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Crisi di salinità del Messiniano - Wikipedia

Crisi di salinità del Messiniano

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Mappa del Mediterraneo, con la morfologia dei fondali
Mappa del Mediterraneo, con la morfologia dei fondali

La crisi di salinità del Messiniano o evento messiniano è il nome che viene assegnato a quell' evento geologico durante il quale le acque del mar Mediterraneo evaporarono quasi completamente durante il periodo Messiniano a causa della chiusura dello Stretto di Gibilterra.

Indice

[modifica] La scoperta

Nel 1961, una campagna di rilevamento sismico del fondo del Mediterraneo rivelò l' esistenza di un livello sismico fortemente riflettente, con una continuita' laterale e delineante una struttura geologica ad una profondità compresa tra 100 e 200 m al di sotto del fondo marino. Questo livello, denominato M reflector, segue fedelmente la morfologia del fondo marino attuale, suggerendo la presenza di un livello con caratteristiche di uniformità ed elevata velocità delle onde sismiche. Trivellazioni eseguite dieci anni più tardi dalla nave oceanografica Glomar Challenger, durante la tredicesima campagna del progetto DSDP (Deep Sea Drilling Program), rivelò la natura dell'M reflector: si tratta di un livello di sedimenti evaporitici, con spessore fino a 3 km .

[modifica] Evidenze sperimentali

Campioni di sedimenti prelevati, che includono evaporiti, suolo, e piante fossili, mostrano che circa 5,9 milioni di anni fa, nel tardo Miocene, il precursore dell'odierno stretto di Gibilterra si chiuse ed il Mediterraneo evaporò e si trasformò in una conca prevalentemente asciutta e profonda, la cui base che alcuni punti raggiungeva 3,2 - 4,9 km al di sotto del livello degli oceani[1].

Tuttora il Mediterraneo è un mare molto più salato del nord atlantico poiché comunica con questo solo attraverso lo stretto di Gibilterra ed è soggetto ad un alto tasso di evaporazione, non globalmente compensato dall'apporto idrico delle acque dei fiumi che vi si riversano. Se lo stretto di Gibilterra si dovesse chiudere nuovamente, come potrebbe avvenire anche in un futuro non troppo lontano dal punto di vista geologico, e il canale di Suez si dovesse chiudere, il Mediterraneo potrebbe nuovamente prosciugarsi in un migliaio di anni.

La prima evidenza consistente dell’antico disseccamento del Mediterraneo venne nell’estate del 1970, quando i geologi a bordo della Glomar Challenger recuperarono dai sondaggi condotti sul fondale carote contenenti ghiaie e silt rosso-verdi di origine fluviale, oltre che gessi, anidrite, salgemma e varie altre rocce di origine evaporitica (derivate cioè dalla precipitazione di sali da acque marine soprasature. In alcuni campioni erano presenti minerali di cloruro di potassio, un sale estremamente solubile che precipita solamente con l’evaporazione delle ultime acque prima del disseccamento.

Una carota era costituita da sedimenti contenenti gusci calcarei di Foraminiferi planctonici, organismi unicellulari marini, i cui resti normalmente si trovano entro sedimenti depostisi in acque profonde (di solito caratterizzati da laminazione parallela molto regolare o assenza di strutture sedimentarie). Invece, i sedimenti rinvenuti nella carota erano caratterizzati da una laminazione incrociata (riferibile ad un ambiente deposizionale caratterizzato da correnti). Per questa ed altre caratteristiche, i depositi in questione erano interpretabili come sedimenti di origine eolica, non marina: si trattava in realtà di antichi sedimenti marini di piana abissale, disseccati, trasportati dal vento e deposti infine sul fondo asciutto di un antico lago salato. Questi depositi eolici erano intercalati da livelli contenenti fossili marini, e indicavano quindi l’alternarsi di periodi di disseccamento e di inondazione da parte di acque marine. Inoltre, strutture poligonali da disseccamento sono state rinvenute in antichi sedimenti fangosi essiccati e screpolati dall’azione del sole.

