Piero Calamandrei
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Pietro Calamandrei (Firenze, 21 aprile 1889 – Firenze, 27 settembre 1956) è stato un giornalista, giurista, politico e docente universitario italiano.
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[modifica] Biografia
[modifica] Primi anni
Dopo essersi laureato in giurisprudenza a Pisa nel 1912 partecipò a vari concorsi e nel 1915 fu nominato professore di procedura civile all'Università di Messina. Successivamente (1918) fu chiamato all'Università di Modena per poi passare due anni dopo a quella di Siena ed infine, nel 1924, scelse di passare alla nuova facoltà giuridica di Firenze, dove ha tenuto fino alla morte la cattedra di diritto processuale civile.
Prese parte alla Prima guerra mondiale come ufficiale volontario combattente nel 218° reggimento di fanteria; ne uscì col grado di capitano e fu successivamente promosso tenente colonnello, ma preferì uscire subito dall'esercito per continuare la sua carriera accademica.
[modifica] Lo studioso
Della sua vasta produzione giuridica, è da ricordare soprattutto l'Introduzione allo studio delle misure cautelari del 1936, una trattazione all'avanguardia, che farà compiere un vero e proprio balzo in avanti alla scienza processuale italiana. Gli spunti di questo lavoro interamente confluiti nel libro quarto del codice di procedura civile del 1942, e segnatamente nel capo terzo (articoli da 670 a 702 del vecchio testo). La giurisprudenza e le novelle successive all'entrata in vigore del codice ricalcheranno fedelmente il percorso tracciato da Calamandrei.
[modifica] Sotto il fascismo
Politicamente schierato a sinistra, subito dopo la marcia su Roma e la vittoria del fascismo fece parte del consiglio direttivo dell' Unione Nazionale fondata da Giovanni Amendola. Manifestò sempre la sua avversione alla dittatura mussoliniana e durante il ventennio fascista fu uno dei pochi professori che non ebbe né chiese la tessera del Partito Nazionale Fascista continuando sempre a far parte di movimenti clandestini, ad esempio collaborando alla testata Non mollare.
Contrario all'ingresso dell'Italia nella Seconda guerra mondiale a fianco della Germania, nel 1941 aderí al movimento Giustizia e Libertà ed un anno dopo fu tra i fondatori del Partito d'Azione insieme a Ferruccio Parri, Ugo La Malfa ed altri. In questo periodo (1939-1945) tenne un diario, pubblicato nel 1982. Fu, insieme a Francesco Carnelutti, a Enrico Redenti, a Tito Carnacini e al magistrato Leopoldo Conforti, uno dei redattori del codice di procedura civile del 1942, in parte ancora in vigore, dove trovarono formulazione legislativa gli insegnamenti fondamentali della scuola di Chiovenda. Basti dire che relazione del Guardasigille al Re, scritta in uno stile inconfondibilmente scorrevole e piano, è stata stesa dallo stesso Calamandrei. Partecipò anche ai lavori preparatori per il nuovo codice civile e per la legge sull'ordinamento giudiziario. Si dimise da professore universitario per non sottoscrivere una lettera di sottomissione al duce che gli venne chiesta dal Rettore del tempo.
Nominato Rettore dell'Università di Firenze il 26 luglio 1943, dopo l'8 settembre fu colpito da mandato di cattura, cosicché esercitò effettivamente il suo mandato dal settembre 1944, cioè dalla liberazione di Firenze, fino all'ottobre 1947.
[modifica] Ultimi anni
Nel 1945 fu nominato membro della Consulta Nazionale e dell'Assemblea Costituente in rappresentanza del Partito d'Azione. Partecipò attivamente ai lavori parlamentari come componente della Giunta delle elezioni della commissione d'inchiesta e della Commissione per la Costituzione italiana. I suoi interventi nei dibattiti dell'assemblea ebbero larga risonanza: specialmente i suoi discorsi sul piano generale della Costituzione, sui Patti lateranensi, sulla indissolubilità del matrimonio, sul potere giudiziario.
Quando il Partito d'Azione si sciolse, entrò a far parte del Partito Socialdemocratico Italiano, con cui fu eletto deputato nel 1948. Contrario alla «legge truffa» votata anche con l'appoggio del suo partito, nel 1953 prese parte alla fondazione del movimento di Unità popolare con il vecchio amico Ferruccio Parri, che, nonostante l'esiguo risultato ottenuto, fu decisivo affinché la Democrazia Cristiana e i partiti suoi alleati non raggiungessero la percentuale di voti richiesta dalla nuova legge per far scattare il premio di maggioranza.
Avvocato di fama, fu presidente del Consiglio Nazionale Forense dal 1946 alla morte. Accademico nazionale dei Lincei, direttore dell'Istituto di diritto processuale comparato dell'Università di Firenze, fu direttore della Rivista di diritto processuale, de Il Foro toscano e del Commentario sistematico della Costituzione italiana. Non erano queste le sue prime esperienza giornalistiche: nell'aprile del 1945 aveva infatti fondato il settimanale politico-letterario Il Ponte. Memorabile il suo "Elogio dei giudici scritto da un avvocato" in cui condensa l'esperienza professionale e accademica di 40 anni di attività.
[modifica] "Lo avrai, camerata Kesselring..."
Lapide ad ignominia Lo avrai |
Albert Kesselring, che durante il secondo conflitto mondiale fu il comandante della forze delle forze armate germaniche in Italia. A fine conflitto (1947) fu processato e condannato a morte per i numerosi eccidi che l'esercito nazista aveva commesso ai suoi ordini (Fosse Ardeatine, Strage di Marzabotto e molte altre). Successivamente la condanna fu tramutata in ergastolo, ma egli venne rilasciato nel 1952 per le sue suppostamente gravi condizioni di salute. Tale gravità fu smentita dal fatto che Kesselring visse altri otto anni libero nel suo Paese, ove divenne quasi oggetto di culto negli ambienti neonazisti della Bavaria.
Tornato libero, Kesselring sostenne di non essere affatto pentito di ciò che aveva fatto durante i 18 mesi nei quali tenne il comando in Italia ed anzi dichiarò che gli italiani, per il bene che aveva loro asseritamente fatto, avrebbero dovuto erigergli un monumento. In risposta a queste affermazioni Piero Calamandrei scrisse la celebre epigrafe "Lo avrai, camerata Kesselring...", il cui testo venne posto sotto una lapide ad ignominia che il comune di Cuneo ha dedicato a Kesselring.
[modifica] Bibliografia
- Alessandro Galante Garrone, Calamandrei, Milano, Garzanti, 1987.
- Piero Calamandrei: ventidue saggi su un grande maestro, a cura di Paolo Barile, Milano, Giuffrè, 1990.
- Roberta Gambacciani Lucchesi, Piero Calamandrei: i due volti del federalismo, Firenze, Polistampa, 2004.
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