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Discussione:Risorgimento - Wikipedia

Discussione:Risorgimento

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note:

Indice

[modifica] Citazioni d'apertura

Cari signori che avete inserito quelle citazioni, non vi sembra un tantino, ma solo un tantino, partigiano inserire la frase di Metternich, e per giunta di sotto, non una frase di Vittorio Emanuale, Mazzini o Garibaldi, ma una infelice frase di D'Azeglio, quasi a voler dar ragione al Metternich? E questo sarebbe la voce dall'esagerato taglio nazionalistico? Ma per favore, il fatto è che quando si parla di risorgimenti gli antiitaliani si gettano come pecchie su un cadavere, questo siete, solo corvi. E mi meraviglio che l'amministrazione, tanto lesta ad intervenire per casi di diritti d'autore e immagini di dubbia provenienza, non sia intervenuta in questo contesto.--Rick Hunter 12:49, 12 apr 2007 (CEST)


Ne ho aggiunte altre, di segno opposto, ma le altre inoponatamente inserite non le ho cancellate. Ora voglio vedere se qualche antiitaliano, ha il coraggio di cancellare solo quelle di parte italiana.--Rick Hunter 13:01, 12 apr 2007 (CEST)

[modifica] una puntualizzazione.

Ferdinando II, Re delle Due Sicilie, decise di richiamare le truppe perché la rivolta in Sicilia aveva assunto proporzioni preoccupanti: in pratica le Reali Truppe controllavano solo Messina e i riflessi esterni di questa situazione erano ancor più allarmanti. Infatti una delegazione del Governo provvisorio siciliano si era recata a Torino per offrire la corona del Regno di Sicilia a un Savoia.

Carlo Alberto, onorando la tradizione di fiera lealtà per la quale Casa Savoia era ampiamente conosciuta in Europa (nel 700 un arguto diplomatico ebbe a notare: Il Duca di Savoia termina sempre le sue guerre come nemico dell'alleato iniziale..) anzichè rifiutare l'offerta che gli aspiranti sudditi avevano presentato, pur sempre ai danni di un Principe le cui truppe in quel momento combattevano sui campi di Lombardia a fianco delle Sarde, promise loro un Principe di Casa Savoia, ovviamente trascorso un qualche ragionevole termine di decenza. Comprensibilmente, il Borbone, disgustato, non intese continuare una guerra che, ove fosse andata a buon fine avrebbe comportato vantaggi per il solo Regno Sardo.

--Emmeauerre 23:21, Gen 11, 2005 (UTC)

Si la frase riportata è carina...ma, necessita una precisazione. Quasi tutti i piccoli Stati dell'Europa facevano così, si trattava di sopravvivere. Se guardi gli schieramenti della guerra dei Trent'anni ti viene il malditesta nel cercare di capire da che parte stessero le centinaia di piccole entità politiche tedesche! Nessuno ricorda che, più tardi, nel XIX secolo la Prussia, per esempio, prima dichiara guerra alla Francia, poi viene sconfitta, quindi si allea con essa - le fornisce truppe e partecipa al blocco continentale un po' perché ne ha paura un po' perché le conviene - e quando Napoleone viene sconfitto in Russia rifà il salto della quaglia alleandosi coi Russi stessi. Il 18 ottobre del 1813, nella battaglia delle Nazioni, Lipsia, il corpo d'armata sassone transita dalle file francesi dove aveva fino ad allora combattuto a quelle alleate (la Sassonia - il regno - se ne pentirà amaramente quando nel 1866 si schiererà a fianco dell'Austria e sarà severamente sconfitta dalla Prussia): se non è "tradimento" questo! In realtà gli stati - tutti, non solo il Piemonte, l'Italia o la dinastia Savoia - fanno i loro conti e scelgono di conseguenza ed è sempre successo così. La Gran Bretagna si è sempre tradizionalmente alleata con chiunque per evitare che nascesse una potenza egemone sul continente - dal suo punto di vista aveva ragione! Lasciando perdere l'Italia, nel 1944 la Finlandia molla l'alleanza con il terzo Reich e passa dall'altra parte, lo stesso la Bulgaria. Quindi le affermazioni sulla fiera lealtà di qualcuno, vanno sempre rapportate a quello che accadeva in Europa! Perché i Savoia si dovevano preoccupare di mantenere sul trono i Borbone Napoli? Che anche loro in quanto a salti della quaglia non scherzavano! Il Borbone disgustato? Ma dai! Non era quel personaggio che prometteva costituzioni a go-go, le dava, ci giurava fedeltà (parola di re!) e poi le buttava da parte sopprimendole con arresti e bombardamenti? Un vero gentiluomo! Almeno Carlo Alberto sconfitto ha la dignità di abdicare! Il suo collega di Napoli con una piroetta si riallinea con l'Austria e mantiene il trono e la Sicilia - salvo pentirsene (il suo successore) quando nel 1860 qualcuno sbarca in Sicilia e i siciliani, che si ricordano del 1849, non lo ributtano a mare anzi sono felici di passare dalla sua parte (anche loro se ne pentiranno un po': vedi Bronte) -. I Savoia non erano santi (sembra che proprio non lo siano), il Risorgimento non è stato solo un'epopea (già Gobetti lo scriveva) ma cerchiamo di non farci prendere da curiosi, immotivati ed anacronistici sdegni moralistici. --Edoardo.Dedo 16:01, 15 feb 2007 (CET)

[modifica] Bibliografia

Sarebbe opportuno aggiungere una bibliografia. Appunto qui qualcosa di interessante.

