che 1,6 milioni morirono in Corea del Nord, 2 milioni in Cambogia, e 2,5 milioni in Polonia e in Jugoslavia.[31]

Considerando Wiezhi, Heidenrich, Glaser, Possony, Ponton, Tsaplin, e Nove, gli stati comunisti dell'Unione Sovietica di Stalin e della Cina di Mao hanno una stima di morti totali che oscilla tra 23 e 109 milioni.

Il libro nero del comunismo trova che circa 94 milioni di persone morirono sotto tutti gli stati comunisti, mentre Rummel ritiene che almeno 144,7 milioni persero la vita sotto sei stati comunisti. Da una collezione delle fonti sopra elencate, Matthew White tenta anch'egli di comporre una cifra totale nel suo Historical Atlas of the 20th century, e giunge ad una cifra di 92 milioni.

Secondo quanto disponibile, queste sono le tre cifre più alte per le vittime attribuite al comunismo da qualsiasi storico. Comunque, si deve notare che i totali che comprendono ricerche di Wiezhi, Heidenrich, Glasser, Possony, Ponton, Tsaplin, e Nove non includono altri periodi di tempo oltre ai regimi di Stalin o Mao, e quindi possibile, quando si tengono in conto altri regimi comunisti, raggiungere totali più alti.

Nella sua risoluzione del 25 gennaio 2006, che condanna i crimini di tutti gli stati comunisti, il Consiglio d'Europa considera la cifra di 94 milioni.

[modifica] Motivi delle discrepanze

I motivi per discrepanze così estreme nel numero delle vittime stimate degli stati comunisti sono duplici:

  • In primo luogo, tutte queste cifre sono stime derivate da dati incompleti. I ricercatori spesso devono estrapolare e interpretare le informazioni disponibili, allo scopo di giungere alle loro cifre finali.
  • In secondo luogo, diversi ricercatori lavorano con definizioni differenti di cosa significhi essere uccisi dal proprio governo. Come notato in precedenza, la vasta maggioranza delle presunte vittime degli stati comunisti non morì come conseguenza di ordini diretti del governo, ma piuttosto per le sue politiche, non c'è quindi accordo sul fatto che i governi comunisti debbano essere ritenuti responsabili per la loro morte. Le stime più basse possono calcolare solo le esecuzioni e le morti nei campi di lavoro come casi di uccisioni governative, mentre quelle più alte possono basarsi sull'assunzione che il governo uccise tutti quelli che morirono per guerre, carestie, o per motivi sconosciuti.
  • Alcuni autori fanno una speciale distinzione tra Stalin e Mao, che tutti concordano essere responsabili per la maggior parte dei crimini contro l'umanità, ma includono poche o nessuna statistica sulle perdite di vite avvenute dopo il loro regime.
  • Infine, si tratta di un campo fortemente connotato politicamente, con quasi tutti i ricercatori accusati di inclinazioni pro o anti-comuniste.

Alcuni hanno argomentato che è scorretto giudicare gli stati comunisti più duramente di altri regimi su questioni come le carestie, poiché grandi numeri di persone muoiono di fame ancora oggi in tutto il mondo. Ad esempio, alcuni hanno stimato che la fame uccide attualmente ventiquattromila persone ogni giorno.[32] Alcuni critici sostengono che le morti per fame sono responsabilità di un governo, perché le sue politiche creano un ambiente economico incapace di reagire a tali disastri naturali. Gli oppositori a questo punto di vista rispondono che le carestie odierne, e le morti che ne risultano, possono essere similarmente addossate ad aziende corrotte e/o inefficienti, e all'inseguimento capitalista della globalizzazione.

Alcuni sostengono inoltre che non è corretto giudicare gli stati comunisti più duramente di altri regimi basandosi sul numero totale delle morti occorse, poiché le morti governative non furono limitate solamente a questi stati. Ad esempio, si stima che il colonialismo degli stati europei protezionisti/capitalisti dal XVII al XIX secolo abbia ucciso 50 milioni di persone.[33] Che queste morti possano essere addossate al capitalismo è motivo di dibattito, così come il fatto che il colonialismo sia un risultato del capitalismo.

[modifica] Sviluppo economico e sociale

Per approfondire, vedi la voce Sviluppo economico e sociale degli stati comunisti.
Crescita economica annua
dell'Unione Sovietica (fonte:[34])
PIL PIL
pro capite
Tasso annuo per
il periodo 1928-1980
4,4% 3,1%
Tasso annuo per
il periodo 1950-1980
4,7% 3,3%
Tasso annuo per
il periodo 1960-1980
4,2% 3,1%
Tasso annuo per
il periodo 1970-1980
3,1% 2,1%

I sostenitori degli stati comunisti spesso li lodano per essere balzati avanti alle nazioni capitaliste loro contemporanee in certi settori, ad esempio offrendo impiego garantito, assistenza sanitaria e alloggio ai propri cittadini. I critici tipicamente condannano gli stati comunisti con gli stessi criteri, sostenendo che tutti restarono molto indietro rispetto all'occidente industrializzato in termini di sviluppo economico e qualità della vita.

La pianificazione centralizzata dell'economia ha in certi casi prodotto dei progressi sensazionali, tra cui il rapido sviluppo dell'industria pesante durante gli anni 1930 in Unione Sovietica e successivamente con il programma spaziale. Un altro esempio è lo sviluppo dell'industria farmaceutica a Cuba. I primi progressi nella condizione delle donne furono anch'essi notevoli, in particolare nelle regioni islamiche dell'Unione Sovietica.[35] Comunque, l'URSS non ottenne lo stesso tipo di sviluppo nell'agricoltura (il che la costrinse a diventare un importatore netto di cereali dopo la II guerra mondiale). Altri stati comunisti, come il Laos, il Vietnam o la Cina Maoista, continuarono nella povertà; la Cina ha ottenuto alti tassi di crescita solo dopo l'introduzione di riforme economiche per il libero mercato[36] — un segno, sostengono i critici, della superiorità del capitalismo. Un altro esempio è la Cecoslovacchia, che era una nazione industriale sviluppata vicina agli standard occidentali prima della II guerra mondiale, ma ricadde indietro nel dopoguerra.

