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Battaglia di Aquilonia - Wikipedia

Battaglia di Aquilonia

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La battaglia di Aquilonia segna la definitiva cessazione delle Guerre sannitiche. In realtà ne segna la fine "ufficiale" perché altri scontri si verificheranno negli anni successivi fra Roma e i Sanniti ma, convenzionalmente, si assume che nella la battaglia di Aquilonia i Sanniti abbiano ricevuto una colpo tale da non riuscire a risollevarsi militarmente in maniera significativa e quindi cessare di essere un pericolo per la supremazia di Roma sull'Italia.

Tito Livio
Tito Livio

Quanto oggi conosciamo delle guerre sannitiche ci viene in massima parte da Tito Livio, lo storico padovano del I secolo; seguiremo quindi la falsariga del suo fondamentale testo Ab Urbe condita libri.

Indice

[modifica] Le guerre sannitiche

Tre conflitti e svariati scontri meno formalizzati vengono definiti "Guerre Sannitiche". Nell'arco di 67 anni l'area della Campania settentrionale, di cui non era ancora stato mai definito il popolo dominante, venne interessata dalla espansione di due delle più aggressive potenze locali: Roma che stava allargando l'area sottoposta al suo controllo e i Sanniti che, abbandonate le montagne dell'interno, stavano scendendo verso il mare. Entrambi i popoli cercavano di assicurarsi il dominio sulle fertili terre della Campania occupate dalle colonie greche prospicienti il mare Tirreno e dalla ricchissima Capua, avamposto meridionale del popolo etrusco.


Nonostante alcune dure sconfitte, l'episodio più famoso è quello delle Forche Caudine, Roma era riuscita a terminare in maniera favorevole le due precedenti guerre con i sanniti. Con la deduzione di colonie romane e latine nei territori del Sannio e cercando di vincolare i vinti con trattati diplomatici, Roma era sul punto di fermare l'avanzata dei sanniti e di riconfinarli fra le loro montagne.

La terza guerra sannitica vide questo indomito popolo allearsi con Etruschi, Umbri e Senoni per dare vita ad una lega che, data la sua estensione, avrebbe dovuto porre termine allo strapotere di Roma. Nella battaglia di Sentino (295 a.C.) i romani sbaragliarono le forze Celtiche e Sannite che combattevano assieme mentre a Chiusi venivano battuti dai coalizzati Umbri ed Etruschi.

A questo punto il sistema di alleanze antiromane saltò. I celti si ritirarono oltre l'Appennino nella zona di Senigallia, Gli Etruschi e gli Umbri dovettero accontentarsi di frenare i romani mentre i sanniti si ritrovarono da soli ad affrontare l'ira di Roma.

[modifica] Preparazione

[modifica] Sanniti

Nel 293 a.C. probabilmente i sanniti erano arrivati a utilizzare le loro ultime forze. Dopo alcuni decenni di battaglie, di uomini validi e atti alle armi non dovevano essere rimasti molti se, per ricostruire l'esercito, i capi sanniti dovettero ricorrere alle coercizioni psicologiche e fisiche che Livio ci descrive:

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« ...et deorum etiam adhibuerant opes ritu quodam sacramenti vetusto velut initiatis militibus, dilectu per omne Samnium habito nova lege, ut qui iuniorum non convenisset ad imperatoribus edictum quique iniussu abisset caput Iovis sacraretur. »
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« ...fecero ricorso agli dèi, iniziando con un antico rito sacro, facendo le leve in tutto il Sannio secondo una nuova legge, per la quale quelli che erano atti alle armi che non si fossero presentati all'editto dei capi o che si fossero allontanati senza permesso fossero immolati a Giove. »
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, X, 38., Mondadori, Milano, trad.: C. Vitali)

Raccolte così le necessarie truppe, tutto l'esercito di circa sessantamila uomini fu condotto ad Aquilonia, città degli Irpini vicini ai confini con l'Apulia. Un'area di circa duecento piedi di lato (60 metri circa) venne chiusa da graticci e coperta da tele. Il sacerdote Ovio Paccio, ricavato un antico rituale liturgico sannita dai Libri lintei offrì un sacrificio. Dopo il sacrificio, i più nobili e più agguerriti componenti dell'esercito sannita furono chiamati uno alla volta all'interno dell'area coperta dove erano presenti altari con attorno vittime uccise e ufficiali con le spade snudate. chi veniva fatto entrare doveva giurare che non avrebbe rivelato cosa accadeva nel recinto:

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« Dein jurare cogebant diro quodam carmine, in execrationem capitis familiaeque et stirpis composito, nisi isset in proelium quo imperatores duxissent et si aut ipse ex acie fugisset aut si quem fugientem vidisset non extemplo occidesset. »
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« Gli si richiedeva poi un altro giuramento stilato in una formula truce con la quale richiamava la maledizione sul proprio capo, sulla propria famiglia, sulla discendenza, se non avesse seguito i suoi duci nel combattimento a cui essi lo chiamavano, se fosse fuggito dalla battaglia, se non avesse ucciso immediatamente chi avesse visto fuggire. »
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, X, 38, Mondadori, Milano, trad.: C. Vitali)

