Gascromatografia
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La gascromatografia, nota anche come GC, è una tecnica cromatografica impiegata a scopo analitico.
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[modifica] Principio
Come tutte le cromatografie, si basa sulla diversa ripartizione di diverse sostanze tra una fase stazionaria ed una fase mobile, in funzione dell'affinità di ogni sostanza con la fase mobile, costituita da un gas inerte.
Con questa tecnica è possibile analizzare campioni gassosi, liquidi o solidi. La GC ha conosciuto il suo grande boom negli anni '60 e tuttora conserva una posizione di primo piano fra le tecniche di separazione di miscele complesse. L'unica grande limitazione della cromatografia in fase gassosa è rappresentata dal fatto che il campione deve essere volatile in un intervallo di temperatura compreso tra la ambiente e i 500°C circa, la temperatura comunemente raggiunta dai forni degli strumenti in commercio e compatibile con le colonne cromatografiche usate. Esiste tuttavia una lunga serie di applicazioni (a cominciare dall'analisi dei composti di per sé volatili e dei gas) che rendono molto utile la presenza del gascromatografo in ogni laboratorio di analisi.
I meccanismi di separazione che si sfruttano in gascromatografia sono sostanzialmente due:
- adsorbimento: la fase stazionaria è un solido sulla cui superficie si trovano dei siti attivi in grado di stabilire una serie di legami secondari (dipolo-dipolo, ponte idrogeno, Van der Waals, dipolo-dipolo indotto, ecc.) con le diverse molecole della miscela da risolvere, si parla perciò di cromatografia gas-solido (GSC, gas-solid chromatography).
- ripartizione: se la fase stazionaria è liquida si verifica una vera e propria solubilizzazione delle sostanze nella fase stazionaria che si ripartiscono tra le due fasi immiscibili. Si parla di cromatografia gas-liquido (GLC gas-liquid chromatography).
La fase stazionaria è generalmente costituita da un liquido non volatile supportato su una polvere che riempie uniformemente una colonna ("colonna impaccata") oppure distribuito come film sottile spesso qualche micrometro sulla parete interna di una colonna di lunghezza superiore ai 10 metri e di diametro inferiore al millimetro ("colonna capillare"). Tale liquido può variare a seconda dell'applicazione, ossia del tipo di composti che si intendono analizzare.
La fase mobile è un gas, detto anche gas di trasporto, gas vettore o gas carrier. Generalmente, vengono scelti gas chimicamente inerti, a bassa viscosità ed ottenibili ad elevata purezza quali l'azoto, l'elio o l'argon; per alcune applicazioni vengono anche utilizzati l'idrogeno o l'anidride carbonica.
[modifica] Strumentazione
Il campione, posto in testa alla colonna e sottoposto al flusso costante del gas di trasporto, viene separato nelle sue componenti in funzione di quanto queste siano affini (di solito per polarità) alla fase fissa; un'ulteriore variabile su cui si agisce spesso per migliorare la separazione è la temperatura della colonna, che può essere tenuta costante ("isoterma") o fatta variare secondo un gradiente desiderato.
Quando il campione esce dall'estremità finale della colonna (si dice che è stato eluito) viene raccolto da un rivelatore. Il diagramma che rappresenta il segnale generato dal rivelatore in funzione del tempo - fissato a zero l'istante in cui il campione è stato immesso nella colonna - è il cromatogramma del campione. Il cromatogramma si presenta come una sequenza di picchi di varia ampiezza ed altezza distribuiti lungo l'asse del tempo.
Dal tempo di ritenzione di ogni picco è possibile dedurre l'identità del composto eluito; dall'area o dall'altezza dei picchi è possibile dedurre le concentrazioni o le quantità assolute dei vari composti presenti nel campione analizzato, a seconda del rivelatore impiegato.
