Cavalleria medievale
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La cavalleria medievale seguì l'evoluzione che la società, l'economia e la tecnica bellica ebbero nel medioevo, influenzate, fra l'altro, dall'affacciarsi sullo scenario storico europeo di nuove popolazioni con nuovi usi e nuovi modi di guerreggiare.
Fu una evoluzione lenta ma costante, qualche volta tumultuosa in coincidenza con l'arrivo di nuovi attori sui campi di battaglia, ma sempre coerente con i cambiamenti del contesto socioeconomico che ne era il supporto.
La crisi che colpì i liberi coltivatori romani del periodo repubblicano inferse un duro colpo alla potenza della fanteria legionaria, ben più grave ed irrimediabile dei colpi subiti dalla stessa ad opera dei cavalieri Parti e Sarmati.
Quella potenza legionaria che aveva conquistato un impero iniziò a decadere con la decadenza di quell'archetipo dell'uomo romano che ne era stato la base e la forza.
Indice |
[modifica] I Barbari
Popolazioni nuove, ora si direbbe giovani, premevano sull'Impero: alcune erano formate da provetti cavalieri che passavano la maggior parte della propria vita letteralmente e materialmente sul cavallo, come gli Unni, gli Alani ed, in genere, i popoli della steppa. Questi popoli, che basavano la propria forza militare su una cavalleria organizzata, non riuscirono, tuttavia, a innervarsi in quella società europea che per loro era solo occasione di scorrerie, rapine e bottino. Altre popolazioni, invece, fecero proprio quell'Impero tante volte combattuto e subìto. Furono i Franchi, i Sassoni, i Frisoni, i Longobardi, i Juti che si imposero, ricreando, o contribuendo a ricreare, quel nuovo Impero che il Papato avrebbe cercato di rendere unito come comunità cristiana e di subordinare a sé stesso.
Queste nuove genti germaniche e nordiche, che in effetti non possedevano una cavalleria nel senso militare del termine, combattevano a piedi anche se il cavallo era il loro mezzo di locomozione. Il cavallo era considerato più un segno di distinzione di cui godevano e si fregiavano i capi che non un mezzo bellico, e ciò sia per il suo costo, particolarmente elevato, sia per la simbologia sacrale che gli era connessa. Il cavallo accampagnava il guerriero nella sepoltura per l'ultimo vaggio, secondo una tradizione che risaliva alle saghe germaniche conferendo così al cavaliere quell'alone di mito che lo accompagnerà nelle epoche in cui la funzione della cavalleria sarebbe venuta meno e che le chansons epiche avrebbero perpetuato.
[modifica] Il Cavaliere
Un cavaliere non si improvvisava, veniva addestrato fin dalla fanciullezza e, quindi, armato con un equipaggiamento il cui costo poteva superare quello di 20 buoi, in pratica una piccola proprietà terriera.
Era fatale, così, che si sviluppasse nella società una divisione netta o meglio una frattura incolmabile fra il cavaliere consapevole del proprio costo e della propria funzione e
Si formò spontaneamente un gruppo elitario, separato e autorefente che si autocelebrava anche attraverso il racconto delle proprie imprese, sempre eccezionali, e anche attraverso quella che sarà una vera e propria liturgia dell'iniziazione e dell'accettazione o cooptazione in un circolo sempre più chiuso. La letteratura epica si incaricherà di idealizzarne e celebrarne gli aspetti eroici, il più delle volte usurpati.
Sorse, anche, l'esigenza di distinguersi e di rendersi riconoscibili sia in battaglia che nei tornei, e quindi si diffuse l'uso di colori e di emblemi posti sullo scudo del cavaliere, che daranno origine all'Araldica, o scienza del Blasone.
Lentamente si consolidò quella che era una fraternitas, la cavalleria medievale, con regole sempre più rigorose che subiranno, tuttavia, continue eccezioni.
La separazione dal mondo dei rustici aumentò sempre di più ed il solco iniziale divenne una voragine. Da una parte pochi eletti, dall'altra la massa disprezzata e sfortunata degli inermi o pauperes che avevano una sola possibilità di riscatto: mettere la propia vita in gioco nei campi di battaglia al servizio di qualche Senior.
[modifica] Il mito
Era un mito quello che il cavaliere medievale coltivava, esaltandolo in quelle fraternitas che daranno luogo ad una vera e propria classe sociomilitare particolarmente rigida ed impermeabile alla cui base c'era lo spirito di gruppo e di corpo.
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«Questo è forse il senso più riposto ma anche più evidente dell'immagine raffigurata nel controsigillo dell'Ordine Templare, che mostra due cavalieri su un solo cavallo.»