Altre evidenze del disseccamento del Mediterraneo derivano dalla presenza di antichi canyon (ora colmati da sedimenti), scavati ai margini della depressione dall’erosione dei fiumi (che allora scendevano scorrendo fino alle piane abissali asciutte). Le prospezioni sismiche eseguite sui fondali dei grandi laghi lombardi (Lago Maggiore, Lago di Como, Lago d’Iseo e Lago di Garda), hanno permesso di evidenziare la presenza di questi canyon sepolti, con tipici profili a V di origine fluviale, molto al di sotto dell’attuale livello del mare. Analoghi studi condotti in Egitto per la costruzione della diga di Assuan hanno permesso di stabilire che il Nilo è arrivato in corrispondenza di Assuan a scavare il proprio letto alcune centinaia di metri sotto il livello del mare attuale. Altri rilievi sismici nella regione dell'attuale delta per la ricerca di idrocarburi, hanno individuato il letto messiniano del paleo-Nilo circa 2400 m sotto il livello del mare attuale in corrispondenza del Cairo.

L’area mediterranea fu quindi sottoposta a fasi cicliche di disseccamento ed inondazione per circa 700.000 anni. Poi, circa 5,4 milioni di anni fa, all’inizio del Pliocene, la soglia corrispondente all’attuale Stretto di Gibilterra si aprì di nuovo permanentemente, portando al riempimento del bacino del Mediterraneo. In seguito alcuni di questi depositi messiniani sono stati sollevati da spinte tettoniche durante le più recenti fasi orogeniche ed affiorano attualmente nell' Italia peninsulare e in Sicilia, ove costituiscono i terreni della Formazione gessoso-solfifera, e nella parte nord-orientale della Libia.

[modifica] Datazione e cronologia dell' evento

L’inizio della crisi di salinità è posto sulla base di dati biocronologici e geocronologici 5,96 ± 0,02 milioni di anni fa, ed ebbe luogo contemporaneamente in tutto il bacino del Mediterraneo. Quest’ultimo rimase completamente isolato rispetto all’Oceano Atlantico da 5,59 a 5,33 milioni di anni fa.

Durante le fasi iniziali (5,59-5,50 Ma), prevalsero fenomeni erosivi di grande estensione, che crearono grandi sistemi di canyon ai margini del bacino.

Le fasi più recenti (5,50-5,33 Ma) sono caratterizzate dalla deposizione ciclica di depositi evaporitici entro bacini ampi e generalmente poco profondi di “lago-mare”.

[modifica] Cause della chiusura dello Stretto di Gibilterra

Nel Miocene Superiore (Tortoniano), sono state rinvenute in Spagna meridionale e in Marocco le prove geologiche e paleontologiche della presenza di più vie d’acqua che collegavano l’Oceano Atlantico e il Mediterraneo. È dubbio che fosse già aperto un precursore dell’attuale Stretto di Gibilterra, che dalla maggior parte degli autori è considerato di età pliocenica. In compenso, vi erano due vie d'acqua principali: il “Corridoio Betico” (Spagna) e il “Corridoio Rifeano” (Marocco settentrionale). Queste ultime due vie d’acqua erano epicontinentali (cioè localizzate su crosta continentale) e con profondità piuttosto bassa (da poche decine a poche centinaia di metri). L'evidenza stratigrafica e paleontologica emergente dagli studi sui sedimenti di queste due aree, indica una progressiva diminuzione della profondità di questi canali naturali a partire da 7,2 Ma, con emersione definitiva a circa 6,1 Ma, come indicato anche dalle prove di scambio faunistico tra Africa e Spagna (Garcés et al., 1998) compatibili con quest'ultima datazione.