Chi non giurava veniva immolato e il cadavere lasciato vicino all'altare, ovvio e macabro ammonimento per quelli che sarebbero stati introdotti in seguito.
Con questo metodo vennero scelti i primi dieci fra i migliori sanniti. Questi scelsero man mano i loro compagni fino a raggiungere il numero di sedicimila. Dotati di armi più vistose ed elmi impennacchiati per renderli più facilmente riconoscibili i componenti furono inquadrati nelle "coorti linteate" (secondo Livio così chiamate per la copertura di tela (lino) del recinto dei giuramenti.

Il resto dei sanniti, poco al di sotto come prestanza e qualità di guerrieri, e composto di circa 20.000 uomini fu fatto accampare vicino ad Aquilonia. Poiché Livio, poco sopra ci parla di una raccolta di sessantamila uomini si presume che i restanti combattenti fossero forze inviate da altri popoli alleati.

[modifica] Roma

Nel frattempo i consoli romani Spurio Carvilio Massimo e Lucio Papirio Cursore, raccolte le loro legioni, assaltarono ed espugnarono rispettivamente Aminterno e Duronia uccidendo e catturando circa settemila nemici a testa e, dopo aver saccheggiato il Sannio nella zona di Atina, si portarono: Papirio ad Aquilonia dove c'era la concentrazione della maggior parte delle forze sannite e Carvilio a Cominio, a circa venti miglia di distanza. seguì una serie di scaramucce ma i sanniti non rispondevano alle provocazioni accettando una aperta battaglia campale. I due consoli si mantenevano in stretto contatto e niente di quello che succedeva a Cominio era ignoto a Papirio come Carvilio era costantemente informato delle mosse del collega ad Aquilonia; le decisioni erano prese di comune accordo.

Infine Lucio Papirio si sentì pronto e mandò un messaggiero a Spurio Carvilio informandolo che, se gli auspici fossero stati favorevoli, avrebbe attaccato i sanniti il giorno seguente. A copertura della sua azione sarebbe stato utile che Carvilio attaccasse la città di Cominio per impedire che da lì potesse partire un contingente sannita in aiuto dei conterranei di Aquilonia. Il messaggero, nella notte, tornò con la risposta di Papirio che approvava il piano del collega.

Lucio Papirio, chiamati i soldati, tenne il "solito" discorso. Questa volta, però, furono sottolineati alcuni particolari che rendevano differente la situazione rispetto ad altre simili. Il console ricordò che suo padre aveva già affrontato una legione sannita impennacchiata e rilucente di corazze d'oro e d'argento e quelle armi, belle ma sconfitte, erano servite per adornare i templi di Roma e degli alleati (310 a.C. - v. Livio IX,40). Così, secondo Papirio, era probabile che gli dèi, adirati per la rottura dei giuramenti fatta dai sanniti, offrissero al suo nome e alla sua famiglia l'onore di riportare a Roma le spoglie più belle dell'esercito nemico. Le legioni romane si animarono di spirito guerriero tanto da voler iniziare subito la battaglia. Ma era notte. Alla terza vigilia (poco dopo mezzanotte) Papirio convocò i pullari, gli aruspici che dovevano trarre auspici dal comportamento dei sacri polli, Uno dei pullari, infervorato, annunciò al console che i presagi erano favorevoli; i polli avevano dato vita a un "tripudium solistimum". Era falso; i polli -presagio infausto- avevano mangiato svoglatamente. Quando sarà informato della cosa Papirio si riterrà autorizzato a combattere lo stesso: a lui è stato riferito di un responso favorevole, la sacrilega bugia sarebbe ricaduta non sull'esercito ma sul pullario che in effetti fu il primo a cadere, colpito da un giavellotto nemico, prima ancora dell'inizio della battaglia.

[modifica] La battaglia

Papirio stava per scendere in campo quando un disertore informò i romani che circa venti coorti sannite (delle quaranta stanziate ad Aquilonia) erano partite alla volta di Cominio. Papirio diede l'ordine di accelerare l'avanzata e pose Lucio Volumnio all'ala destra, Lucio Scipione all'ala sinistra, Caio Cecilio e Tito Trebonio a comandare la cavalleria. Spurio Nauzio al comando degli ausiliari venne inviato con i muli e tre coorti a generare un grande polverone su una collina. Nel frattempo un messaggero venne mandato a informare l'altro console della partenza delle venti coorti alla volta di Cominio.

Lo scontro ebbe inizio. I romani convinti di essere favoriti dagli dèi; i sanniti, legati dal giuramento religioso.