  • Lorenzo Del Boca , Indietro Savoia! - Storia controcorrente del Risorgimento , 2003, Piemme
  • Lorenzo Del Boca , Maledetti Savoia, 1998, Piemme

--Truman Burbank 09:28, Apr 14, 2005 (CEST)


[modifica] Pienamente d'accordo

Le tue indicazioni sono particolarmente valide in quanto:

  • l'approccio di taglio giornalistico risulta più idoneo a raggiungere il lettore medio;
  • l'autore, autorevole esponente dell'ordine dei giornalisti (credo ne sia tuttora il Presidente) è piemontese, il che taglia l'erba sotto i piedi dei sostenitori della tesi di un complotto dei "neoborbonici" (!);

Decisamente controcorrente all'epoca:

  • Cesare Bertoletti, Il Risorgimento visto dall'altra sponda, 1967, Berisio

anche in questo caso un autore piemontese, mette in rilievo aspetti in ombra (volutamente ?) nella "vulgata" corrente, come ad esempio, la partecipazione di reparti regolari napoletani (X Rgt. Ftr.linea) agli scontri di Goito, Curtatone e Montanara. Nonostante perdite elevatissime e riconoscimenti da parte, fra gli altri, del Granduca di Toscana (per l'aiuto prestato ai volontari toscani..), sui fatti è stata operata una rimozione tale da risultare oggi quasi una bizzarria la versione reale.


Chi, poi desiderasse approfondire con letture di maggior complessità, potrà scegliere fra:

  • Claudia Petraccone, Le due civiltà 2000, Laterza
  • Roberto Martucci, L'invenzione dell'Italia unita 1855-1864, 1999, Sansoni
  • Ludovico Greco, Piemontisi, Briganti e Maccaroni, 1975, Guida
  • Giuseppe F. de Tiberiis Le ragioni del Sud, 1969, E.S.I.
  • Aldo de Jaco(a cura di) Il brigantaggio meridionale 1976 Ed.Riuniti
  • Aldo Servidio L'imbroglio nazionale-unità e unificazione 1860-20002002,Guida
  • Luigi De Matteo Noi della meridionale Italia, 2002 E.S.I.
  • John Davis Società e imprenditori nel Regno borbonico 1815/18601979,Laterza
  • Formicola-Romano L'industria navale di Ferdinando II s.d., Fiorentino
  • Aldo Servidio Giacomo Savarese Le finanze napoletane e piemontesi dal 1818 al 1860 2003, Controcorrente
  • Luigi De Rosa La provincia subordinata 2004, Laterza
  • Paolo Frascani (a cura di) A vela e a vapore 2001, Donzelli
  • Gigi Di Fiore I vinti del Risorgimento, 2004, UTET
  • de Martino - Simeoli La polveriera d'Italia, 2004, Liguori
  • Arturo de Cillis Quando i Borbone ordinavano "Facite ammujna", 2000 GDS
  • Riccardo De Sanctis La nuova scienza a Napoli tra '700 e '800, 1986, Laterza
  • Pier Giusto Jaeger Francesco II di Borbone l'ultimo Re di Napoli, 1982, Mondadori
  • Boeri-Crociani-Fiorentino L'Esercito borbonico dal 1830 al 1861, 1998, Stato Maggiore Esercito, Ufficio Storico.

Spunti interessanti nascono dalla consultazione di testi non specifici, come Campagna e Industria - Itinerari, 1981, T.C.I., con l'avvertenza di considerare, ai nostri fini, il Basso Lazio all'epoca parte integrante del territorio napoletano.

Anche un esame di cartine statistiche desunte dall' Atlante Storico del mondo, 1997, T.C.I. pag. 115, in particolare, "Industria, Percentuale degli addetti" è utile.

Infatti, chi, oggi, voglia affrontare con serietà quest'argomento, scoprirà che, a fronte della "vulgata" corrente, le tessere che dovrebbero comporre un coerente mosaico portano a risultati sorprendentemente diversi da quelli attesi. Ciò vale, in particolare, per i dati di provenienza "sicura" (fonti ufficiali italiane).

Come risulta ben evidente, la bibliografia qui riportata NON è limitata ma abbraccia pressocchè per intero tutto il periodo del quale la Ia Guerra d'Indipendenza costituisce un mero episodio. --Emmeauerre 15:19, Apr 14, 2005 (CEST)


La bibliografia va messa e si può anche mettere per intero, però servirebbe anche qualche riferimento un po' più tradizionale che esponga il punto di vista risorgimentale classico. Resta comunque innegabile il fatto che lo stato unitario italiano si forma in un periodo storico in cui gli stati nazionali venivano visti con favore. Insomma una qualche forma di sostegno intellettuale c'era. --Truman Burbank 17:08, Apr 14, 2005 (CEST)

Ti dirò, è vero, in specie i titoli possono dare un'idea di testi molto sbilanciati ma, credimi, nella maggior parte sono meno radicali di Del Boca.