Diverse possibili cause, talora contrastanti, sono state prese in considerazione per spiegare la chiusura delle vie d'acqua con l'Atlantico. Tre sono i principali filoni di ipotesi:

  • raccorciamento crostale orizzontale, conseguente all'attività di falde tettoniche
  • abbassamento del livello marino, stimato in circa 60 m, in seguito all’inizio di una glaciazione;
  • sollevamento tettonico dell’area;

Attualmente, è accettata largamente dagli autori la concorrenza di tutti e tre questi fenomeni. Tuttavia, la terza ipotesi è quella accreditata del contributo più elevato alla chiusura della soglia atlantica.

L'abbassamento eustatico di 60 m è infatti giudicato insufficiente da solo a provocare la completa chiusura dei corridoi, e inoltre le età di inizio della deposizione evaporitica nel Mediterraneo e quella dell'inizio del raffreddamento nelle aree oceaniche, desunte da studi sugli isotopi dell'ossigeno nei gusci dei Foraminiferi, non corrispondono. Anche il raccorciamento tettonico sembra poco probabile come causa determinante, in quanto le evidenze geologiche indicano che questo tipo di attività cessò prima del Miocene superiore (anche se indubbiamente causò una notevole riduzione delle vie d'acqua).

In ogni caso, sono state rinvenute evidenze di una interazione tra crosta e mantello terrestre a sostegno dell'ipotesi del sollevamento. Rocce vulcaniche di età miocenica e pliocenica sono presenti nel bacino di Alboran, nel Mediterraneo occidentale. Dati geochimici e isotopici (Duggen et al., 2003) acquisiti su queste rocce indicano la presenza di due tipi di vulcanismo diversi: uno caratterizzato da rocce vulcaniche felsiche (ricche di ferro e silice), tipiche di una zona di subduzione, unitamente a rocce mafiche (ricche di ferro e magnesio), di origine astenosferica. Le rocce di tipo felsico sono collegabili ad un piano di subduzione situato sotto la Spagna meridionale (Cordigliera Betica) e la catena del Rif nel Marocco settentrionale, probabilmente tuttora attivo (Gutscher et al., 2002). La migrazione verso Ovest della zona di subduzione potrebbe aver causato sia la variazione del chimismo vulcanico (databile a 6,3 Ma) che un processo di sollevamento tettonico nell’area in questione. Secondo il modello proposto da Duggen et al. (2003), il lembo di crosta oceanica in fase di subduzione avrebbe causato un flusso di materiale astenosferico ad alta temperatura e relativamente bassa densità contro la base della crosta continentale soprastante. La presenza di questa massa tendente al galleggiamento avrebbe potuto produrre secondo gli autori citati un sollevamento fino ad un migliaio di metri, più che sufficiente a chiudere la soglia di Gibilterra e le vie d’acqua collegate.

[modifica] Ciclicità e bilancio idrico

L’enorme volume delle evaporiti messiniane non si sarebbe potuto deporre durante un singolo evento di disseccamento, in altre parole l' evaporazione del singolo volume di tutta l'acqua marina contenuta nel Mediterraneo avrebbe prodotto una massa volumetrica di rocce evaporitiche ben inferiore a quella complessivamente stimata depostasi durante il messiniano. Di conseguenza una descrizione della crisi di salinità messiniana deve includere ripetuti cicli di riempimento del bacino per giustificare il bilancio volumetrico dei sedimenti evaporitici depostisi. Questa sequenza di evaporazione e riempimento è confermata dalla natura di questi depositi indicanti l’occorrenza di diversi cicli durante i quali il Mediterraneo fu completamente disseccato e nuovamente riempito d’acqua.

