Summonte
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Stato: | ![]() |
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Regione: | ![]() |
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Provincia: | ![]() |
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Coordinate: |
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Altitudine: | 730 m s.l.m. | ||
Superficie: | 12 km² | ||
Abitanti: |
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Densità: | 130 ab./km² | ||
Frazioni: | Starze ; Embreciera | ||
Comuni contigui: | Avellino, Capriglia Irpina, Mercogliano, Ospedaletto d'Alpinolo, Pannarano (BN), Pietrastornina, Quadrelle, Sant'Angelo a Scala, Sirignano, Sperone | ||
CAP: | 83010 | ||
Pref. tel: | 0825 | ||
Codice ISTAT: | 064105 | ||
Codice catasto: | L004 | ||
Nome abitanti: | Summontesi | ||
Santo patrono: | San Nicola di Bari | ||
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Summonte, piccolo comune della provincia di Avellino, ad oltre 700m sul livello del mare, adagiato in posizione amena sulle falde orientali del Partenio, ha origini antichissime, attestate dai ruderi ultra millenari del castello e dal nome latineggiante (Summonte deriva da Sub monte, sotto il monte).
[modifica] Storia
Il ritrovamento di alcune tombe di epoca pre romana, probabilmente osche, dimostra che il territorio di Summonte è stato abitato da tempi remoti. Il primo documento che sì riferisce a Summonte è del 769 ed è costituito da una donazione di un patrizio longobardo di nome Leo all'Abbazia di Montecassino. Tale donazione comprende delle "curtes" curti, toponimo di un'ampia contrada Summontese in adiacenza al territorio di Avellino e Summonte, che nell'atto viene indicato con il nome Transmonte, probabilmente, come ritiene lo storiografo Scandone, per la sua posizione rispetto a Benevento, dove venne rogata la donazione. Da documenti successivi, custoditi nell'Archivio di Montevergine, risulta che nel territorio di Summonte, esisteva una chiesa dedicata a Maria SS. di Montevergine molto prima della fondazione del santuario dedicato alla Madonna da San Guglielmo, compravendita del 1025, e che nel 1037, contratto di affitto si coltivava il gelso per l'allevamento del baco per la produzione della seta. L’atto è il più antico documento sulla bachicoltura in Italia ed è recensito dagli storiografi più autorevoli. Con i Normanni Summonte passò alla condizione di feudo e, concesso intorno al 1130 a Raone Malerba, un nobile di origine franca al seguito dei Normanni, rimase sotto il dominio dei Malerba per oltre due secoli fino alla morte dell'ultima discendente, Francesca Malerba, priva di figli. I Malerba goderono della stima e protezione dei regnanti dell'epoca, soprattutto con Robeno, che fu nominato giustiziere della Calabria dal grande impertaore Federico II del Sacro Romano Impero. Essi, a differenza dei successivi feudatari, vivevano nel castello di Summonte. Ai Malerba, dopo un breve periodo in cui fu feudatario un figliastro di Francesca, successe la famiglia Della Leonessa, poi ci furono gli Spinelli fino ai Doria, che rimasero feudatari di Summonte per oltre duecento anni fino alla eversione della feudaliti, sancita nel regno di Napoli sotto Giuseppe Bonaparte nel 1806. Sotto i Borboni, ritornati a Napoli con la restaurazione, fu costituito a Summonte un attivo nucleo carbonaro "I Pitti del Partenio" all'O. di Summonte che ebbe come esponenti più importanti i fratelli Severino e Vincenzo De Cristofaro, condannati all'esilio per lunghi anni. Summonte ha dato i natali all'on. Paolo De Cristofaro, fondatore di un quotidiano di importanza e diffusione nazionale, il Popolo di Roma, e ad Alessio De Vito, che fu decorato da vivente della medaglia d'oro al valor militare per la gloriosa impresa compiuta nel 1941 nella baia di Suda con i mezzi di assalto della marina militare, un prodigio di tecnica ed ardimento che ci impose all'ammirazione degli stessi nemici del tempo.