Però, vedi, da parte tua è stata subito formulata un'obiezione, del tutto ragionevole ed attesa, che non tien conto di un particolare: su un piatto della bilancia noi, oggi, abbiamo la cosiddetta vulgata ufficiale che, sfrondata delle grottesche agiografie d'epoca sabauda (e non solo, io ricordo benissimo i primi flash di storia patria sparatimi nel cervello alle elementari, sarà stato il 1951, 52, e ancora c'erano i commoventi quadretti su Carlo Alberto...mentre re Bomba veniva additato alla nostra riprovazione e noi piccoli napoletani, privi di qualsiasi riferimento alle nostre radici, bevevamo tutto..), presenta pur sempre un quadro nettamente sbilanciato verso un'interpretazione di comodo di quegli avvenimenti.

Certo, era l'epoca dell'affermarsi del principio di nazionalità, ma possiamo esprimere un giudizio sul "come" sia stato realizzato in Italia, tanto più che abbiamo, in parallelo, la nascita del Reich germanico.

Ora, detto che la Prussia stava al Piemonte come un missile sta a un wurstel, noi possiamo ben raffrontare il processo di unificazione germanico con il nostro.

Da un lato, abbiamo la Prussia che, avrà pure avuto (e le aveva) le caratteristiche di uno Stato-caserma, ma ha fatto ricorso all'opzione militare solo contro l'Austria per escluderla da un processo di unificazione basato su principi antitetici a quelli su cui fondava l'Impero Austro-ungarico. Non ha sfondato nessuna porta d'ingresso di nessuno dei principati tedeschi...

Da noi, cosa c'era ? Un Piemonte "militarista all'italiana" , un misto cioè di supponenza e presunzione alquanto cialtronesca, approssimazione, arroganza spacciata per forza.

Abbiamo fatto le migliori "figure" con questa mentalità (per carità, non era prerogativa del solo Piemonte, ma era solo il Piemonte che era militarista...) e ancor oggi, non è che siamo famosi per le nostre virtù militari.

Il processo di unificazione italiano è degenerato nel momento che l'opzione militare è stata rivolta verso un altro Stato, di antica indipendenza, ma, ecco, la vulgata soccorre: "l'intervento fu reso necessario dalla situazione creatasi nelle Due Sicilie", che ricorda sinistramente le motivazioni con cui l'URSS giustificava i propri interventi negli Stati satelliti...

Questa motivazione, più o meno articolata, è comunemente accettata, quasi atto di fede, giusto ? Diamo infatti, per scontato che lo Stato sardo fu in un certo senso "trascinato" dal precipitare degli avvenimenti e quasi "costretto" a scendere al Sud.

Bene, il documentatissimo studio di Martucci, "L'invenzione dell'Italia unita", basato esclusivamente sul carteggio Cavour indagato non per temi ma dando rilievo al suo svilupparsi temporale, non ha lasciato echi se non nel ristretto ambiente degli addetti ai lavori, eppure mostra inequivocabilmente le mire piemontesi sulle Due Sicilie, di volta in volta adattate al contesto internazionale. Si arrivò persino a vagheggiare un utilizzo del corpo di spedizione in Crimea, per uno sbarco a sorpresa (quasi una sorta di ripetizione del saccheggio di Costantinopoli da parte dei Crociati).

Ora, se consideri che ognuno di quei testi è solo una tessera di un mosaico che ancora non si riesce a comporre sol perché esiste già il quadro completo che, ahimè, poco concorda con il suddetto mosaico, non vedrei particolari sbilanciamenti ma opportuni riequilibri.--Emmeauerre 19:36, Apr 14, 2005 (CEST)

[modifica] Aggiunta di 80.182.67.149

La storia di lungo periodo

Né Agazio Loiero né Sergio Abramo né Romano Prodi né Silvio Berlusconi cambieranno la nostra storia, o meglio la nostra posizione di italiani del Sud nella lunga e grande storia. La loro capacità di essere buoni amministratori, o la loro incapacità a esserlo non è ininfluente, ma non esistono le condizioni perché uno o l’altro incidano sulla storia di lungo periodo. Il Sud è incardinato nella vicenda europea sin dal 1200. Lo era stato anche prima, per 700 anni, durante la Repubblica e l’Impero romano. Questo legame, che in verità non ci ha portato mai bene, non è stabile, perché la civiltà europea nasce dalla conquista e quella mediterranea dai traffici. Pertanto potrebbe persino venire sciolto. L’agente di un’ipotetica rottura non sarebbe sicuramente l’Europa, e meno che mai Bossi, ma andrebbe individuato in due forze già operanti sulla scena attuale, sia separatamente, sia sommate: una è la globalizzazione, che appiattisce, disgrega, o annulla del tutto il potere sovrano degli Stati; due, l’insofferenza dei mediterranei verso il modello organizzativo esportato/importato dall’Inghilterra nel corso degli ultimi tre secoli.