L’esame della carota del sito DSDP 124 [2] ha permesso di ricavare diverse informazioni su questa ciclicità sedimentaria:

“Il sedimento più antico di ciascun ciclo avrebbe potuto essersi deposto sia in ambiente marino profondo, sia in un grande lago salmastro. Questi sedimenti fini, sono caratterizzati da una laminazione perfettamente parallela, quindi si depositarono su un fondale di acque profonde, o comunque un ambiente deposizionale a bassa energia del mezzo. Con ogni chiusura dello stretto di Gibilterra, inizia il progressivo disseccamento del bacino con la conseguente diminuzione della profondità delle acque causata dall' evaporazione; la laminazione osservabile nei sedimenti carotati diviene più irregolare, indicando un incremento dell’energia dell' deposizionale per la crescente influenza del moto ondoso (ovvero per la maggiore vicinanza dell' ambiente subaereo). Successivamente, con l’instaurarsi di condizioni intertidali (entro la zona di escursione della marea), si formarono laminazioni stromatolitiche. Infine, la piana tidale venne completamente disseccata trasformandosi in una sabkha, testimoniata dal rinvenimento di noduli di anidrite, caratteristici di questo ambiente sedimentario, precipitati nel terreno ad opera di soluzioni saline circolanti."

Questi depositi anidritici assumono spesso un aspetto contorto (simili ad anse intestinali, da cui il nome di depositi “enterolitici”), per la concentrazione di noduli in allineamenti irregolari e per la locale reidratazione dell’anidrite in gesso con conseguente aumento di volume.

"Improvvisamente, con la tracimazione di acque marine dalla soglia di Gibilterra oppure a causa di un apporto anomalo di acqua dai laghi salmastri che occupavano gran parte dell’Europa orientale, la piana abissale balearica fu di nuovo inondata. I depositi anidritici enterolitici vennero quindi ricoperti dai sedimenti fangosi dell’inondazione successiva. Questo tipo di ciclo si ripeté per almeno otto o dieci volte durante il milione di anni circa che costituiscono il periodo messiniano.” [3]

La riapertura episodica del collegamento con l'Atlantico durante l'evento di disseccamento messiniano è documentata dalla presenza di faune e microfaune appartenenti alla provincia faunistica atlantica. Nell'attuale bacino del Mare Egeo, durante il Messiniano era presente un vasto bacino di lago-mare salmastro, alimentato in parte dai fiumi circostanti e in parte dalle acque della Paratetide attraverso una via d'acqua corrispondente all'attuale Mare di Marmara. In questo mare interno, chiamato convenzionalmente nella letteratura geologica "Egemar", si è deposta una serie composta prevalentemente da carbonati contenenti una fauna di ambiente salmastro. Sono presenti tuttavia almeno cinque livelli con specie mediterranee, di ambiente a salinità normale (Sakinc M. e Yaltirak C., 2005), che indicano il ristabilimento temporaneo della via d'acqua atlantica.

[modifica] Modelli deposizionali

A partire dal ritrovamento dei sedimenti evaporitici messiniani, al di sotto dei fondali meditteranei, inizio' una lunga pluridecennale disputa talora con aspri toni, fra diverse scuole geologiche, riguardo alla loro interpretazione e possibili modelli deposizionali. L'interpretazione delle facies e degli ambienti deposizionali è ancora controversa e i modelli applicati dagli studiosi tutt'altro che univoci. Vi sono tuttavia alcuni punti fermi da tenere presenti:

  • Le evaporiti non affioranti si trovano sotto i sedimenti plio-quaternari di piede di scarpata e di piana sottomarina, ove si raggiungono gli spessori massimi dei sali (stimati fino a 2000 m): quindi il massimo accumulo di evaporiti sembrerebbe corrispondere ai depocentri dei bacini attuali.
  • Il complesso evaporitico poggia su sedimenti pre-evaporitici di mare profondo (torbiditi e sedimenti di piana abissale)
  • Le formazioni evaporitiche sono associate a facies clastiche terrigene prevalentemente marine piuttosto che carbonatiche o continentali, e a sedimenti pelitici euxinici.
  • le facies evaporitiche stesse sono piuttosto varie. Abbiamo quasi tutto il campionario: dalle facies di sabkha alle lagune sovra-salate, ai laghi effimeri di ambiente desertico, ai bacini di lago-mare sotto-salati. Sono molto frequenti i fenomeni di erosione e ri-sedimentazione del materiale evaporitico.