Stime del la crescita del PIL In Unione Sovietica, 1928 - 1985 (fonte:[37])
Khanin Bergeson/CIA TsSu
1928-1980 3,3% 4,3% 8,8%
1928-1941 2,9% 5,8% 13,9%
1950s 6,9% 6,0% 10,1%
1960s 4,2% 5,2% 7,1%
1970s 2,0% 3,7% 5,3%
1980-85 0,6% 2,0% 3,2%

Ciononostante, alcuni stati comunisti con economie pianificate mantennero tassi di crescita economica consistentemente più alti delle nazioni industrializzate capitaliste occidentali. Dal 1928 al 1985, l'economia dell'Unione Sovietica crebbe di un fattore 10, e il Prodotto Interno Lordo pro capite crebbe più di cinque volte.[38] L'economia sovietica iniziò con dimensioni pari a un quarto di quella statunitense. Per il 1955 era salita al 40%. Nel 1965 l'economia sovietica raggiunse il 50% dell'economia statunitense dell'epoca, e nel 1977 passò la soglia del 60%.[39] Per la prima metà della Guerra Fredda, la gran parte degli economisti si chiedeva quando, e non se, l'economia sovietica avrebbe superato quella statunitense.[40] A partire dagli anni 1970, comunque, e particolarmente durante gli anni 1980, i tassi di crescita rallentarono in URSS e in tutto il mondo comunista. La ragione di questa flessione è ancora motivo di dibattito per molti economisti, ma esiste un consenso generale sul fatto che gli stati comunisti avevano raggiunto i limiti del modello di crescita estensivo che stavano perseguendo, e la flessione fu in parte causata dal loro rifiuto o dall'incapacità di passare ad un modello di crescita intensivo.[41]

Il progresso tecnologico negli stati comunisti fu talvolta altamente ineguale, nel senso che alcuni settori balzarono in avanti, mentre altri restarono indietro. Come notato sopra, il programma spaziale sovietico vide progressi rimarchevoli, così come le scienze pure, la matematica e la tecnologia militare. I prodotti di consumo d'altra parte, erano tipicamente diversi anni indietro rispetto alle loro controparti occidentali. Secondo la CIA[42], un certo numero di prodotti sovietici utilizzava in effetti tecnologia occidentale, che era stata acquistata legalmente o ottenuta attraverso lo spionaggio. Questa situazione è stata largamente attribuita al fatto che i pianificatori economici, in Unione Sovietica e altrove, rendevano conto al governo ma, in assenza di democrazia, non rendevano conto al popolo. Quindi i loro piani tendevano a focalizzarsi su obiettivi a lungo termine e sullo sviluppo scientifico e militare, piuttosto che sui bisogni immediati della popolazione.

Confronto della crescita economica annua
(fonte:[43])
Unione
Sovietica
Europa
Occidentale
Stati
Uniti
Tasso di crescita
annuo del PIL: 1950-1980
4,7% 4,2% 3,3%
Tasso di crescita
annuo del PIL: 1970-1980
3,1% 3,0% 3,0%
Tasso di crescita
annuo del PIL: 1950-1980
3,3% 3,3% 1,9%
Tasso di crescita
annuo del PIL: 1970-1980
2,1% 2,3% 2,0%

Sia i critici che i sostenitori degli stati comunisti fanno spesso paragoni tra particolari nazioni comuniste e capitaliste, con l'intenzione di mostrare che una parte era superiore all'altra. I critici preferiscono paragonare la Germania Est con la [{Germania Ovest]], mentre i sostenitori preferiscono paragonare Cuba alla Giamaica o all'America Centrale. Tutti questi paragoni sono aperti alla sfida, sia sulla comparabilità degli stati considerati che sulle statistiche usate per il paragone. Non esistono due nazioni identiche; l'Europa Occidentale era più sviluppata e industrializzata dell'Europa Orientale già da molto prima della Guerra Fredda, e Cuba era più sviluppata di molti altri dei suoi vicini centramericani, da prima della Rivoluzione Cubana. Il confronto tra Cuba e il resto dei Caraibi o dell'America Latina pone un problema speciale: Cuba è l'unica nazione latinoamericana ad essere stata comunista per quarant'anni. È inoltre l'unica nazione latinoamericana ad essere stata posta sotto embargo per quarant'anni da parte del suo più grande vicino e partner commerciale, mentre la Germania Est vide gran parte della sua industria portata via dall'URSS come riparazioni di guerra.

In generale, i critici degli stati comunisti sostengono che questi rimasero dietro l'Occidente industrializzato in termini di sviluppo economico per gran parte della loro esistenza, mentre i sostenitori argomentano che i tassi di crescita furono talvolta più alti negli stati comunisti che in quelli capitalisti, così che avrebbero eventualmente raggiunto l'Occidente se questi fossero stati mantenuti. Alcuni rifiutano in blocco tutti i paragoni, facendo notare che gli stati comunisti partirono innanzitutto da economie molto meno sviluppate, anche se questo non fu sempre il caso.[44]

Gran parte degli stati comunisti scelsero di concentrare le loro risorse economiche sull'industria pesante e sulla difesa, trascurando ampiamente i beni di consumo. Come risultato la qualità della vita nella maggior parte degli stati comunisti fu consistentemente inferiore a quella di cui si godeva nell'Occidente industrializzato, anche se la loro crescita economica era paragonabile o maggiore.

L'aspettativa di vita incrementò a sbalzi in occidente. L'ultimo di questi iniziò attorno al 1970, e consistette principalmente in miglioramenti nella medicina cardiovascolare. Studi demografici[45] hanno concluso che Unione Sovietica e Europa Orientale non presero parte a questo incremento, contrariamente a quanto fecero nei precedenti. L'aspettativa di vita per gli uomini addirittura, diminuì di un anno - portando a un grande divario tra Est e Ovest entro il 1990. Comunque, dall'introduzione dell'economia di mercato, un netto declino nell'aspettativa di vita venne notato nelle nazioni dell'ex Unione Sovietica. Questo declino accelerò in Russia e Ucraina; nelle Repubbliche Baltiche l'aspettativa di vita iniziò ad aumentare. Nell'Europa Orientale, dopo il 1990, il declino continuò, soprattutto in Romania, ma l'aspettativa di vita ricominciò a crescere in altre nazioni della regione. Tutti questi sviluppi danno informazioni sul capitalismo post-sovietico, in particolare sull'economia della Russia, oltre che sulle politiche degli stati comunisti.

I sostenitori degli stati comunisti ne evidenziano i programmi sociali e culturali, talvolta amministrati dalle organizzazioni sindacali. I programmi per l'educazione universale sono stati un punto di forza, così come la generosa fornitura di assistenza sanitaria universale. Vengono messi in primo piano gli alti livelli di alfabetizzazione di cui godettero gli est-europei (in confronto ad esempio all'Europa Meridionale), i cubani o i cinesi. I critici occidentali ribattono facendo notare che l'istruzione dell'obbligo nei paesi comunisti era infarcita di propaganda pro-comunista e censurava i punti di vista contrastanti.