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(Cardini F. - Il Guerriero e il Cavaliere)
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La storia concorrerà notevolmente all'affermazione di questa nuova classe di guerrieri, separandola sempre di più dal resto della società, gli inermes, che venivano subordinati e sottoposti a quei bellatores equestri che costituivano la base del potere.
[modifica] Le opportunità
Certo il servizio militare, oltre ai rischi, offriva notevoli vantaggi a quei soggetti che, per capacità o fortuna, ne sapevano approfittare. Le opportunità di arricchimento a seguito delle azioni belliche erano grandi, sia attraverso i bottini rapinati sia attraverso il riscatto dei prigionieri, specie se di alto lignaggio. Ciò costituiva un valido compenso per il rischio di perdere la vita, rischio sempre presente e sempre messo in conto.
Il miraggio era quello di passare dal servizio presso altri alla formazione di una propria dinastia, e, magari, acquisire una propria signoria o conquistare un proprio regno. Fu quello che seppero fare i Normanni, vere e proprie bande di avventurieri al servizio di signori in guerra tra loro, signori che prima aiutavano e che poi ad essi si sostituirono approfittando della favorevole situazione politico-militare di quel residuo morente contesto bizantino.
[modifica] I Normanni
I Normanni riescirono, senza grande difficoltà, non solo a sostituirsi ai loro, per così dire, datori di lavoro ma a fondare, oltre che un regno, una dinastia dai cui lombi discese una progenie destinata alla dignità imperiale. L'avventura dei cavalieri normanni prima nel meridione dell'Italia continentale e successivamente in Sicilia è fantastica ed affascinante. È impressionante vedere come un manipolo di uomini decisi, ma sostanzialmente dei briganti quasi emigranti ante litteram, costretti a lasciare le loro terre di origine, la Normandia sulle coste nordoccidentali della Francia, riuscirono a inserirsi nelle lotte intestine di quel che restava del Ducato di Benevento e del declinante Impero Bizantino nell'Italia meridionale e a prendere il sopravvento. Vi fu anche il fortunato gioco di circostanze favorevoli che, sapientemente sfruttate, contribuirono alla loro affermazione politico-militare. I Normanni, che stavano per impadronirsi dell'intero Meridione d'Italia, ottennero il riconoscimento del loro potere e delle loro conquiste dal papa Niccolò II prima di lanciarsi alla conquista della Sicilia: questo riconoscimento papale legittimò quello che era un puro atto di violenza[1]
[modifica] Il nuovo
Si svilupparono nuove tecniche militari sotto la spinta delle milizie di fanti che, inquadrate dal Comune, non erano più quella massa incoerente di contadini armati di forcone contro cui la carica della cavalleria aveva avuto sempre successo.
Le milizie cittadine si proposero come strutture sempre meglio organizzate e coese, dotate dell'addestramento acquisito nelle gare cittadine, gare che avevano sviluppato non solo lo spirito d'emulazione ma, cosa ben più importante, lo spirito civico rendendo i cittadini combattenti consapevoli, decisi e, quindi, temibili.
Questi uomini che, normalmente, svolgevano nella vita quotidiana altri compiti, che non le arti marziali, esprimevano, nel momento del combattimento, sotto il gonfalone civico, tutta la loro determinazione bellica, frutto del rancore contro l'aristocrazia militare: essi trascuravano quell'aspetto ludico che era stato una caratteristica del combattimento dei cavalieri. Questi cittadini nel combattimento erano micidiali, le loro picche e le loro quadrelle non lasciavano scampo.
[modifica] Nuove armi
Le nuove armi vincenti erano le picche, l'arco e la balestra, che, in un'unione simbiotica dietro il pavese, un grande scudo, costituivano per i cavalieri un ostacolo, o, per meglio dire, un muro insuperabile, quasi sempre letale.
Il cavallo che era stato un'arma vincente si trasformò in un gravissimo punto di debolezza ed impedimento.
In questo nuovo modo di combattere il cavallo soccombette sotto i colpi di coltello del fante che strisciando per terra lo sventrava, in un'azione inconcepibile per il cavaliere e per il suo codice deontologico: al cavaliere rinchiuso nella sua pesante corazza d'acciaio non rimaneva che fuggire o, disarcionato e circondato, morire come un povero crostaceo[2] sotto i colpi della plebaglia a piedi. Queste nuove battaglie si concludevano in un'orgia di sangue, in un tripudio di vendette e di rivalse da parte dei rustici contro un mondo, quello feudale, che ormai volgeva alla fine.
Era un mondo impregnato di valori, forse mai realmente esistiti ma sicuramente idealizzati e vagheggiati, che sopravviverà solo nelle chansons. I cavalieri, superstiti di questo mondo sentito da loro come unico e vero, andranno lietamente a farsi scannare da rozzi bottegai e cupi artigiani che combattevano solo per affermare, in un duello, da loro vissuto come mortale, la loro esistenza civile, la loro capacità economica e la necessità di continuare a sviluppare liberamente quelle attività economico-commerciali dal cui successo derivavano rilevanza sociale e forza politica.