La storia è la vicenda secolare di una qualunque formazione sociale che vive sulla Terra. Ma secolare non vuol dire eterna. Intanto le formazioni sociali non coincidono sempre con lo Stato a cui sono giuridicamente appartenenti. Possono essere persino più grandi, ma di solito sono più piccole. Per esempio quella dei Baschi rispetto alla Spagna, quella dei Corsi rispetto alla Francia, quella dei Curdi rispetto alla Turchia e all’Iraq. Inoltre le formazioni sociali sono mobili nel tempo, e da molti punti di vista: il territorio d’insediamento, la lingua, la religione, la morale, la composizione etnica, l’economia, etc. Però la sola modificazione di un aspetto dell’assetto precedente comporta un trauma doloroso, perché di regola c’è chi lo paga e chi se ne avvantaggia. La Calabria, ad esempio, ha pagato il passaggio dal rito greco a quello latino, la sconfitta della dinastia dei Borbone e la vittoria dei Savoia, la fine del mondo contadino e la conseguente emigrazione di massa, mentre i vantaggi sono andati altrove.

Al momento c’è da interrogarsi circa le conseguenze che potrebbe avere l’urto della globalizzazione sulla formazione sociale Sud italiano. La prima cosa da dire è che le armi con cui i monopoli americani, giapponesi ed europei hanno piegato, in molti settori della produzione e del commercio, i vecchi mercati nazionali, nonché gli stessi mercati continentali degli Usa e dell’Unione Europea, hanno avuto l’esito non previsto di fare della Cina, Stato a mercato chiuso, un mattatore della globalizzazione. Sintetizzando, sulla scena economica mondiale ci sono due tipi di globalizzazione, quella liberal-monopolistica, che viene dal precedente assetto industriale, e quella ugualmente liberale –almeno sul mercato internazionale – della grande potenza Cina. Gli effetti delle due globalizzazione si sommano. Il risultato dell’addizione è che l’industria occidentale emigra verso luoghi dove i salari sono bassi, creando disoccupazione nell’Occidente del benessere. Dal canto loro, i manufatti che arrivano dalla Cina disincentivano la produzione manifatturiera occidentale, generando altra disoccupazione.

La globalizzazione rappresenta una rottura nella storia di lungo periodo del mondo occidentale, il quale si era basato sulla modernità industriale per vendere al resto del mondo i suoi prodotti esclusivi e per favorire, con il ricavato, una ininterrotta crescita dei salari e dei servizi sociali. Avvenuta la rottura, tornare indietro non è possibile.

E’ una costante storica che la disoccupazione abbassa i salari. Siccome gli Stati industriali erogano i servizi in forza delle imposte pagate dai lavoratori subalterni, è inevitabile che disoccupazione e salari bassi portino come conseguenza a una riduzione consistentissima dei servizi resi dallo Stato. In ordine cronologico, a essere sacrificati saranno le pensioni, la sanità, la scuola, il pubblico impiego. Alla fine ci sarà il rincrudimento delle leggi penali e di polizia, onde salvaguardare l’ordine pubblico con una spesa minore.

In una situazione del tipo ipotizzato, quanto interesse avrà il sistema capitalistico padano a tenere il Sud nel suo Stato? Poco, molto poco, e quel poco è fatto di droga. Industria pochissima, agricoltura certamente meno. Anche a ipotizzare che l’Italia rimanga una meta turistica, non è difficile immaginare che quel poco di turisti diretti al Sud sarà intercettato più di quanto non avviene oggi, con ogni espediente dai luoghi turistici capitalisticamente più forti.

E quale e quanto interesse avrà la formazione sociale Suditalia a rimanere nello Stato italiano, ove venisse in essere l’ipotetico quadro di cui sopra? In astratto poco, quasi niente. Nella pratica molto di più, perché in tutte evenienze storiche entrano in ballo le tendenze di lungo periodo.

Le popolazioni meridionali non sono così imbelli come la storia unitaria contrabbanda. Ricordiamoci che Carlo III sconfisse gli Austriaci che rivolevano Napoli, che Fabrizio Ruffo batté l’armata francese nel momento delle sua massima gloria e che i contadini resistettero alla successiva calata francese di cinque anni dopo, contrastando i governi di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat così vivacemente che nessuno dei due riuscì mai a governare tutte le province del Regno. Ricordiamoci anche che i nipoti di coloro che avevano combattuto i francesi tennero in scacco per interi anni, nonostante la legge marziale, le armate sabaude forti di 120 mila uomini. Nel primo caso, la forza coagulante della resistenza fu la Chiesa, nel secondo la fedeltà al re legittimo e il bisogno di rimanere se stessi, liberi e indipendenti dal padrone straniero (più che forestiero).

Oggi quale potrebbe essere la morale capace di coagulare una forza indipendentista? Una negazione del presente sta emergendo chiaramente, ed è la sfiducia nello Stato italiano che coinvolge una larga parte della popolazione (salvo i settori della grande distribuzione che godono del Carnevale tremontista e berluschista). Ma non è facile trasformare la sfiducia in azione politica. La sfiducia porta a Caporetto e allo sbandamento dell’esercito nel luglio 1943. Costruire un progetto richiede decenni. Per riportare alla lotta il mondo contadino dopo la batosta della guerra al brigantaggio e l’emigrazione, ci vollero due guerre mondiali e un programma politico, in quel momento, esaltante: la lotta per la terra elaborata dal Partito comunista nei due decenni d’intervallo tra la Rivoluzione russa (1917) e la caduta del fascismo.