[modifica] Arti, scienze e ambiente

Molti stati comunisti censurarono le arti per considerevoli periodi di tempo, solitamente riservando un trattamento preferenziale al realismo socialista. Alcuni stati comunisti si sono impegnati in esperimenti culturali su vasta scala. In Romania, il centro storico di Bucarest venne demolito e l'intera città fu ridisegnata tra il 1977 e il 1989. In Unione Sovietica, centinaia di chiese vennero demolite o convertite a utilizzi secolari, durante gli anni 1920 e 1930. In Cina, la Rivoluzione Culturale cercò di dare un contenuto 'proletario' a tutte le espressioni artistiche.[46] I critici sostengono che queste politiche rappresentarono una distruzione immotivata del patrimonio culturale, mentre per i sostenitori questa nuova cultura era migliore della vecchia.

In Unione Sovietica, durante il periodo dello stalinismo, i documenti storici furono spesso oggetto di revisionismo e contraffazione, intese a modificare la percezione pubblica di certi personaggi o eventi storici importanti. Il ruolo cardine giocato da Lev Trotsky nella Rivoluzione Russa e nella guerra civile, ad esempio, vennero quasi completamente cancellati dalle registrazioni storiche, dopo che Trotsky divenne il capo di una fazione comunista che si opponeva al potere di Stalin (si veda Quarta Internazionale). La ricerca sovietica in determinate scienze fu talvolta guidata da considerazioni politiche più che scientifiche. Il lisenkoismo e la teoria iafetica vennero promosse per brevi periodi, in biologia e in linguistica rispettivamente, nonostante non avessero merito scientifico. Le ricerche nel campo della genetica furono limitate, perché l'uso nazista dell'eugenetica aveva spinto l'URSS ad etichettare la genetica come una "scienza fascista" (si veda ricerche soppresse in Unione Sovietica).

Secondo il Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti, gli stati comunisti mantennero un livello di intensità di energia molto più alto delle nazioni occidentali o del Terzo Mondo, almeno dopo il 1970. Lo sviluppo ad alta intensità energetica poteva essere ragionevole. L'Unione Sovietica era un esportatore di petrolio; la Cina ha vasti giacimenti di carbone.
Secondo il Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti, gli stati comunisti mantennero un livello di intensità di energia molto più alto delle nazioni occidentali o del Terzo Mondo, almeno dopo il 1970. Lo sviluppo ad alta intensità energetica poteva essere ragionevole. L'Unione Sovietica era un esportatore di petrolio; la Cina ha vasti giacimenti di carbone.

Gli stati comunisti si impegnarono spesso in una rapida industrializzazione, e in alcuni casi ciò ha portato a disastri ambientali. L'esempio più citato è la grande riduzione del Mare di Aral, negli odierni Uzbekistan e Kazakhistan, che si ritiene sia stato causato dalla deviazione delle acque dei suoi due affluenti per la coltivazione del cotone. Il Mar Caspio è stato anch'esso ridotto, inoltre, ci fu un significativo inquinamento del Mar Nero, del Mar Baltico e dell'ambiente unico del Lago Baikal. Nel 1988 solo il 20% dei liquami dell'Unione Sovietica veniva trattato correttamente. Nello stesso anno le soglie stabilite per l'inquinamento dell'aria vennero superate di dieci volte o più in 103 città. In Europa Orientale, l'inquinamento dell'aria è citato come causa dei danni a foreste, edifici e patrimonio culturale, e della crescita della frequenza di casi di cancro ai polmoni. Secondo fonti ufficiali, il 58 percento del totale dei terreni agricoli dell'ex Unione Sovietica era affetto da salinizzazione, erosione, acidità o allagamento. Le scorie nucleari venivano scaricate nel mar del Giappone, nell'Oceano Artico e in siti della Russia asiatica. Nel 1992 venne rivelato che nella città di Mosca esistevano 636 siti di raccolta di scorie radioattive, e a San Pietroburgo 1.500.[47][48]

Con l'eccezione delle scorie radioattive, tutti gli esempi summenzionati di degrado ambientale, sono simili a quelli che si ebbero nelle nazioni capitaliste occidentali all'apice della loro corsa all'industrializzazione, nel XIX secolo.[49] Di conseguenza alcuni hanno osservato che gli stati comunisti non hanno danneggiato il loro ambiente più della media della società industriale. Altri sostengono che gli stati comunisti fecero più danno della media, principalmente a causa della mancanza di qualsiasi pressione politica o popolare a ricercare tecnologie amichevoli dal punto di vista ambientale.[50]

Molti problemi ecologici continuano immutati dopo la caduta dell'Unione Sovietica e sono ancora oggi una grosso problema - il che ha portato i sostenitori degli stati comunisti ad accusare i loro avversari di avere un doppio standard.[51] In altri casi la situazione ambientale è migliorata dopo alcuni anni[52][53], ma i ricercatori hanno concluso che questo miglioramento era dovuto in gran parte alle gravi crisi economiche degli anni 1990 che causarono la chiusura di molte fabbriche.[54]

[modifica] Critiche comuniste e di sinistra agli stati comunisti del XX secolo

Molti comunisti sono in disaccordo con alcune o con molte delle azioni intraprese dagli stati comunisti durante il XX secolo. Molte delle critiche presentate in questa sezione (ad esempio, le critiche sulla violazione dei diritti umani) sono condivise dai critici comunisti.

Anche altre aree della sinistra si opposero ai piani bolscevichi prima che venissero messi in pratica: i revisionisti marxisti, come Eduard Bernstein e Karl Kautsky, negarono la necessità di una rivoluzione; gli anarchici si differenziarono da Marx già con Bakunin, e i socialisti rivoluzionari di Nestor Makhno furono in guerra con Lenin, formando uno dei tanti schieramenti della guerra civile russa.

Marx ed Engels (come Alexander Hamilton) non credevano che la vera liberaldemocrazia fosse una forma possibile di governo, in quanto tutti gli stati concedevano inerentemente potere illimitato alla classe governante. Dopo la rivoluzione, quando tutta la produzione sarebbe stata controllata con sicurezza dal proletariato, lo stato sarebbe alla fine "svanito", essendo rimasto senza funzioni.

Le critiche da sinistra degli stati comunisti iniziarono molto presto, subito dopo la creazione del primo di questi stati. Bertrand Russell visitò la Russia nel 1920, e considerava i bolscevichi intelligenti, ma senza soluzioni e senza piani. Emma Goldman condannò la soppressione della rivolta di Kronstadt come un 'massacro'.

