Pindaro
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«Io mi consumo come cera al calore, quando guardo la giovinezza dei ragazzi dalle floride membra
Contro il destino non c'è fuoco o muraglia di ferro che tenga» |
(Pindaro)
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Pindaro (in greco Πίνδαρος), conosciuto anche come Pindaro di Cinoscefale (nato a Cinoscefale presso Tebe il 522 o 518 a.C. – morto ad Argo tra il 445 e il 438 a.C.) è stato un poeta lirico greco. Nato da una nobile ed agiata famiglia originaria della Beozia, autore di importanti carmi epici, è ritenuto uno dei maggiori esponenti della lirica corale. Viaggiò a lungo e visse e scrisse per sovrani e famiglie importanti.
Negli Epinici cantò le vittorie della gioventù aristocratica dorica - cui egli stesso apparteneva - ai giochi panellenici, che a scadenze fisse si tenevano a Olimpia (ed erano, questi, in onore di Zeus perciò i più importanti: appunto gli agoni "olimpici"), Delfi, a Nemea nel Peloponneso e sull'Istmo di Corinto.
Celebrando le competizioni agonistiche del suo tempo - articolate per lo più in tornei di lotta, pugilato, corse a piedi ma anche coi cavalli o su carri trainati da cavalli - alzò alte lodi ad Olimpia in versi rimasti memorabili:
Cantando i modelli di un ideale umano del quale l'eccellenza atletica era solo una manifestazione, Pindaro dava conto, sicuramente con consapevolezza, di uno dei principali canoni dell'etica greca, quello che coniugava bellezza e bontà, prestanza fisica e sviluppo intellettuale: in fondo, i valori di quell'educazione aristocratica alla quale egli stesso era stato formato.
Pindaro trascorse diversi anni in Sicilia, in particolare a Sicuracusa ed Agrigento, presso i tiranni Gerone e Terone. Fu appunto in Sicilia che incontrò altri due celebri poeti greci Simonide di Ceo e Bacchilide, suoi rivali nella composizione. In forma maggiore rispetto a questi, Pindaro - di spirito religioso e profondamente devoto alle tradizioni aristocratiche - infuse nella sua opera quella concezione religiosa e morale della vita che gli permise - è il parere di molti critici - di mettersi alla pari, nei versi che scriveva, con l'eroe celebrato, anche nel caso si trattasse di un potente tiranno: il senso di questa operazione era che, mettendo in luce - immortalandola, appunto - l'impresa dell'eroe, il poeta poteva educare le nuove generazioni perpetuando gli antichi valori.
Interprete e méntore, quindi, della coscienza della grecità classica fusa in una unica identità culturale interna alla costante presenza del mito come garanzia storica, Pindaro viene ancor oggi ricordato attraverso un motto diventato celebre, riferito, appunto, ai suoi voli poetici (i voli pindarici, appunto), vale a dire quella proverbiale capacità di dare vita a momenti narrativi ricchi di passaggi e scarti improvvisi che se apparentemente poco curanti di una necessaria coesione logica arricchiscono il testo di una particolare carica di tensione.
Per il poeta latino Orazio, la poesia di Pindaro è da considerarsi inimitabile, e nonostante critici in epoca moderna ne abbiano ridimensionato la figura, tacciandola di eccessiva adulazione nei confronti di coloro per i quali i versi erano stati scritti, non sono riusciti a negare l'oggettiva grandezza di una lirica che quasi in ogni sua parte tende al sublime e le cui immagini potentissime l'hanno giustamente fatta preferire a quella del pur impeccabile Bacchilide (v. Sul sublime).
Indice |
[modifica] Opere
La copiosa opera poetica di Pindaro - raccolta dai filologi alessandrini in diciassette libri - è giunta a noi in maniera parziale. Infatti la tradizione medievale ha conservato integralmente solo i quattro libri di epinici comprendenti le 14 olimpiche (celebre - anche se a parere di molti in un certo senso un po' autoreferenziale, la prima, nella quale viene celebrato - insieme alle vittorie equestri di Gerone, paragonate a quelle dell'eroe mitologico Pelope - il valore della poesia, capace di dispensare gloria immortale a chi si rende protagonista di imprese epiche), 12 pitiche, 11 nemee, 7 istmiche.
- Olimpiche
- Pitiche
- Nemee
- Istmiche
[modifica] Voci correlate
- Pindaro e Corinna
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