Le ipotesi sui modelli deposizionali si raggruppano intorno a tre correnti principali:

[modifica] Bacino poco profondo disseccato.

Evoluzione del Mediterraneo nel Messiniano-ipotesi Bacino poco profondo disseccato. Da Ricci Lucchi (1980); modificato
Evoluzione del Mediterraneo nel Messiniano-ipotesi Bacino poco profondo disseccato. Da Ricci Lucchi (1980); modificato

Sostenuto principalmente da studiosi francesi (Nesteroff, 1973).

Secondo questa teoria, il bacino del Mediterraneo sarebbe stato nel Messiniano un mare relativamente poco profondo (al massimo 500 m): gli attuali bacini profondi si sarebbero formati posteriormente al Messiniano per rapida subsidenza. La deposizione evaporitica viene spiegata mediante un modello classico di bacino interno di tipo lagunare, chiuso o con limitata comunicazione rispetto all'oceano. Nata negli anni '70, questa teoria gode di sempre minor credito per la difficoltà di spiegare la grande variabilità di situazioni con un modello semplice, e per le chiare incongruenze rispetto a diverse evidenze sopra riportate (ad esempio, non è in grado di spiegare i canyon fluviali erosi ben al di sotto dell'attuale livello del mare).

[modifica] Bacino oceanico aperto e bacini marginali.

Elaborata dal geologo italiano Raimondo Selli (1973), questa ipotesi non prevede la chiusura di Gibilterra e nemmeno un vero e proprio disseccamento del mediterraneo. [4]

Gli attuali bacini profondi sarebbero stati pieni d'acqua marina a salinità normale e comunicanti con l'Atlantico. La deposizione delle evaporiti sarebbe avvenuta sui margini dei bacini principali per deposizione subacquea, oltre che in bacini marginali relativamente poco profondi. Le evaporiti sarebbero state in parte ri-sedimentate da slump (scivolamenti gravitativi sin-sedimentari di sedimenti poco consolidati) e correnti torbide. La teoria contrasta con diverse evidenze; principalmente:

  • la presenza di evaporiti molto solubili (salgemma) non rimaneggiate nei depocentri dei bacini profondi attuali, incompatibile con l'ipotesi di bacini aperti a salinità normale (non si sarebbero potute deporre, e comunque si sarebbero sciolte in breve);
  • la presenza negli stessi di evaporiti deposte sia in ambiente subacqueo che di sabkha (vedi sopra);
  • l'assenza di fossili diagnostici di mare aperto o profondo (se non rimaneggiati da depositi più antichi) e la presenza di faune oligotipiche di mare basso;
  • la presenza dei sistemi di canyon marginali (dal momento che il disseccamento non sarebbe avvenuto, neppure il livello di base dell'erosione avrebbe dovuto cambiare).

[modifica] Bacino profondo disseccato.

Evoluzione del Mediterraneo nel Messiniano-ipotesi Bacino profondo disseccato. Da Ricci Lucchi (1980); modificato.
Evoluzione del Mediterraneo nel Messiniano-ipotesi Bacino profondo disseccato. Da Ricci Lucchi (1980); modificato.

Ideata e propugnata dal nucleo di studiosi collegati al gruppo della Glomar Challenger, è la teoria più seguita attualmente e sostanzialmente quella descritta in questo articolo:

[modifica] Fine del fenomeno

Quando si ebbe la riapertura dello stretto, all’inizio del Pliocene, le acque dell’Atlantico si riversarono in grande quantità entro un canale relativamente stretto: questo diede origine verosimilmente a cascate di dislivello e potenza superiori a qualunque cascata attuale.