Una critica specificamente comunista, comunque, è l'accusa per cui gli "stati comunisti" del XX secolo violarono grossolanamente i principi comunisti, e furono quindi al più solo parzialmente comunisti o nel caso peggiore completamente non comunisti.

In primo luogo, tutti i comunisti concordano che la democrazia (il governo del popolo) è un elemento chiave sia del socialismo che del comunismo - anche se possono essere in disaccordo sulla particolare forma che questa democrazia deve assumere. I leader stessi degli stati comunisti annunciarono frequentemente il loro appoggio della democrazia, tennero elezioni con regolarità e talvolta diedero alle loro nazioni nomi come "Repubblica Democratica Tedesca" o "Repubblica Popolare Democratica di Corea". I sostenitori del comunismo hanno sempre sostenuto che questi stati erano democratici. Ad ogni modo, i critici mettono in rilievo che, in pratica, un partito politico deteneva un monopolio assoluto sul potere, il dissenso era vietato, e le elezioni solitamente vedevano un solo candidato ed erano soggette a brogli (che producevano spesso implausibili risultati col 99% dei voti in favore del candidato). Di conseguenza i critici comunisti degli stati comunisti sostengono che, in pratica, questi stati non erano democratici e quindi non erano comunisti o socialisti.

Una mancanza di democrazia implica una mancanza di mandato popolare; di conseguenza i critici comunisti sostengono che la leadership degli stati comunisti non rappresentava gli interessi della classe lavoratrice, e non c'era da meravigliarsi che questa leadership intraprendesse azioni che danneggiavano direttamente i lavoratori (ad esempio il grande balzo in avanti di Mao). In particolare, gli stati comunisti misero al bando i sindacati indipendenti, un gesto visto da molti comunisti (e da molti altri a sinistra) come un aperto tradimento della classe lavoratrice.

I trotzkisti in particolare, hanno sostenuto che Stalin trasformò l'Unione Sovietica in uno stato burocratico e repressivo, e che tutti gli stati comunisti che seguirono si rivelarono alla fine simili, perché copiarono questo esempio. Esistono vari termini usati dai Trotzkisti per definire tali stati; si veda capitalismo di stato, stato proletario degenerato e stato proletario deformato.

Mentre i trotzkisti sono Leninisti, esistono altri comunisti che abbracciano il marxismo classico e rigettano completamente il Leninismo, sostenendo ad esempio, che il principio leninista del centralismo democratico fu la causa dell'allontanamento dell'Unione Sovietica dal comunismo.

Infine, si deve notare che molte di queste critiche comuniste hanno attirato delle contro-critiche da parte degli anti-comunisti, molti dei quali hanno tentato di stabilire un collegamento diretto tra i principi comunisti e le azioni degli stati comunisti. Alla fine, questo si riduce ad un disaccordo fondamentale tra comunisti e anti-comunisti su cosa siano effettivamente questi principi comunisti. Un esempio illuminante è la questione della democrazia: i comunisti sostengono che la democrazia è una parte essenziale dei loro principi, mentre gli anti-comunisti sostengono che non lo è.

Oltre al termine comunismo, il nome di diverse altre ideologie e sistemi politici è stato usato da governi o partiti politici che sono ampiamente considerati come contrari ai principi basilari di tali ideologie o sistemi. La Repubblica Democratica del Congo o la Repubblica Democratica Popolare di Corea (Corea del Nord), ad esempio, sono universalmente considerate come altamente non-democratiche. Similarmente, il Partito Liberal Democratico di Russia, non condivide praticamente nulla con l'ideologia del liberalismo.

[modifica] Teorie marxiste

La seguente sezione di questo articolo tratta delle critiche che vengono levate specificamente contro le teorie marxiste, che secondo i critici sono il fondamento ideologico di gran parte del pensiero comunista.

[modifica] Incentivo al lavoro

Critici come i teorici della scelta razionale e i pensatori del mercato libero microeconomico, credono che senza il salario o il sistema dei prezzi, l'"abilità" o i "bisogni" diventano inquantificabili, e quindi non lavorabili. Tale argomentazione asserisce quindi che gli individui, senza questa quantificazione, inizieranno a prendere dalle risorse limitate più di quanto abbisognano, e che gli individui alla fine lavoreranno meno di quanto sono in grado di fare, portando all'inefficienza. I teorici della scelta razionale credono che la teoria comunista ignori gli incentivi necessari alla gente per produrre beni di consumo e diventare membri produttivi della società, mentre allo stesso tempo non fornisce alcuni incentivo che trattenga la gente dal prendere ciò che vuole invece che ciò di cui ha bisogno.

Secondo gli storici, salari e prezzi sostituirono il baratto, un sistema di scambio con cui la gente commercia i propri beni o servizi per altri beni o servizi. Per questi critici il comunismo è un passo indietro rispetto al sistema del baratto, in quanto nessuno è in grado di possedere una proprietà, stabilire prezzi o attribuire un salario, e quindi ingaggiare un commercio per migliorare le proprie vite. Essi dicono che il sistema di salari e prezzi della domanda e offerta è quello che meglio approssima le "abilità" e i "bisogni" della gente, ma più accuratamente approssima le loro "voglie", poiché molte società capitaliste hanno costruito abbastanza benessere da esistere oltre i bisogni basilari della sopravvivenza. Questi critici credono che l'eliminazione di salari, denaro e proprietà, risulti in una organizzazione economica più inefficiente del baratto.

I comunisti sostengono che l'efficienza di una società comunista non deve essere confrontata col baratto, poiché la società comunista assume una filosofia economica e una percezione dell'efficienza differenti, come il sistema teorico dell'altruismo reciproco, con altre istituzioni sociali che sostituiscono il bisogno di salari o prezzi. Inoltre viene sostenuto dai comunisti che non tutti, in un sistema capitalista, vedono i loro desideri soddisfatti; piuttosto, solo quelli che hanno un vantaggio nel commercio, come il controllo sui mezzi di produzione, possono prendere all'altra parte ciò di cui hanno bisogno, mentre l'altra parte è spesso costretta a questo commercio per sopravvivenza finanziaria e non per desiderio. L'alta produttività del capitalismo nasce dalla competizione. È stato osservato che la maggior parte delle società per azioni nel lungo periodo falliscono; Adam Smith asserisce che tutte le imprese che richiedono libertà direttiva possono fallire. I comunisti possono sostenere che con il rischio di un vantaggio ottenuto così sarà spesso superiore il potenziale profitto nella valutazione di molti membri insicuri della società che, protetti da un sistema garante maggior sicurezza, s'impegnerebbero in efficaci e originali attività per il bene comune. Con gli attuali sistemi politici e governi esistenti questo problema s'è aggravato; come ha osservato Hayek, a un certo punto gli operatori finanziari preferiranno agevolare un governo-monopolio. Contro tale governo le nuove imprese saranno persino meno incentivate a prosperare.