Tanto per dirne una, la teoria (tedesca) del pieno impiego della forza lavoro potrebbe soddisfare larghissime aspettative, ma incontrerebbe la fiera opposizione di coloro che ancora immaginano che un salario risparmiato sia un guadagno, ciò in un mondo in cui, se il costo della manodopera esce dalla porta, dalla finestra rientrano sicuramente i sussidi alla disoccupazione.

Frodo Baggins

[modifica] Inesattezze ed (e) inutili esaltazioni nazionalistiche nella voce, da correggere

Si richiama la vostra attenzione sulla frase, della voce “Risorgimento”, sottoriportata, che secondo me non è per nulla enciclopedica in quanto equivoca ed incompleta, inoltre perché contiene delle non verità:

"Prima del periodo napoleonico, l'ideale di unità d'Italia era stato perso dopo la fine dell'Impero Romano ed il frazionamento seguito nel periodo feudale e rinascimentale."

Non è enciclopedica perché l’ideale è qualcosa di soggettivo che non necessariamente è condiviso oggettivamente da tutti, pertanto sarebbe corretto specificare chi lo condividiva e chi no ed eventualmente anche le rispettive ragioni.

È equivoca perché lascia intendere che questo ideale sia stato e sia comune a tutti. Andrebbe specificato anche che nell’attualità molti non condividono per nulla questo ideale.

La non verità è che prima del periodo Napoleonico non è mai esistito un diffuso ideale unitario ne tanto meno è mai esistita in precedenza una unità nazionale italiana.

Forse dovresti ripassare tutta la letteratura italiana da Dante in poi.

Confondere la romanità con l’italianità è un abbaglio e presentare l’italianità e la romanità come se coincidessero è un falso storico.

L’impero romano non è mai stato la mitica nazione italiana del passato, lo spirito/ideale dell’impero romano era universale e non nazionale, infatti la sua storia incomincia in un punto della penisola italica e si espande in tre continenti, estendendo la sua cittadinanza in quai tutti i territori e a quasi tutte le sue genti senza limitarsi alla penisola italica.

Questo è proprio falso. Questo spirito universalistico fu una novità del tardo impero, non certo una peculiare caratteristica della storia romana.

La romanità era sovranazionale o multinazionale, proprio l’opposto dì ciò che si intende oggi e si intendeva ieri con italianità e nazione italiana.

Allora anche la letteratura latina, ad esempio Ennio.

Lo spirito universalista, alla caduta dell’impero d’occidente è passato a quello d’oriente poi al sacro romano impero e alla Chiesa Cattolica Romana e oggi ripreso in parte dall’europeismo finalizzato all’unità continentale dell’Europa..

Il frazionamento nazionale non c’è mai stato, perché mai vi era stata prima una unità nazionale, semplicemente alla caduta dell’impero romano d’occidente è venuta meno l’organizzazione statale imperiale in tutto l'impero romano d'occidente ch’è altra cosa dalla nazione.

Se fosse esistito un nazionalismo italico in epoca romana, come nella voce ipotizzato, non vi sarebbe stato l’espansionismo romano nei tre continenti.

Qui sfugge proprio l'implicazione. Ma che senso ha questa frase? Se lo stato X fosse stato pervaso da ideologie nazionaliste allora non avrebbe invaso lo stato Y? Sembra più valido proprio il viceversa.

In proposito così scrisse Eugenio Alberi nel 1860: “La dominazione romana, la quale soltanto dopo sette secoli d'incessanti e spietate guerre giunse a comprendere l'Italia intera, con opera piú lunga e faticosa che non le abbisognasse per soggiogar l'universo, non intese, nè conseguì di costituire la nazione italiana. È anzi degno d'essere notato com'è la prepotenza invadente dei Romani desse luogo alla prima federazione italica, che sulla fine del settimo secolo di Roma mise la città eterna in procinto di perire sotto lo sforzo delle provincie collegate a rivendicazione della propria autonomia, e come in quella gran lotta campeggiasse il nome d'Italica dato a Corfinio città del Sannio eletta a capitale dei federati, e nel nome d'Italia si combattesse quella lunga guerra, dove, se non la potenza, la libertà romana perì per sempre. Roma, per la quale, come altrove abbiamo detto, ogni conquista fu non un fine ma un mezzo per passar oltre, e dominare dai sette colli sull'universo, tratta dalla missione provvidenziale, che S. Agostino, Dante e Bossuet le riconoscono, e fuor della quale tutta l'opera romana sarebbe inesplicabile, di apparecchiar cioè l'antico mondo occidentale a ricevere la dottrina e il seggio del cristianesimo; Roma, dico, domò le italiche provincie, non le fuse tra di loro e con sè, e in tanto le contenne avvinte al carro di sua fortuna quanto durò in sua mano il freno dell'universo. “L'Imperio di Roma (dice pure lo stesso Balbo) non fu mai italico se non contemporaneamente universale”; e l'unità fattizia della Penisola scomparve non si tosto che quella universalità venne meno.” Tratto dal materiale in libera diffusione nel sito Raixevenete, (libri da scargare: L’idea federalista nel Veneto di Ettore Beggiato).

Si ricorda a tutti che per gran parte dei popoli della penisola italica, il Regno Sabaudo era straniero tanto quanto, l’Austria e la Francia.