Tale fenomeno ebbe però probabilmente vita molto breve (poche centinaia o migliaia di anni), in quanto le evidenze geologiche, ad esempio la Formazione dei Trubi in Sicilia, indicano la presenza di sedimenti marini profondi con faune a Foraminiferi planctonici e a Foraminiferi bentonici di elevata profondità immediatamente sopra gli ultimi depositi messiniani, senza interposizione di facies di mare basso. L’apertura della soglia di Gibilterra dovrebbe quindi essere avvenuta assai rapidamente (da un punto di vista geologico) ed in profondità. Secondo alcune stime, il riempimento del Mediterraneo potrebbe aver richiesto non più di un centinaio di anni, con una portata superiore di cento volte a quella delle Cascate Vittoria su un fronte di alcuni chilometri (West, 2002).

Rilievi sismici condotti nella parte occidentale del Mare di Alboran hanno evidenziato la presenza di canyons orientati Est-Ovest, che costituiscono la continuazione verso oriente dello stretto entro la scarpata continentale (Loget et al., 2005.), e che furono verosimilmente la sede delle megacascate di Gibilterra.

[modifica] Il Mediterraneo messiniano

[modifica] Paleogeografia

Il concetto di un bacino del Mediterraneo completamente disseccato ha diverse affascinanti implicazioni:

  • L’area dello Stretto di Gibilterra aveva sicuramente una configurazione molto diversa dall’attuale, per la presenza di una soglia verso l’Oceano Atlantico.
  • L’area mediterranea era suddivisa in depressioni locali di profondità variabile dalle poche decine e centinaia di m sotto l’attuale livello marino del Canale di Sicilia (allora un vero altopiano), ai –3800 m del Mare Tirreno, un vero e proprio fondale oceanico allora disseccato, con soglie molto pronunciate che li separavano.
  • I margini del bacino, come già accennato erano interessati da spettacolari sistemi di canyon, in gran parte di scala paragonabile a quella del Grand Canyon o superiore.

[modifica] Paleoecologia

L’elevato livello di salinità era sicuramente incompatibile con la maggior parte delle specie animali e vegetali. La temperatura era inoltre molto elevata durante l’estate, per probabili fenomeni di riscaldamento adiabatico, come confermato dalla presenza di anidrite, minerale che si deposita solamente a temperature superiori a 35 °C.

Nonostante queste condizioni ambientali estreme, il bacino disseccato non era tuttavia privo di vita: i sedimenti dei bacini di lago-mare sono infatti talvolta ricchi di fossili, sia di invertebrati (Foraminiferi, Diatomee, Crostacei, Molluschi) che di vertebrati (pesci), che di vegetali (frammenti di alghe e piante superiori). Si tratta di faune e flore adattate ad ambienti ad alta salinità o schizoalini (con ampie e improvvise fluttuazioni della salinità), o addirittura di ambiente sotto-salato (salmastro): infatti i periodici apporti di acqua dolce dalle aree orientali (Paratetide), e gli apporti locali dei fiumi (come ad esempio il Nilo) potevano indurre una variazione temporanea della salinità su vaste estensioni.

Nella maggior parte dei casi si osservano associazioni oligotipiche: caratterizzate cioè da un grande numero di esemplari appartenenti ad una sola o a pochissime specie (questo avviene in quanto l’adattamento peculiare a condizioni ambientali estreme di una specie, ne assicura il successo e la conseguente proliferazione esplosiva per assenza di competitori). Uno dei fossili più diagnostici di questo tipo di ambiente è il Foraminifero bentonico Ammonia beccarii, rinvenuto fossile nelle facies di lago-mare messiniane e presente anche attualmente nelle aree lagunari costiere italiane e sud-europee. La proliferazione di forme di vita negli strati d'acqua superficiali è testimoniata anche dalla presenza di marne e peliti bituminose, estremamente ricche di materia organica non ossidata, accumulatasi in condizioni anossiche.