Fin dalla scrittura del Manifesto comunista si è sostenuto da parte dei capitalisti, che le società capitaliste hanno notevolmente ridotto la povertà attraverso la creazione di benessere per tutti i membri della società. Gli oppositori rigettano questa argomentazione in quanto percepiscono che la creazione di ricchezza per i poveri è stata minima; che il ciclo della povertà non è stato risolto; e credono che gran parte della riduzione della povertà è stata ottenuta attraverso l'uso del welfare e di altre politiche sociali portate avanti grazie alle pressioni della classe operaia, quali l'esistenza del salario minimo in certe nazioni capitaliste. Per contro, i critici sostengono che il welfare perpetua la povertà creando meccanismi che disincentivano la creazione della ricchezza; comunque, si può constatare che l'unico scopo della creazione di ricchezza nel capitalismo sarebbe proprio quello che il welfare soddisfa, anche se potrebbe avvenire in modo molto meno efficiente, dato che gran parte della ricchezza verrebbe trattenuta dalla classe borghese che non ne ha bisogno. Il dibattito tra i sostenitori del libero mercato e i comunisti tende quindi a essere trascinato sulla questione che una società capitalista perpetua la povertà a causa dell'accumulo di capitale, mentre una società comunista perpetua la povertà rimuovendo l'incentivo al lavoro.

Marx anticipò l'obiezione riguardante la perdita di incentivo al lavoro nel suo Manifesto comunista, riconoscendo che "è stato obiettato che con l'abolizione della proprietà privata tutto il lavoro cesserebbe, e verremmo sopraffatti dalla pigrizia universale", e dando la sua risposta per cui, "in base a ciò, la società borghese avrebbe dovuto andare in rovina molto tempo fa per via della semplice immobilità; perché quelli tra i suoi membri che lavorano non acquisiscono niente, e quelli che acquisiscono tutto non lavorano". I propositori del comunismo citano ulteriormente il ciclo della povertà, dove i proprietari o i datori di lavoro capitalisti sono in grado di tenere i loro inquilini o lavoratori, che rappresentano la maggioranza della popolazione, in perpetua sussistenza perché la loro lotta per la sussistenza non gli lascia risorse per investire.

[modifica] Materialismo storico

Il materialismo storico viene normalmente considerato una delle fondamenta intellettuali del marxismo. Esso ricerca le cause dello sviluppo e dei cambiamenti nella storia umana, in termini di fattori economici, tecnologici e più genericamente materiali, così come gli scontri di interessi materiali tra tribù, classi sociali e nazioni.

Marx sosteneva che "il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo generale della vita sociale, politica e intellettuale". In altre parole, le istituzioni sociali e politiche dominanti nella società, assieme alle idee dominanti prevalenti tra i membri della società, sono determinate da condizioni materiali. I critici hanno contestato ciò. Ad esempio, Max Weber ha sostenuto che le idee politiche e le convinzioni religiose non sono determinate dalle condizioni materiali della società, ma possono in realtà giocare un ruolo nella creazione di queste condizioni (ad esempio, il protestantesimo, nella visione di Weber, influenzò lo sviluppo del capitalismoTemplate:Fact).

Alcuni, come Karl Popper e altri, hanno anche argomentato che il materialismo storico è una pseudoscienza poiché non è falsificabile.[55] I marxisti rispondono che le scienze sociali in generale sono ampiamente falsificabili, dato che è spesso difficile se non del tutto impossibile metterle alla prova tramite esperimenti (nel modo in cui la scienza pura può essere falsificata). Ciò è vero in particolare quando sono coinvolte molte persone e un lungo lasso di tempo. Popper concordò su questo, ma lo usò come argomentazione contro la pianificazione centralizzata e tutte le ideologie che sostengono di essere in grado di fare predizioni sul futuro.

Il materialismo storico si basa sull'analisi delle classi e identifica un numero di fasi della storia, ognuna delle quali è caratterizzata da un certo sistema economico e da una certa struttura della società basata sulle classi. Lo storico Robert Conquest sostiene che un'analisi dettagliata di molti periodi storici non riesce a dare supporto per le fasi postulate dai marxisti. Marx stesso ammise che la sua teoria era limitata alle fasi presenti nella storia europea.[56]

La filosofia di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, in particolare le sue idee sulla dialettica, fu una delle radici intellettuali del materialismo storico. Max Stirner, un critico del marxismo, ha sostenuto che la filosofia di Hegel porta al nichilismo e non al materialismo storico. Replicando alle asserzioni di Stirner, Karl Marx scrisse uno dei suoi lavori più importanti: L'ideologia tedesca.

Basandosi sul materialismo storico, Marx fece numerose predizioni. Ad esempio, egli sostenne che i lavoratori sarebbero diventati sempre più poveri, mentre i capitalisti li sfruttavano sempre più; che le differenze tra i membri all'interno di ogni classe sarebbero divenute sempre più piccole e le classi sarebbero diventate quindi più omogenee; che gli operai specializzati sarebbero stati rimpiazzati da lavoratori generici che eseguivano un lavoro di assemblaggio in linea; che le relazioni tra la classe lavoratrice e i capitalisti sarebbero sempre più peggiorate; che i capitalisti sarebbero diventati sempre meno e causa di un numero crescente di monopoli; e che la rivoluzione proletaria sarebbe avvenuta per prima nelle nazioni più industrializzate.[57][58] Le predizioni di Marx riguardanti la povertà della classe operaia avevano alcune somiglianze con le predizioni fatte da altri economisti in precedenza, come le conclusioni di David Ricardo derivate dalla sua legge di ferro dei salari.

Molte di queste predizioni non si avverarono o lo fecero solo in parte. Questo è spesso citato dai critici come prova che il materialismo storico è una teoria fallataTemplate:Fact. I comunisti replicano con proprie argomentazioni. La prima è che ci furono una serie di eventi e tendenze importanti nell'ultimo secolo e mezzo che Marx non poteva aver previsto: imperialismo, I guerra mondiale, ascesa della socialdemocrazia e economia Keynesiana ad occidente (che introdusse il concetto di redistribuzione della ricchezza, riducendo così il divario tra ricco e povero), II guerra mondiale e infine Guerra Fredda. In risposta, i critici sostengono che se così tanti eventi imprevedibili sono avvenuti in passato, un numero pari potrebbe avvenire in futuro, e quindi il materialismo storico non è un metodo affidabile per fare previsioniTemplate:Fact.

