Giudice
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In diritto il termine giudice, dal latino iudex, ha una doppia accezione, indicando sia l'organo che esercita la giurisdizione, sia la persona fisica titolare di quest'organo (ossia il funzionario). La giurisdizione è la potestà di applicare il diritto oggettivo, interpretandone le norme e rendendole operanti nel caso concreto, per risolvere le controversie in posizione di terzietà, ossia di indipendenza rispetto alle parti e di indifferenza riguardo all'esito della controversia. Il procedimento attraverso il quale il giudice esercita la funzione giurisdizionale è detto processo. Negli ordinamenti dove vige la separazione dei poteri, i giudici costituiscono uno dei tre poteri dello stato: il potere giudiziario.
Si noti che una funzione giurisdizionale e, quindi, dei giudici possono essere presenti anche in ordinamenti non statali: hanno, ad esempio, propri giudici l'ordinamento sportivo, quello della Chiesa cattolica e di altre confessioni religiose, gli ordinamenti di partiti, sindacati e altre associazioni, persino gli ordinamenti di certe organizzazioni criminali.
In ogni caso il potere di risolvere la controversia spetta al giudice in virtù del pubblico ufficio che ricopre; questo lo distingue dall'arbitro che, invece, risolve la controversia con il potere attribuitogli dalle parti. Di conseguenza, l'atto con il quale il giudice decide la controversia, la sentenza, s'impone alle parti in quanto provvedimento autoritativo, laddove l'atto con il quale decide l'arbitro, il lodo, trae la sua forza vincolante solo dal consenso delle parti, a meno che non intervenga un provvedimento del giudice (detto exequatur) che gli attribuisca efficacia di sentenza.
[modifica] Giudice inteso come organo
Nella prima accezione il giudice si distingue, a seconda che sia stato istituito prima o dopo l'insorgere della controversia su cui è chiamato a decidere, in precostituito (o naturale) e straordinario (o eccezionale). Molte costituzioni, tra cui quella italiana, vietano il ricorso a giudici straordinari.
Come tutti gli altri organi, a seconda del numero di persone che lo compongono, il giudice può essere collegiale o monocratico; i giudici monocratici o collegiali sono a loro volta organizzati in uffici complessi (uffici giudiziari, per lo più denominati corti o tribunali) nei quali opera anche personale ausiliario con funzioni di documentazione, esecutive ecc. Nell'ordinamento giuridico italiano il giudice è sempre un organo dello stato, mentre in altri ordinamenti può anche essere organo di stati federati o enti territoriali.
A seconda della materia su cui è chiamato a pronunciare, il giudice può essere costituzionale, civile, penale, amministrativo, militare, contabile, tributario ecc.
In tutti gli ordinamenti i giudici, salvo alcune eccezioni, sono ordinati in un sistema caratterizzato da un disciplina omogenea e dalla possibilità di impugnare le decisioni di un giudice innanzi ad uno superiore; di solito sono assicurati tre gradi di giudizio, quello iniziale (di fronte al giudice di prima istanza) e due a seguito d'impugnazione, l'ultimo dei quali si svolge davanti alla corte suprema che è posta al vertice del sistema. I giudici che appartengono a questo ordine sono detti ordinari ed hanno competenza generale, in contrapposizione ai giudici speciali [1] che, invece, non appartengono all'ordine e hanno competenza su materie specifiche. In alcuni ordinamenti i giudici speciali possono essere ordinati in giurisdizioni speciali, parallele alla giurisdizione ordinaria costituita dai giudici ordinari; in particolare, si trova frequentemente una giurisdizione amministrativa cui sono devolute controversie nelle quali una delle parti è la pubblica amministrazione. La giurisdizione unica è tipica dei paesi di common law mentre la pluralità di giurisdizioni si riscontra spesso nei paesi di civil law.