È piú che necessario e oltremodo doveroso che la voce sia svolta contenendo tutti i dati possibili su questa realtà chiamata Risorgimento onde non si perpetui la retorica dell’inganno ai nostri figli e alle generazioni che verranno.

Vanno elencati per bene tutti i morti (campi di concentramento e sterminio delle genti meridionali comprese), le sofferenze immani e l’immiserimento diffuso che le guerre di quel periodo infausto chiamato tragicomicamente “risorgimento”, hanno provocato ai popoli della penisola italica, causando l’esodo biblico delle sue genti.

Come tutte le guerre? Come anche, con le dovute proporzioni, le guerre combattute dalla serenissima repubblica veneta contro altre città VENETE per garantirsi un saldo e produttivo entroterra o dei pratici scali nell'Adriatico?

Ideale nazionalistico che oltretutto stride con l'ideale europeista. Solo così si rende giustizia alla storia e si realizza il punto di vista neutrale di Wikipedia.

A parte che non è affatto detto che l'ideale nazionalistico strida con quello europeistico, dato che il secondo è stato proposto/propagandato in termini fra loro spesso molto contradditori, anche fosse, che c'entra con l'articolo? E poi che importanza ha?

Si prega di modificare le inesattezze e le esaltazioni nazionalistiche della voce.--Paolo Sarpi II 17:44, 4 mar 2006 (CET)

Ma scusa invece di spiegare in dettaglio per l'ennesima volta quanto era cattivo l'impero romano e come erano bravi i Veneti, non facevi prima a proporre qui in discussione un testo alternativo sulla frase che non ti soddisfa?
Poi non ho capito: il Risorgimento, fu effettivamente un fenomeno nazionalista: come vorresti descriverlo senza citare queste sue radici? oppure sostieni che non sia esistito proprio e che è tutta un'invenzione? e il regno di Italia si sarebbe formato per la sola forza dell'esercito piemontese e per l'abilità dei suoi politici? come sempre i fenomeni storici sono assai più complessi di quello che ti faccia comodo ammettere per fare spazio alla tua personale ideologia. --MM (msg) 15:08, 5 mar 2006 (CET)


Gentile MM, in questo mio intervento critico non ho affatto affermato che i romani erano cattivi e i veneti fossero migliori (questa polemica riguarda altre voci, non questa), ho semplicemente scritto che in epoca romana non è mai esistito un nazionalismo italiano, tutto quà. La romanità aveva uno spirito universale e non nazionale (italianità). Il nazionalismo italiano ottocentesco può sussistere benissimo senza inventarsi un passato diverso da quel ch'è stato, almeno da un punto di vista storico. Altra cosa è l’ideologia unitaria e la sua retorica che dovrebbero essere trattate in parti appropriate della voce distinguendole da altri aspetti e fatti storici. Sono d'accordo anch'io che i fenomeni della storia sono assai complessi, non ho timori o dubbi su questo. La nazione è altro dallo stato e non vanno confuse.

Ciò che esisteva in epoca romana era un certo tipo di centralismo statuale, quello imperiale (con le sue suddivisioni amministrative dei territori, che ricalcavano le nazioni o le terre etnicamente omogenee), centralismo statale imperiale multicontinentale ch'è altra cosa da una unità nazionale come quella italiana. Capisco che sia una questione non facile da sbrogliare. Raccontare i fatti con obiettività è un’esercizio che dobbiamo imparare.

Si potrebbe scrivere che i fautori dell’unità statuale italiana nell’ottocento (specificando anche che tale unità non era da tutti condivisa e desiderata), hanno richiamato l’antica unità statuale romana, (rimarcando che questa era più universale che nazionale), come elemento comune a cui rifarsi storicamente. Tralasciando gli eccessi retorici degli idealismi che tanto danno a volte hanno fatto e fanno. Sicuramente conoscerai la storia della formazione dello stato germanico ad opera dei prussiani che non hanno sparso una goccia di sangue e che è stata preceduta da politiche economiche unitarie come per esempio la eliminazione delle barriere doganali, per poi arrivare all’unità statuale senza provocare miseria, fame e migrazione, oltre ai milioni di morti che i Savoia e loro sostenitori hanno sulla coscienza. Capisci da sola la differenza.

Basta semplicemente raccontare le cose come stanno, i fatti e tralasciare le “ridondanze e le falsificazioni” dei testi scolastici.

Sicuramente nella penisola v’erano un sacco di problemi che cercavano soluzione ma dai risultati prodotti dai Savoia sicuramente questi problemi si sono all’epoca aggravati e a tutt’oggi ne paghiamo ancora le conseguenze. In terra veneta si desiderava uscire dal degrado napoleonico e dalla servitù austriaca e l’idea unitaria italiana a taluni è parsa una buona soluzione, i fatti successivi purtroppo hanno dimostrato il contrario.

Per il bene delle nostre genti e per un futuro migliore, limitiamoci a raccontare le cose come stanno senza nascondere le disgrazie, le magagne, i peccati e i delitti; cosí almeno diamo un buon servizio affinché non si ripetino gli stessi errori.