La seconda argomentazione è specificamente leninista. Lenin, nel suo libro L'imperialismo. Fase suprema del capitalismo, sostenne che il capitalismo doveva essere visto come un fenomeno globale, e differenti nazioni capitaliste non dovevano essere trattate come se fossero entità completamente indipendenti. Invece, si doveva guardare al capitalismo mondiale. Da questo punto di vista, Lenin prosegue argomentando che le nazioni capitaliste ricche e sviluppate "esportano" la loro povertà nelle nazioni più povere, trasformandole in colonie (da cui il termine 'imperialismo') e sfruttandole come fonte di lavoro economico non specializzato e di risorse. Parte delle spoglie di questo sfruttamento sono quindi divise con i lavoratori delle nazioni sviluppate, allo scopo di tenere alto il loro standard di vita ed evitare così la rivoluzione in casa. Da questo, Lenin conclude che Marx sbagliava ad aspettarsi che le prime rivoluzioni comuniste avvenissero nelle nazioni più avanzate industrialmente. Lenin sostenne che la rivoluzione sarebbe iniziata nelle nazioni la cui popolazione era più sfruttata, cioè società agrarie sottosviluppate come la Russia.

Gli imperi coloniali europei dell'epoca di Lenin si dissolsero tutti tra il 1947 e il 1998 con la decolonizzazione del mondo. I comunisti sostengono che lo sfruttamento economico delle nazioni povere continua anche in assenza di un controllo politico diretto[59] (si veda neocolonialismo, globalizzazione e anti-globalizzazione).

[modifica] Teoria del valore-lavoro

Fondamentale per la teoria marxista è la teoria del valore-lavoro. Essa sostiene che il valore (o per essere più precisi, il valore di scambio) di un oggetto è determinato dal tempo di lavoro socialmente necessario alla sua produzione. In altre parole, più grande è il quantitativo di lavoro necessario a produrre un oggetto, maggiore è il valore di tale oggetto. Questo implica che il valore sia oggettivo, e che potrebbe non essere riflesso dal prezzo dell'oggetto in questione (in quanto il prezzo è determinato dalla domanda e offerta, e non è collegato alla quantità di lavoro che deve essere spesa per produrre l'oggetto). La teoria del valore-lavoro venne enunciata pienamente da David Ricardo, partendo da suggerimenti di Adam Smith, e in seguito adottata da Karl Marx. R. H. Tawney la deriva, attraverso John Locke, dal justum pretium.

Jevons e gli economisti capitalisti classici in seguito abbandonarono la teoria in favore della teoria soggettiva del valore, la quale implica che solo il valore di un oggetto su cui diversi osservatori concordano equivale al suo prezzo sul mercato (il quale è basato sulle convenienze soggettive dei partecipanti).

Jacques Barzun, Robert Nozick, e altri critici sostengono che la qualifica di "socialmente necessario" nella teoria del valore-lavoro, non è ben definita, e nasconde un giudizio soggettivo di necessità.[60] Barzun afferma inoltre che la stessa unità della teoria del lavoro è mal definita; che il problema di misurare il maggior ritorno del lavoratore specializzato (o del lavoratore con strumentazione avanzata) in ore di lavoro manuale, non è stata mai risolta.

Bertrand Russell sostiene che la teoria del lavoro, mentre è un'approssimazione ragionevole per una società agraria, non è né accurata né normativa per un industrialismo avanzato, indipendentemente dall'organizzazione economica. Secondo Russell, la teoria del lavoro si rivela un utile strumento polemico come etica contro un gruppo "predatorio", come gli usurai o i capitalisti; ma non indica alcuna giusta proporzione tra i guadagni di due lavoratori in punti diversi della stessa linea di montaggio.

I marxisti hanno replicato a queste critiche raffinando in vari modi la teoria del valore-lavoro, ad esempio misurando la maggior resa del lavoratore specializzato in base alla quantità di lavoro necessaria per insegnare al lavoratore le sue nuove abilità. La qualifica di "socialmente necessario" solitamente si riferisce alla quantità di lavoro che è strettamente necessaria a produrre un dato risultato; quindi, se viene sprecato lavoro (il processo produttivo utilizza più lavoro di quanto sia necessario), il prodotto finale non guadagna alcun valore addizionale.

Alcuni dei raffinamenti alla teoria del valore-lavoro menzionati in precedenza hanno portato a un modello marxista dell'economia che è sostanzialmente più complesso, e richiede una matematica molto più avanzata, di quanto proposto in origine da Marx. Ad esempio, la premessa che incrementi nel valore derivino dal lavoro, è stata interpretata come implicare che industrie a lavoro intensivo debbano avere un maggior tasso di profitto rispetto a quelle che usano meno lavoro, il che non è vero. Marx spiega ciò argomentando che nella vita economica reale, i prezzi differiscono dai valori in modo sistematico. Questo è noto come problema della trasformazione, e non fu risolto da Marx nel corso della sua vita. I marxisti moderni hanno fornito una soluzione, che utilizza matematica di alto livello. I critici sostengono che ciò rende la teoria un tempo intuitivamente attraente, molto complicata e che non c'è ancora alcuna giustificazione per l'affermazione che solo il lavoro e non ad esempio il grano possa incrementare il valore.[61]

[modifica] Importanza degli stati comunisti per la teoria marxista

Gli stati comunisti sostennero di rappresentare la realizzazione pratica del marxismo-leninismo. Che questo sia vero o falso è questione di significativa importanza storica e politica. Esistono almeno quattro punti di vista principali sulla questione:

  1. Gli stati comunisti misero in pratica il marxismo. Questa visione è sostenuta dai comunisti che appoggiano gli stati comunisti, così come dalla maggior parte degli anti-comunisti.
  2. Gli stati comunisti non misero in pratica il marxismo. Essi prestarono ad esso solo un'adesione formale per fini propagandistici, e le loro politiche rappresentarono una perversione o un tradimento del marxismo. Questa visione è sostenuta dalla maggioranza dei comunisti che si oppongono agli stati comunisti.
  3. Gli stati comunisti misero in pratica alcuni aspetti del marxismo e non altri. La loro eredità è complessa e comprende sia aspetti positivi che negativi.

All'interno di queste visioni differenti, esiste un ampio ventaglio di conclusioni che vari autori traggono dall'esperienza storica degli stati comunisti e della loro sconfitta finale nella Guerra Fredda. Gli anti-comunisti credono che gli stati comunisti causarono grandi sofferenze e che il loro collasso dimostra che il loro modello sociale, politico ed economico non era praticabile. I comunisti che supportano gli stati comunisti credono che quegli stati portarono molti benefici alle loro popolazioni e al mondo nel complesso, e la loro caduta fu una grande tragedia causata da pressioni esterne dell'occidente capitalista. I comunisti che si oppongono agli stati comunisti credono che tali stati soffocarono lo sviluppo del vero comunismo in casa e fecero molto per screditare la causa comunista all'estero, e alla fine collassarono sotto il peso delle contraddizioni interne.

