Socialismo liberale
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Il "socialismo liberale" era originariamente un movimento politico-culturale che mirava a conciliare le esigenze della dottrina liberale con quelle della dottrina socialista riformista.
Oggi il filone classicamente socialdemocratico si è incontrato con la tendenza sociale del liberalismo, sfociando in quella visione moderna della socialdemocrazia stessa, denominata "liberal-socialismo" ma anche secondo la definizione blairiana "socialdemocrazia liberale".
[modifica] Le origini
In Italia il socialismo liberale si espresse nel movimento clandestino Giustizia e Libertà, che darà vita durante la Resistenza agli omonimi reparti, e nel movimento liberalsocialista, nato nel 1936 tra gli emigrati antifascisti italiani per iniziativa di Guido Calogero e Aldo Capitini. Fu uno dei filoni politico-culturali confluiti nel Partito d'Azione.
Il principale contributo al pensiero socialista liberale fu dato da Carlo Rosselli. Secondo Rosselli il socialismo deriva dalla libertà, infatti esso "non è che lo sviluppo logico, sino alle sue estreme conseguenze, del principio di libertà. Il socialismo è liberalismo in azione, è libertà che si fa per la povera gente".
Il programma liberal-socialismo, fin dalle origini, proponeva in pratica il superamento della lotta di classe e del determinismo economico marxista, per una nuova forma di socialismo, rispettosa delle libertà civili e democratiche e in grado di realizzare una profonda modernizzazione delle strutture sociali e economiche del Paese.
In seguito alla scomparsa del Partito d'Azione però, l'area liberal-socialista si divise confluendo in parte nel Partito socialista italiano e in più larga misura nel Partito socialista democratico italiano e nel Partito repubblicano italiano.
[modifica] Considerazioni e attualità
Riflessioni in epoca più recente sono state condotte da Norberto Bobbio e Ralf Dahrendorf.
A proposito dei termini "socialismo liberale" e "liberal-socialismo", Norberto Bobbio osservava:
Anche se l'esperienza liberal-socialista nacque soprattutto ad opera di intellettuali di area socialista aperti al liberalismo, in fondo si può dire che all'interno di tale filone politico-culturale hanno trovato spazio anche intellettuali di area liberale aperti alla socialdemocrazia (all'epoca non era infatti nato ancora il moderno liberalismo sociale).
Il socialismo liberale attuale non si pone in posizione critica verso il capitalismo ma si propone (come la socialdemocrazia moderna) di "umanizzarlo" in alcuni punti raggiungendo la cosiddetta "economia sociale di mercato".
I laburisti inglesi, già teorici del socialismo democratico e riformista in un periodo in cui le ideologie marxiste erano egemoni nei partiti socialisti europei, negli anni '80 furono anche i primi a mettere in pratica le teorie liberal-socialiste, facendo di esse la parte più dinamica della socialdemocrazia moderna, che infatti è oggi detta anche "socialdemocrazia liberale". Questo filone culturale è oggi egemone all'interno del socialismo democratico ed è in contrapposizione con la cosiddetta "sinistra socialista" [citazione necessaria](più tradizionalista).
Oggi peraltro non esiste nessuna forza politica italiana (che abbia rappresentanza in Parlamento) che si dica esplicitamente liberalsocialista. Solo nel nuovo PSI di De Michelis, si è aperta la discussione sull'uso di tale definizione. Tuttavia non mancano politici ed intellettuali italiani che si professano socialisti liberali: tra gli altri, Giuliano Amato, Giuseppe Caldarola, Lanfranco Turci, Nadia Urbinati, Maffettone, Gianfranco Pasquino, ecc.