A seconda dei poteri che gli spettano nel decidere la causa, si distingue il giudice di fatto (o di merito) dal giudice di legittimità. Il primo decide su tutti gli aspetti della causa, tanto sulle questioni di fatto quanto su quelle di diritto. Il giudice di legittimità, invece, decide sulle sole questioni di diritto, verificando la corretta applicazione delle norme di diritto, sostanziale e processuale, da parte del giudice che ha pronunciato la decisione impugnata. Di conseguenza, mentre il giudice di merito, nel caso d'impugnazione, se non conferma la pronuncia giudiziale impugnata, la sostituisce con la propria, il giudice di legittimità esegue un controllo sulla pronuncia impugnata e, qualora la ritenga illegittima, la annulla, rinviando se del caso la causa ad un giudice di merito per una nuova decisione. Sono giudici di legittimità le corti supreme degli ordinamenti che hanno adottato il modello della corte di cassazione francese (tra cui la Corte di Cassazione italiana): in questi casi sono in genere previsti, oltre al grado di giudizio iniziale, un secondo grado davanti ad un giudice di merito (giudice d'appello) e un grado finale davanti alla corte di cassazione, che è giudice di legittimità. In altri casi, invece, anche la corte suprema è giudice di merito. Negli ordinamenti di common law, a differenza di quelli di civil law, tutti i giudici aditi a seguito d'impugnazione sono essenzialmente giudici di legittimità[2].
[modifica] Giudice inteso come funzionario
Nella seconda accezione il giudice si distingue, a seconda che svolga o meno la sua attività a titolo professionale, in togato [3] e onorario (o laico). In Italia sono giudici laici, ad esempio, i giudici popolari della Corte d'assise; in altri paesi, specie di common law, lo sono i giurati, ossia i componenti di un collegio, detto giuria, che affianca il giudice togato, per lo più nei processi penali, e decide sulle questioni di fatto (mentre le questioni di diritto sono decise dal giudice togato). I giurati (così come altri giudici laici) sono nominati mediante estrazione a sorte e sono quindi scelti tra cittadini senza particolare formazione giuridica, mentre in altri casi i giudici laici possono essere esperti in particolari discipline, diverse dal diritto, che affiancano i giudici togati quando decidono su determinate materie (si pensi agli esperti che operano nei tribunali per i minorenni italiani).
Negli ordinamenti di civil law, tra i quali quello italiano, i giudici togati sono magistrati, ossia funzionari burocratici appartenenti ad un particolare ordine (la magistratura) nel quale svolgono la loro carriera dopo esservi entrati a seguito di pubblico concorso, aperto a coloro che hanno una formazione giuridica a livello universitario (e talora post-universitario). In molti paesi appartengono a questa categoria, oltre ai giudici, anche i magistrati del pubblico ministero. La Costituzione italiana prevede un organo di autogoverno della magistratura: il Consiglio Superiore della Magistratura; questa soluzione è stata in seguito imitata da altre costituzioni di civil law.
Nei paesi di common law i giudici sono nominati da organi politici (di solito il governo, in qualche caso il parlamento) o, talvolta, eletti dal popolo, e sono scelti tra gli avvocati con una certa anzianità nella professione; si noti che in questi paesi il termine magistrato (magistrate) ha un significato diverso dai paesi di civil law, designando generalmente i giudici competenti per le cause di minore entità (ad esempio i giudici della pace), che possono non essere scelti tra gli avvocati e non avere, quindi, una formazione giuridica.
[modifica] Note
- ↑ Negli ordinamenti di common law si tende ad usare la denominazione tribunal per i giudici speciali e court per quelli ordinari. Questa contrapposizione terminologica non è invece presente negli ordinamenti di civil law dove la denominazione di tribunale piuttosto che corte non è legata alla specialità del giudice (ad esempio, in Italia il tribunale è un giudice ordinario di prima istanza)
- ↑ Di conseguenza, l'appeal anglosassone non coincide all'appello dei sistemi continentali
- ↑ La denominazione deriva dall'abito, la toga, che tradizionalmente questi giudici indossano durante le udienze
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