Uno "stato comunista" è una contraddizione secondo la teoria marxista. Il comunismo è un sistema sociale che abolisce la proprietà privata dei mezzi di produzione, le classi sociali e lo stato. Nessuno stato o governo si è mai autodefinito come "stato comunista"; comunque, diversi stati hanno dato al partito comunista uno status speciale nelle loro leggi e costituzioni, sostenendo al contempo di essere indirizzati verso il comunismo. Il termine "stato comunista" è stato coniato e utilizzato in Occidente per riferirsi a tali stati. Sono questi "stati comunisti" (stati monopartitici in cui il partito al governo proclama ufficialmente la sua adesione al marxismo-leninismo) ad essere il bersaglio delle critiche presentate di seguito.

Comunque, la teoria di Marx ed Engel comprende anche una fase di transizione nota come dittatura del proletariato.[62] Dopo di questa lo stato svanirebbe e la dittatura del proletariato verrebbe sostituita dalla società comunista. Gli stati comunisti sostennero di essere questa dittatura del proletariato. Se seguirono la teoria marxista, allora questa può essere criticata alla prova dei fatti, per i pretesi fallimenti degli stati comunisti e perché questi non sono "svaniti" producendo la predetta società comunista. Albert Szymanski analizzò lo stato sovietico e concluse che fu un'autentica dittatura del proletariato ("Is the Red Flag Flying? The Political Economy of the Soviet Union Today", Londra, Zed Press, 1979)

Trotskisti e altri leninisti rispondono che tutti gli stati comunisti dopo la morte di Lenin, non aderirono in realtà al marxismo, ma furono piuttosto perversioni pesantemente influenzate dallo Stalinismo.[63] Comunque, si è sostenuto che fu Lenin a creare le istituzioni repressive che furono usate in seguito da Stalin. Lenin analizzò la Comune di Parigi e concluse che fallì a causa dell'"eccessiva generosità. Avrebbe dovuto sterminare i suoi nemici".[64] Il regime di Lenin giustiziò sommariamente centinaia di migliaia di "nemici di classe", creò la Cheka, creò il sistema che in seguitò diventò quello dei Gulag, e fu responsabile di una politica di requisizione del cibo durante la guerra civile russa che fu parzialmente responsabile di una carestia che provocò tra i 3 e i 10 milioni di vittime.[65][66][67] Emma Goldman ha criticato Leon Trotsky per il suo ruolo nella Rivolta di Kronstadt e per aver ordinato incarcerazioni su larga scala in campi di concentramento e l'esecuzione di oppositori politici quali gli anarchici.[63]

Alcuni sostenitori del marxismo sostengono invece che nessuno stato comunista fu marxista, poiché nessuno stato comunista fu democratico. Comunque, Marx ed Engels diedero pochi suggerimenti su come si sarebbe dovuto implementare la dittatura del proletariato o la successiva società comunista. Essi respinsero il concetto di liberal-democrazia, sostenendo che non poteva rappresentare gli interessi del proletariato. Viene spesso sostenuto che Marx ed Engels sostennero il modello della pretesa democrazia diretta della Comune di Parigi.[68] Ad ogni modo, ciò è oggetto di discussione[69] e ci furono violazioni dei diritti umani anche durante i pochi mesi di esistenza della comune.[70]

Marx: ...Quando i lavoratori rimpiazzano la dittatura della borghesia con la loro dittatura rivoluzionaria... per spezzare la resistenza dei borghesi... i lavoratori investono lo stato di una forma rivoluzionaria e transitoria ...
Engels: ...E il partito vittorioso" (in una rivoluzione) "deve mantenere il suo governo per mezzo del terrore che le sue armate ispirano nei reazionari. Sarebbe la Comune di Parigi durata più di un giorno se non avesse usato l'autorità del popolo armato contro i borghesi? Non possiamo noi, per contro, incolparla per aver fatto troppo poco uso dell'autorità?...
Engels: Essendo pertanto lo stato, solo un istituzione transitoria che viene usata nella lotta, nella rivoluzione, per contenere il proprio avversario con la forza, è un puro nonsenso parlare di uno 'stato del popolo libero'; fintanto che il proletariato ha ancora bisogno dello stato, non ne ha bisogno nell'interesse della libertà, ma allo scopo di tenere a freno i suoi avversari, e appena diventerà possibile parlare di libertà, lo stato in quanto tale cesserà di esistere ....

Lenin citò queste[71] e altre[72] affermazioni di Marx e Engels a supporto dell'uso dei principi autoritari di partito d'avanguardia e centralismo democratico durante la dittatura del proletariato negli stati comunisti. Questo escludeva la democrazia in teoria, anche al di fuori del partito comunista al governo. Il regime di Lenin mise al bando anche le fazioni interne al partito. Questo rese le procedure democratiche all'interno del partito una mera formalità.[73] Quando i Marxisti guadagnarono solo un voto di minoranza nelle elezioni per l'Assemblea Costituente Russa del 1917, Lenin dissolse l'Assemblea Costituente dopo la sua prima sessione e rovesciò le elezioni.[74] Tutti gli stati comunisti successivi divennero e rimasero totalitari fintanto che i partiti comunisti rimasero al potere, giustificando ciò facendo riferimento all'interpretazione del Marxismo data da Lenin, il Marxismo-Leninismo.[75]

D'altra parte, alcuni stati democratici sono stati governati da partiti che si facevano chiamare comunisti, senza diventare totalitari. Un esempio è la Moldavia. Che questi partiti e altri che non sono al potere siano Marxisti è oggetto di discussione, poiché, mentre puntano ad una società socialista, rigettano chiavi di volta del Marxismo quali la rivoluzione proletaria e almeno per il momento accettano l'economia di mercato. (Si veda Eurocomunismo e Definizione di uno stato comunista)

Un altro argomento è che il vero comunismo può svilupparsi solo come risposta alle contraddizioni del capitalismo borghese; quindi, il fallimento fino ad oggi di questi esperimenti comunisti, può essere attribuito al fatto che non emersero in questo modo. L'Unione Sovietica è uno di questi - La Russia zarista era quasi-feudale, non capitalista. Viene così sostenuto che il fallimento del socialismo sovietico nel sostenersi, sia in realtà una conferma della teoria Marxista. Lo storico Orlando Figes ha criticato ciò, facendo notare che molte forme differenti di Marxismo sono state provate in molte società differenti e con vari gradi di sviluppo.[76] Esempi comprendono il comunismo di guerra e la Nuova Politica Economica di Lenin, lo Stalinismo e il post-Stalinismo nelle nazioni industrializzate dell'Europa Centrale e Orientale e in Unione Sovietica, la divisione dei profitti e i consigli decentralizzati del lavoratori sotto Tito, l'estremo auto-affidamento sotto Juche, e le riforme della Perestroika e della Glasnost. Il Maoismo è un concetto ampio che comprende episodi come le comuni auto-sufficienti durante il grande balzo in avanti, l'anti-intellettualismo durante la rivoluzione culturale e il quasi-primitivismo dei Khmer Rossi.