[modifica] La Torre
Nell’attuale centro storico, in posizione dominante sulla valle, sorgeva un fortilizio con il nome di castrum submontis (il toponimo sottintende tra sub e montis il termine “radicibus”, in quanto la preposizione latina su, come si sa, regge l’ablativo e non il genitivo) che aveva la funzione di difesa di Abellinum lungo la via antica, che nel medioevo ebbe il nome di campanina, il cui percorso era sostanzialmente quello dell’attuale strada provinciale (fino a poco tempo fa statale 374 di Summonte) che collega Avellino alla Valle Caudina. I Longobardi occuparono il territorio con le loro famiglie ed erano estremamente diffidenti verso la popolazione locale. Preferivano vivere in quartieri separati e ben protetti, cosicché il fortilizio di Summonte, già esistente, rappresentò il luogo ideale per una sicura dimora. Una volta insediatisi, adattarono la fortificazione alle loro esigenze, ampliandola e rafforzandola con la costruzione di una torre, che, a differenza di tutte le altre costruite nel Beneventano dai Longobardi, ebbe base circolare e non quadrata,probabilmente in dipendenza della sua posizione dominante ed isolata. Verso la fine dell’undicesimo secolo dopo Cristo, Summonte fu concesso in feudo ai Malerba, una famiglia franca al seguito dei Normanni ed il castello con la torre divenne la residenza del feudatario. Il Castello fu notevolmente ampliato con la costruzione di abitazioni per i servi e per i soldati e di una chiesetta, fino a costituire un borgo interamente murato, con ingresso principale dall’attuale arco San Nicola. Nel periodo Angioino il castello ebbe il suo assetto definitivo e la torre fu ristrutturata, fino ad assumere la forma tipica delle torri di detto periodo, riscontrabile nel rudere preesistente ai recenti lavori, che lo avrebbero dovuto restaurare e non trasformarlo, come si è fatto, con discutibile disinvoltura. I rilievi aerofotogrammetici a raggi infrarossi effettuati nel giugno 1980 da esperti incaricati dal Comune hanno consentito di avere un quadro abbastanza fedele del preesistente castello: al centro di esso si ergeva la maestosa torre, dalla cui sommità era possibile sorvegliare l’intera zona. In caso di necessità essa serviva da ridotto per l’estrema difesa. Il castello era circondato da una prima fila di mura perimetrali con quattro capisaldi, che suddividevano le mura in altrettanti tratti, ciascuno lungo una cinquantina di metri. A valle, oltre l’anzidetta cinta di mura, in corrispondenza del caposaldo a sud-est della torre, vi erano delle formazioni murarie a semicerchio. Questa seconda cinta di mura rendeva molto difficile l’accesso agli eventuali aggressori e l’assalto alle difese fisse del castello, anche per la condizione naturale del terreno, che si elevava letteralmente a picco, era, se non impossibile, estremamente arduo. Al di sotto ed intorno alla torre vi erano cisterne, depositi e riservette varie, che permettevano di resistere anche ad un lungo assedio. Angusti e tortuosi corridoi sotterranei permettevano agli assediati di effettuare i collegamenti necessari in condizioni di sicurezza. La torre era priva di accesso diretto dall’area circostante. Esisteva un solo varco, sopraelevato rispetto al piano di campagna, e lo si poteva raggiungere solo a mezzo di funi o scale mobili. La torre era a due piani, divisi da solai di legno, comunicanti tra loro a mezzo di scalini ricavati dallo spessore del muro permetrale. Forse al di sotto di essa, nella parte interrata, vi era un passaggio sotterraneo molto stretto che la collegava agli accennati corridoi. E’ storicamente certo che nel castello, quando il feudatario era Roberto Malerba, fu rinchiuso, per ordine di Federico II il cavaliere lombardo Obertino da Mondello, fatto prigioniero nella battaglia di Cortenuova (22 novembre 1237) e che vi fu ospitato, nel marzo del 1440, quando il feudatario era Ottino Caracciolo, Renato d’Angiò, durante la sua sfortunata guerra contro Alfonso d’Aragona.
[modifica] Evoluzione demografica
Abitanti censiti