[modifica] Introduzione del campione
Il campione viene generalmente introdotto in colonna in ragione di pochi microgrammi (10-6 g), spesso previamente sciolto in un opportuno solvente, tramite una siringa.
Nella tecnica detta analisi dello spazio di testa si introducono invece in colonna non il campione, bensì i vapori da esso sviluppati in una fiala chiusa esposta ad un temperatura definita per un tempo prefissato.
Il campione può essere introdotto direttamente in testa alla colonna (introduzione on-column) o 'depositato' in un iniettore, dove viene vaporizzato ed eventualmente ripartito in modo che solo una parte di esso vada nella colonna analitica mentre la restante parte viene eliminata dalla linea dello split (iniezione split o splitless).
[modifica] Colonne
Le colonne si dividono in due classi distinte: impaccate e capillari.
Le colonne impaccate sono simili a quelle della tradizionale cromatografia su colonna; sono tubi di rame, acciaio o vetro di diametro dell'ordine del centimetro e lunghezza di un metro o più, piegati a spirale o a U e riempiti con la fase stazionaria costituita da un solido di supporto ed un liquido non volatile.
Il solido di supporto è spesso gel di silice, allumina o carbone, che viene impregnato del liquido che costituisce l'effettiva fase stazionaria. La scelta del liquido è funzione dei composti che si vogliono seprare. In genere si usa squalano, olio o grasso di silicone, glicoli polietilenici (Carbowax), oli di vaselina o trietanolammina, ma la scelta è estremamente ampia.
Le colonne capillari sono sottilissimi tubi di silice di diametro generalmente non superiore agli 0,53 millimetri e di lunghezza non inferiore ai 10 metri avvolte a spirale su un supporto metallico. La fase stazionaria è spalmata in maniera uniforme sulla superficie interna della colonna, dove forma un film di spessore costante che, a seconda del potere risolutore della colonna, varia generalmente tra 0,5 e 2,5 µm.
Il film è spesso costituito da metil-siliconi modificati su cui sono inseriti vari gruppi funzionali, in funzione della classe di composti da analizzare.
L'uso di colonne aventi una fase stazionaria chirale consente di analizzare miscele di enantiomeri.
[modifica] Rivelatori
Ve ne sono di diversi tipi, in funzione del principio fisico utilizzato per rilevare l'uscita delle sostanze dalla colonna.
Le due classi più comuni sono quelle dei rivelatori a conducibilità termica e dei rivelatori a ionizzazione di fiamma (o FID).
Un rivelatore a conducibilità termica è costituito da due filamenti riscaldati elettricamente e mantenuti a temperatura costante. Su uno scorre il gas di trasporto puro, sull'altro scorre il gas in uscita dalla colonna. Quando una sostanza viene eluita,il secondo filamento subirà un raffreddamento o un riscaldamento rispetto al primo per via del calore più o meno facilmente asportato dal gas conentente la sostanza eluita. Tale variazione di temperatura si riflette in una variazione di resistenza, che viene amplificata e rappresenta il segnale del detector.
In un rivelatore a ionizzazione di fiamma il gas di trasporto in uscita dalla colonna viene mescolato a idrogeno (o ad azoto, se l'idrogeno è il gas di trasporto) e bruciato. Nella fiamma, quando una sostanza viene eluita, si producono ioni che vengono raccolti sulla supeficie del detector producendo una corrente elettrica che, amplificata, rappresenta il segnale del detector. Nonostante il suo essere cieco a tutte le sostanze che non bruciano (ad esempio, l'acqua), il FID è uno dei detector più diffusi.
Altri tipi di rivelatori sono quelli a raggi β e a cattura elettronica, questi ultimi preferiti per l'analisi di composti contenenti atomi elettronegativi. Infine, all'uscita di una colonna cromatografica si può porre uno spettrometro di massa, per avere indicazioni sulla struttura di ogni sostanza eluita.
[modifica] Aziende italiane produttrici di strumentazione per Gascromatografia
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