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« Instare Romanus a cornu utroque a media acie et caedere deorum hominumque attonitos metu; repugnatur segniter, ut ab iis timor moraretur a fuga. »
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« Grande era la pressione dei Romani ai fianchi e al centro e larga la strage dei nemici svigoriti dal timore degli dèi e degli uomini; tiepida la resistenza, come di gente che non fugge per paura. »
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, X, 41., Mondadori, Milano, trad.: C. Vitali)

Le file sannite stavano già per cedere e le prime file dei romani erano quasi a contatto della retroguardia nemica quando su uno dei fianchi si vide sollevarsi uno grande polverone come quello di una grossa armata in arrivo, il luccicare delle insegne e quella che sembrava la polvere di un corpo di cavalleria. Si trattava, naturalmente, degli ausiliari affidati a Spurio Nauzio (oppure Ottavio Mecio che era il loro comandante).

Papirio gridò che la città di Cominio era caduta e che quelle in arrivo erano le legioni di Spurio Carvilio che, terminato il loro compito, venivano ad aiutare i commilitoni. I suoi legionari furono così incitati a porre fine alla battaglia prima che arrivassero gli altri a prendersi quell'onore. Papirio ordinò alla cavalleria di passare attraverso le file romane, fatte aprire per l'occasione, e di gettarsi sui nemici lancia in resta. La fanteria di Volumnio e di Scipione seguì la cavalleria facendo strage dei sanniti.

I combattenti sanniti cedettero. I ranghi delle coorti linteate vennero sconvolti. La fuga divenne generale e tutti, sia quelli che avevano prestato giuramento sia quelli che ne erano stati esonerati abbandonarono il campo superando la paura delle maledizioni e dei giuramenti.

La fanteria sannita venne ricacciata nell'accampamento o addirittura ad Aquilonia mentre i nobili della cavalleria si dirigono a Bovianum Undecimanorum. La cavalleria romana venne lanciata all'inseguimento della cavalleria sannita mentre la fanteria romana inseguì i corrispondenti reparti nemici. La fanteria di Volumnio si diresse verso l'accampamento sannita e lo conquistò di slancio. Scipione, che dovette attaccare la città difesa dalle mura, ebbe maggiori difficoltà.
Senza perdersi d'animo Scipione, incoraggiati i suoi uomini e postosi direttamente alla loro testa, fece formare la testuggine e riuscì a prendere il controllo di un tratto delle mura ma si dovette fermare per l'esiguità delle sue forze in quel settore.

Papirio non era al corrente della situazione e stava cercando di radunare l'esercito dato che la notte si stava avvicinando. Visto però che l'accampamento sannita era stato conquistato si diresse verso Aquilonia da dove sentiva giungere rumori di combattimento. Alla vista delle truppe di Scipione sulle mura e rendendoci conto che la situazione andava sfruttata al massimo, Papirio ordinò l'assalto alla città. A causa del calare delle tenebre però, i romani riuscirono a consolidarsi solo nel quartiere a ridosso delle mura e vicino alla porta conquistata.

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« Nocte oppidum ab hostibus desertum est. »
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« Nel corso della notte i nemici abbandonarono la città. »
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, X, 42., Mondadori, Milano, trad.: C. Vitali)

[modifica] Dopo la battaglia

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« Caesa illo die ad Aquiloniam Samnitium mila viginti trecenti quadraginta, capta tria milia octingenti septuaginta, signa militaria nonaginta septem. »
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« In quella giornata intorno ad Aquilonia i sanniti ebbero ventimila e trecentoquaranta morti; i prigionieri furono tremilaottocentosettanta, le insegne militari conquistate novantasette [...] »
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, X, 42, Mondadori, Milano, trad.: C. Vitali)

Spurio Carvilio, l'altro console, non fu da meno e conquistò Cominio.

Una nota particolare è data dalla sorte delle venti coorti inviate da Aquilonia a Comino; Spurio Carvilio, informato del loro arrivo, aveva mandato il legato Decimo Bruto per opporsi alla loro marcia mentre il resto dell'esercito era impegnato nell'assalto alle mura. Ma le venti coorti, giunte a sette miglia da Cominio furono richiamate ad Aquilonia e così non parteciparono né a una battaglia ne all'altra. Erano tornate in prossimità dell'accampamento di Aquilonia e stava cominciando ad annottare quando, udite le urla dalla città, viste le fiamme salire dal loro accampamento e non sapendo cosa fare, si gettarono a dormire sulla nuda terra. Il mattino seguente i sanniti, scoperti dalle pattuglie della cavalleria romana e dalla fanteria che stava in città, furono costretti a fuggire. Persero duecentoottanta componenti della retroguardia e diciotto insegne militari e, gettate le armi, favoriti dalla grande confusione, riuscirono a rifugiarsi a Boviano.

[modifica] Voci correlate

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