[modifica] Altre visioni di Marx e dei Marxisti

Eric Hoffer considera il comunismo come uno dei principali esempi di movimento di massa che offre al "Vero Credente" un glorioso, benché immaginario, futuro per compensare le frustrazioni del suo presente. Tali movimenti necessitano che le persone siano disposte a sacrificare tutto per tale futuro, compresi se stessi e gli altri. Per fare ciò, è necessario svalutare il passato e il presente. Questa non è una critica specifica dei principi del comunismo; altri esempi principali di Hoffer sono fascismo, nazionalismo e le fasi fondanti delle religioni.

Arthur Koestler descrive il Marxismo come un sistema chiuso, similarmente al cattolicesimo e al Freudianismo ortodosso. Questo ha tre peculiarità: sostiene di rappresentare una verità universale, che spiega tutto e può guarire da tutti i mali. Può processare e reinterpretare automaticamente tutti i dati potenzialmente dannosi con i metodi della casistica, facendo appello all'emotività e andando oltre la logica comune. Invalida le critiche deducendo quali debbano essere le motivazioni del critico e argomentando su quelle.

I Marxisti rispondono a tali accuse definendole misinterpretazioni deliberate della teoria marxista o attacchi ad hominem. Ad esempio, possono sostenere che il Marxismo in realtà non "spiega tutto e guarisce da ogni male", ma che semplicemente raccomanda certe linee di condotta politiche e sociali, esattamente come tutte le altre ideologie. Sulla questione del "Vero Credente", i marxisti possono ammettere che alcuni di questi esistano tra di loro, ma sostengono che non tutti sono "Veri Credenti" e che, in ogni caso, il comportamento del singolo Marxista non dice niente sulla validità del Marxismo in sé.

Il Marxismo vede la natura umana come completamente determinata dall'ambiente, una Tabula rasa. Lo storico Richard Pipes descrive come questo porti a credere nella venuta di un uomo nuovo senza vizi, in sostanza una nuova specie superiore (benché provocata dall'ambiente e non dalla genetica). Trotsky pensava che questo uomo nuovo sarebbe stato in grado di controllare tutti i processi inconsci, compresi quelli che riguardano funzioni corporee come la digestione, e avrebbe avuto l'intelletto di Aristotele. Per poter raggiungere questa fase era necessario e giusto distruggere le istituzioni esistenti che avevano plasmato i miserabili esseri umani attuali. Questo avrebbe reso possibile di poter fare a meno dello stato. Ciò spiegava inoltre (o forse serviva da giustificazione per) lo scarso valore che i comunisti davano alle vite e ai diritti delle persone.[77] In realtà l'interesse personale non poté essere distrutto e la nuova classe dirigente, la nomenklatura, rimpiazzò rapidamente la vecchia aristocrazia. Tentativi periodici di distruggerla, come la rivoluzione culturale durante il regime di Mao, fallirono.[78]

Bryan Caplan ha criticato il rifiuto di Marx dei diritti umani. Marx:

"Nessuno dei presunti diritti dell'uomo, quindi, va oltre l'uomo egoista, l'uomo così com'è, in quanto membro della società civile; ovvero, un individuo separato dalla comunità, richiuso in sé stesso, interamente preoccupato del suo interesse privato e che agisce in accordo con i suoi capricci privati"
"La libertà è, di conseguenza, il diritto di fare tutto ciò che non reca danno agli altri... È una questione di libertà dell'uomo considerato come una monade isolata, rinchiusa in sé stessa."
"Il diritto di proprietà è quindi il diritto di godere delle proprie fortune e di disporne a proprio piacimento; senza considerazione per gli altri uomini e indipendentemente dalla società... Ciò porta ogni uomo a vedere negli altri, non la realizzazione, ma piuttosto la limitazione della propria libertà."
"La 'libertà di coscienza' borghese, non è altro che la tolleranza di tutti i tipi possibili di libertà di coscienza religiosa, e che da parte sua [il socialismo] sfida piuttosto la coscienza a liberarsi dalla stregoneria della religione."
"l'emancipazione politica non è emancipazione dell'uomo."

Invece la società comunista utopica porterà alla "positiva trascendenza dalla proprietà privata, o auto-alienazione umana, e quindi alla reale appropriazione dell'essenza umana da e per l'uomo... il ritorno completo dell'uomo a sé stesso come essere sociale..." Caplan sostiene che questo rifiuto dei diritti umani porta alla tirannia e all'oppressione dei dissidenti.[79]

[modifica] Note

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  7. New York Times, 30 aprile 1980, p. 6
  8. {{Web reference | A Concrete Curtain: The Life and Death of the Berlin Wall, http://www.wall-berlin.org/gb/berlin.htm (ultima visita: 25 ottobre 2005)
  9. Bibliografia: Szymanski, p. 15
  10. Bibliografia: Szymanski, p. 16
  11. Bibliografia: Szymanski, p. 19
  12. Bibliografia: Szymanski, p. 22-25
  13. Bibliografia: Szymanski, p. 21
  14. Bibliografia: Pipes, 1994. p. 141-166, anche in questo caso erano presenti scontri interni fra i comunisti e i non comunisti.
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  16. Sull'impiego della pena di morte nei confronti di traditori della madrepatria, spie e sabotatori-sovversivi, Decreto del Presidio del Soviet Supremo dell'URSS,, 12 gennaio 1950, http://www.cyberussr.com/rus/50uk-dp-sp-e.html (ultima visita: 8 gennaio 2006)
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[modifica] Bibliografia

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  • Robert Conquest, The Harvest of Sorrow: Soviet Collectivization and the Terror-Famine, Oxford University Press, 1986, ISBN 0195051807
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  • Richard Pipes, The Russian Revolution 1899-1919, Collins Harvill, 1990, ISBN 0679400745
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[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni

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