Per curiosità datti un’occhiata al testo dell’inno nazionale tedesco e confrontalo con quello italiano.--Paolo Sarpi II 20:35, 5 mar 2006 (CET)


Se ho capito quale fosse per te il problema ho corretto l'inizio, eliminando il termine ideale. Che sia invece esistita un unità politico-amministrativa dell'Italia sotto il dominio romano mi sembra un dato di fatto difficile da contraddire. Se c'è qualche altra cosa che secondo te non va, dato che mi è personalmente difficile farmi interprete del tuo pensiero, sei pregato di scrivere. direttamente tu. quello che vorresti fosse inserito. Se non vuoi inserirlo direttamente nella voce, inseriscilo pure (possibilmente senza altre tirate, ma fa' un po' tu) in discussione, senti che opinioni raccogli e se c'è un consenso, inseriscilo tu stesso nella voce. Ad occhio, ma sono tutt'altro che particolarmente interessata al periodo, non mi pare che nel nazionalismo ottocentesco italiano fosse predominante il richiamo al modello dello stato romano (caso mai mi pare più evidente il richiamo dei rivoluzionari francesi alla storia romana repubblicana). I danni fatti dall'unificazione, se ben documentati e accertati, senza a loro volta una retorica da "milioni di morti", possono essere tranquillamente citati, compreso un riferimento, ove mancasse alla ben nota "questione meridionale". --MM (msg) 21:30, 5 mar 2006 (CET)
PS: hai ragione: siamo passati oltre alla contrapposizione tra Romani e Veneti: qui i cattivi sono i Piemontesi e i buoni i Prussiani...

Sicuramente conoscerai la storia della formazione dello stato germanico ad opera dei prussiani che non hanno sparso una goccia di sangue e che è stata preceduta da politiche economiche unitarie come per esempio la eliminazione delle barriere doganali, per poi arrivare all’unità statuale senza provocare miseria, fame e migrazione, oltre ai milioni di morti che i Savoia e loro sostenitori hanno sulla coscienza. Tanto per cominciare, Bismarck insieme all'Austria fece guerra alla Danimarca per conquistare i ducati di Schleswig ed Holstein (1864), nel 1866 la fece all'Austria per tenersi in mano entrambi i ducati. In questo caso, erano alleati con l'Austria la Baviera, la Sassonia, l'Hannover ed altri stati tedeschi. Alleati con i serafici prussiani i cattivi Savoia, che si presero il Veneto (per il dolore di Paolo Sarpi II). Poi nel 1870 fece la guerra a Napoleone III. Dalla Germania unificata partirono migliaia di emigranti verso l'America, al punto che, a tutt'oggi, i tedeschi sono il maggiore gruppo etnico degli Stati Uniti (più degli Inglesi e degli irlandesi). Milioni di morti dove? Duroy 23:50, 6 mar 2006 (CET)


Correttissimo Duroy! Non solo; dopo la guerra del 1866 la Prussia si annette qualche Stato Tedesco che ha combattuto contro di essa (ma sembra che lei possa farlo): tra cui l'Hannover ed il Nassau per non citare che i più importanti. Nel 1870 La Baviera riluttante - ma anche la Sassonia - si trovò costretta a combattere a fianco della Prussia e non per la Germania Unita, che a loro importava molto poco, ma per fare in modo che il sovrano di Prussia diventasse l'Imperatore di Germania. Tra le altre cose sembra che Luigi II di Baviera venne costretto all'abdicazione un po' perchè era veramente matto, un po' perché era anche antiprussiano! Vedi sembra che se una cosa la fa la Prussia è buona la fa il Piemonte...no. Quanto poi all'efficienza militare prussiana, la grande fortuna di Bismarck è stata di avere di fronte i generali francesi, perché i suoi a Gravelotte sono stati lì lì per perderla la battaglia! --Edoardo.Dedo 16:17, 15 feb 2007 (CET)

[modifica] Sarebbe gradito che i miei ultimi interventi alla voce ricevessero qualche segnale.

Gradirei che i miei ultimi interventi alla voce ricevessero qualche segno di critica, d'indirizzo, di disapprovazione o di approvazione (?) e magari qualche contributo. Contributo, in particolare relativamente a personaggi del centro-sud Italia che sono stati rappresentativi del periodo risorgimentale a qualsiasi titolo, pro o contro.--Paolo Sarpi II 17:30, 6 mar 2006 (CET)