[modifica] Le Gentes novae
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Per queste gentes novae, la guerra non era un gioco, una festa in cui mettere in mostra le proprie virtù cavalleresche magari per gloriarsene agli occhi di una dama o nel caso fortunato per appropriarsi di un bottino e di un ricco riscatto, bensì un mortale e costoso incidente che metteva a rischio le conquista economiche acquisite, oltre che la loro stessa sopravvivenza.
Laddove il cavaliere vedeva nel cavaliere nemico un confratello in campo opposto, il mercante che combatteva vedeva nel cavaliere solo un soggetto che interrompeva la sua attività facendogli perdere denaro e rischiare la vita e perciò lo doveva eliminare, cioè uccidere.
Il mercante combatteva libero da qualsiasi deontologia militare e sotto lo stimolo dell'urgenza di tornare presto ai propri affari sospesi.
Tutto ciò era vissuto come scandaloso dai cavalieri: guai al cavaliere che incontrava sul campo di battaglia qualche macellaio armato che, pratico nello squartare l'oggetto della propria attività lavorativa, non aveva remora alcuna a fare altrettanto prima col cavallo e poi con il cavaliere.
[modifica] Il tramonto della cavalleria
Il momento magico dei cavalieri medioevali fu l'avventura delle Crociate, specie la prima, trascorso il quale iniziò la loro crisi lentamente per continuare, poi, sempre più rapidamente, crisi che culminerà nella battaglia degli Speroni d'Oro a Courtrai, 1302. In questa battaglia, simbolicamente ritenuta la fine dei Cavalieri Medioevali, come funzione militare definitiva, le truppe formate da mercanti ed artigiani delle Fiandre massacrarono i cavalieri francesi facendo mucchi dei loro speroni dorati.
Fu il tramonto della cavalleria come arma anche se le sopravvisse, sempre più mitizzata, quell'etica che era stata alla base della fraternitas, cui una stessa mentalità ed aspirazione di vita aveva legato i cavalieri.
Questa specie di internazionale cavalleresca[3], che si era costituita tra l'XI ed il XIII secolo, perse davanti alle nuove fanterie comunali la propria funzione militare lasciando, tuttavia, un'eredità di valori e di miti che sarebbero durati nei secoli successivi.
Era lo spirito cavalleresco con la sua carica di leggenda che sopravviveva rappresentando valori che i posteri avrebbero esaltato, per non dire creato.
[modifica] Gli Ordini cavallereschi
Questo spirito sopravvisse anche grazie agli ordini cavallereschi che ebbero una funzione reale fintanto che svolsero un'attività politico-militare, e cioè fino al '200, ma che successivamente o scomparvero come i Templari ad opera di Filippo IV di Francia o si trasformarono in istituzioni puramente simboliche
[modifica] Note
- ↑ Piccinni G. - I mille anni del medioevo.
- ↑ Cardini F. - Il Guerriero e il Cavaliere.
- ↑ Cardini F. - Quella antica festa crudele.
[modifica] Bibliografia
- Barber R. - The figure of Artur - Londra, Longaman, 1972.
- Cardini F. - Quella antica festa crudele - Milano, Mondadori, 1995, ISBN 8804423137.
- Cardini F. - Alle origine della cavalleria medievale - Scandicci, La nuova Italia, 1997, ISBN 8822104412 .
- Duby G. - Lo specchio del feudalesimo - Bari, Laterza, 1998, ISBN 842056502.
- Duby G. - Guglielmo il Maresciallo - Bari, Laterza, 1995, ISBN 8842042617.
- Garin E. - L'uomo del Rinascimento - Bari, Laterza, 2000, ISBN 8842047945.
- Keen M. - La cavalleria - Napoli, Guida, 1986, ISBN 8870427544 .
- Le Goff J. - L'uomo medievale - Bari, Laterza, 1999, ISBN 8842941971.
- Huizinga - L'autunno del medioevo - Roma, Newton, 1997, ISBN 978881711644.
- Mallet M. - Signori e mercenari. La guerra nell'Italia del Rinascimento - Bologna, Il Mulino, 1983, ISBN 8815002944.
- Piccinni G. - I mille anni del medioevo - Milano, Bruno Mondadori, 1999, ISBN 8842493554.
- Settia A. A. - Rapine, assedi, battaglie: la guerra nel Medioevo - Bari, Laterza, 2002, SBN LO10718097.
[modifica] Voci correlate
- Cavalleria
- Cavaliere (araldica)
- Ordini religiosi cavallereschi
- Araldica
- Torneo
- Blasone
- Guerra medievale
- Storia militare
- Medioevo
- Venalità delle cariche
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