Parco della Favara

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La Favara (dall'arabo al-fawwāra, "la sorgente") fu il nome di un parco reale normanno di Palermo - chiamato anche "Castello di Maredolce".

Il Castello di Maredolce

Edificato per volere del re Ruggero II sulle rovine del Qaṣr Jaʿfar (il Palazzo di Jaʿfar), dal nome dell'emiro kalbita che governò Palermo dal 998 al 1019.

Il parco della Favara di Maredolce si trova al margine est di Palermo, dove termina il quartiere di Brancaccio. L'antico parco era costituito da un Castello di delizie e da un bacino artificiale di 40 ettari. Il bacino pare che fosse preesistente dall'epoca romana, mentre il castello di epoca araba era appoggiato sulla riva. Questa era una tipologia gia in uso al Castello della Cuba. Al centro del bacino vi era un'isola raggiungibile solo in barca, e tutto il coplesso era circondato da lussureggianti giardini. Il parco della Favara si trova oggi ai margini di un quartiere di periferia, praticamente intatto nella superfice originale. La speculazione edilizia si è fermata ai margini del bacino, che raccolgliendo ancora le acque della montagna vicina, ha protetto il parco. Le sorgenti principali che lo alimentavano sono state invece captate dall'acquedotto comunale, appena a monte dell'autostrada A19. Il Castello di Maredolce è ancora esistente, ed è stato restaurato di recente, anche se purtoppo è chiuso al pubblico.

[modifica] I Sollazzi

Il parco della Favara faceva parte di un sistema di residenze reali di delizia, i "sollazzi", che godettero del massimo splendore sotto re Guglielmo II: la Cuba Sottana oggi Castello della Cuba, la Cuba Soprana (oggi villa di Napoli) con annessa la Cubula, entrambi all'interno di un ampio bacino lacustre artificiale contornato da vegetazione, il Castello della Zisa, e infine il Castello dell'Uscibene, l'unico di cui non resta piu traccia. Questo sistema di residenze impressionava molto i visitatori, tanto che alla Cuba, ad esempio, fu dato il nome di Jannat al-arḍ ("Il giardino - o Paradiso - della terra): il Genoardo. Non fu certamente un caso che proprio lì, alla Cuba, tra le acque e gli alberi che la circondavano, Boccaccio ambientò una delle novelle del suo Decameron. La sesta della quinta giornata. È la vicenda d'amore tra Gian di Procida e Restituta, una ragazzina bellissima di Ischia rapita da «giovani ciciliani» per offrirla in dono a Federico II d'Aragona. Quando Giovanni Boccaccio scrisse il Decameron, era già cominciato il declino dei parchi reali e anche di quella Palermo che per il geografo arabo Al-Idrisi era allora «la più grande e la più bella metropoli del mondo».

[modifica] Voci correlate

[modifica] Bibliografia

Nino Basile. "Palermo Felicissima", divagazioni di arte e di storia di Nino Basile, Palermo, per Francesco Sanzo, 1929.
Michele Amari, Storia dei musulmani di Sicilia, Catania, R. Prampolini,. 1933-9, 3 voll in 5 tomi.
Ahmad Aziz, A History of Islamic Sicily, Edinburgo, Islamic Surveys 10, 1975 (rist. Columbia U.P., 2000).
Francesco Gabrieli - Umberto Scerrato, Gli Arabi in Italia, Milano, Scheiwiller, 1979.
Adalgisa De Simone, "Palermo nei geografi e viaggiatori arabi del Medioevo", in: Studi Magrebini, II (1968), pp. 129-189.