[modifica] Effetti globali

La quantità d’acqua evaporata dal Mediterraneo deve essere stata redistribuita per opera delle precipitazioni meteoriche negli oceani di tutto il mondo, provocando un innalzamento del livello del mare fino a circa 10 m. D’altro canto, lo stesso Mediterraneo deve aver imprigionato entro i propri fondali una percentuale significativa (stimata intorno al 5%) del sale prima disciolto nelle acque oceaniche: questo portò ad una diminuzione della salinità media delle acque marine, abbassandone la temperatura di congelamento. Le acque oceaniche sarebbero passate quindi più facilmente allo stato di ghiaccio in presenza di basse temperature, abbassando la temperatura media della Terra e costituendo forse una delle cause concomitanti del successivo innesco delle glaciazioni quaternarie. Inoltre, il disseccamento del Mediterraneo provocò sicuramente drammatiche variazioni climatiche in tutta l’area e nelle regioni adiacenti, causando probabilmente l’insorgere di barriere ambientali che devono aver condizionato la distribuzione delle specie viventi e la loro migrazione.

[modifica] La crisi di salinità nell' immaginario

Le caratteristiche del fenomeno hanno affascinato diversi scrittori di fantascienza e fantasy, che ne hanno fatto un teatro d’eccezione per le vicende di romanzi e racconti. Esempi di esito notevole per la verosimiglianza descrittiva dell’ambiente messiniano e la buona documentazione scientifica sono quelli di Julian May, con la saga dell’esilio nel Pliocene, composta di quattro romanzi, e di Harry Turtledove con il romanzo Dramma nelle Terrefonde


[modifica] Note

  1. Clauzon, Georges, Suc, Jean-Pierre, Gautier, François, Berger, André, Loutre, Marie-France (1996). Alternate interpretation of the Messinian salinity crisis: Controversy resolved?. Geology 24 (4): 363–366. DOI:<0363:AIOTMS>2.3.CO;2 10.1130/0091-7613(1996)024<0363:AIOTMS>2.3.CO;2
  2. Kenneth J. Hsu, 1983
  3. Kenneth J. Hsu, 1983. The Mediterranean Was a Desert, Princeton University Press, Princeton, New Jersey. A Voyage of the Glomar Challenger.
  4. Selli I caratteri e i problemi del Messiniano

[modifica] Bibliografia

  • Svend Duggen, Kaj Hoernle, Paul van den Bogaard, Lars Rüpke and Jason Phipps Morgan, "Deep roots of the Messinian salinity crisis", Nature, (2003), vol 422,issue6932 pag. 602- 606 DOI:10.1038/nature01553
  • Geology 212, Lecture 17: "When the Mediterranean Dried Up". (Accessed 7/16/06)
  • W. Krijgsman et al., "Chronology, causes and progression of the Messinian salinity crisis" Nature 400, 652 - 655
  • Franco Ricci Lucchi (1980). Sedimentologia. Bologna, CLUEB. Parte 3, p. 430.
  • DSDP Leg 160 report
  • GARCES M, KRIJGSMAN W, AGUSTI J (1998), Chronology of the late Turolian deposits of the Fortuna basin (SE Spain): implications for the Messinian evolution of the eastern Betics, Earth & Planetary Science Letters, 163, 69-81
  • GILLET H., LERICOLAIS G, REHAULT J-P, & DINU C (2004), Was the Messinian event recorded in the Black Sea? Abstract given at 4th International Congress on Environment & Identity in the Mediterranean: The Messinian Salinity Crisis Revisited, at Corte, Italy, [1]
  • Gutscher, M A, Malod, J, Rehault, J-P, Contrucci, L, Klingelhoefer, F, Mendes-Victor and L, Spakman, W, 2002, Evidence for active subduction beneath Gibraltar, Geology, V. 30; p. 1071–1074.
  • LOGET N, VAN DEN DRIESSCHE J, & DAVY P (2005), How did the Messinian Salinity Crisis end?, Terra Nova, 17, 414419
  • Sakinc M. and Yaltirak C. (2005). Messinian crisis : What happened around the northeastern Aegean? Marine geology, vol. 221, n. 1-4, pp. 423-436.
  • WEST I (2002), The Messinian Salinity Crisis of the Mediterranean, Student Lecture Summary, [2]

[modifica] Voci correlate


[modifica] Collegamenti esterni

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