Rispondo qui al messaggio di Paolo Sarpi II.
  • Se una Storiografia non ufficiale (e quindi, par di capire, più affidabile), chiamasse il periodo in questione in un altro modo - magari Decadimento o Funerale - avrebbe senso parlare della definizione "Risorgimento" come propria di una "storiografia ufficiale". Al contrario, anche i più polemici utilizzano titoli come "Controstoria del Risorgimento" "Indietro Savoia!" e simili per far capire di che trattano.
  • Casa Savoia divenne il centro del processo d'unificazione solo nel 1848. Definire il Risorgimento unicamente come un affare monarchico è, dunque, impreciso (oltre che offensivo per i vari Mazzini, Cattaneo e Manin).
  • I vari stati si erano sempre fatti la guerra e, quando divennero troppo esausti per farsela, la penisola divenne teatro di battaglie altrui. Le guerre in Italia non sono iniziate nel 1815. Del resto, non connoterei il termine Risorgimento in senso positivo o negativo e, quindi, non vedo perché travagli, conflitti e simili dovrebbero costringerci a trovare un altro nome.
  • Che al tempo dell'Impero Romano esistesse un'unità amministrativa dell'Italia è un fatto, come è un fatto che questa unità venne dissolta con l'invasione longobarda. Nemmeno è dubbio che i vari stati regionali siano nati dalle conquiste effettuate dalle entità politiche più forti. Per caso, magari, i confini dei vari ducati, granducati, repubbliche, vicereami si fissarono qualche rara volta su quelli di unità amministrative pre imperiali. Mi sentirei però di escludere che la passata esistenza di queste antiche unità amministrative abbia avuto un qualche ruolo nella definizione dei confini stessi. Del resto, che unità è mai esistita tra Bergamo ed il Friuli, Bologna e la Ciociaria, Napoli e Palermo?
  • Inutile elencare tutte le rivoluzioni dal 1688. Limitiamoci agli antefatti che ebbero un rapporto più diretto con il Risorgimento. L’illuminismo, con la sua critica delle istituzioni precedenti (che ebbe anche effetti negativi) e le invasioni napoleoniche, che dimostrarono la potenza di uno stato nazionale.
  • L'emigrazione, spiacente, non è stata causata dal Risorgimento, ma dalla crisi agricola che colpì tutta l'Europa nella seconda metà del XIX secolo. Prova ne è che da tutta Europa si emigrò verso le Americhe. Il Risorgimento c'entra come i cavoli a merenda. Duroy 22:59, 6 mar 2006 (CET)


Per quanto può valere condivido in pieno le critiche e le correzioni di Duroy. --MM (msg) 23:39, 6 mar 2006 (CET)


Che il termine Risorgimento rispetto a quanto accaduto in quel periodo, [(resistenza al sud, con lo sterminio di centinaia di miliaia di uomini-donne-bambini, anche in campi di concentramento; la fame e la miseria e l’esodo biblico causato dallo sconvolgimento delle guerre risorgimentali e dalle sue spese fatte pagare ai popoli, specialmente alle Venezie, con le tasse sul macinato, l’esproprio delle terre comunali e del clero, con le risorse finanziarie assorbite dall’economia di guerra tolte alle attività produttive, con il conseguente impoverimento generale delle campagne e delle sue genti che vivevano della terra, ecc. ) che qualcuno vorrebbe rimuovere come inesistenti o attribuibili ad altre cause per non macchiare l’immacolata veste risorgimentale],...non sia adeguato per molti aspetti è piú che evidente.

Che la fase risorgimentale, il suo esito e le successive vicende coloniali, poi la prima guerra mondiale sino alla seconda...siano state foriere di immani sofferenze, di miseria, di morte e distruzione e di emigrazione biblica, restano fatti innegabili, anche se qualcuno tende a negarne l’evidenza come avrebbero fatto in U.R.S.S. se fosse accaduto un fatto come Chernobyl, avrebbero negato che vi fosse relazione tra le successive malattie tumorali mortali e l’esplosione del reattore.

Per quanto riguarda la relazione tra Bergamo e Udine, bastano i secoli della loro appartenza alla millenaria Repubblica Serenissima Veneta, storia che ovviamente a gran parte dei Wikipediani é stata negata, ricevendo in compenso abbondanti dosi di romanità e di risorgimento con cui è stata impastata la loro anima al punto che si rifiutano di riconoscere la realtà poiché non corrisponde a quanto gli è stato inoculato in decenni di scuola di stato e rimettersi in discussione non è da tutti.

Che Casa Savoia abbia egemonizzato il complesso e articolato processo storico risorgimentale a suo vantaggio (espansione della sua potenza a danno degli altri) resta un fatto innegabile e per i crimini compiuti dovrebbe al pari di tanti altri, come Milosevic, essere perseguita da un qualsiasi tribunale come quello dell’Aja, ma c’ha pensato e ci penserà la storia a disfare il malfatto.

Anche oggi vi è chi afferma che i Libici dovrebbero ringraziare l’Italia per aver portato loro la civiltà fatta di strade ponti e ferrovie, come un tempo Roma (si racconta) aveva portato strade, ponti e aquedotti (le ferrovie ancora non erano state inventate). Che importanza possono avere qualche centinaia di miliaia di barbari e incivili beduini avvezzi al dorso del cammello se sono stati accoppati, magari bruciandoli con il lanciafiamme o con il gas. Le bestie dovrebbero essere sempre grate poiché la loro vita appartiene ad altri esseri piú civili.

In epoca romana non esisteva la nazione o lo stato italiano ma l’impero romano che non aveva alcunché di nazionale in senso “illuministico o moderno” in quanto era uno stato imperiale con uno spirito universale, come furono quelli brevi di Napoleone e per taluni aspetti anche di di Hitler e un pò più lungo quello di Stalin.

L’esaltazione della unitarietà statale e della patria Italia alla luce di tutto quanto accaduto è abominevole.

Il bene non si ottine con il male, il bene si ottiene soltanto con il bene.

Comunque l’importante è che nella voce non vi siano esaltazioni nazionalistiche, poiché almeno per me il sacro è tutt’altra cosa dallo stato italiano e dalla sua unità.

A volte ho la sensazione, quì in Wikipedia, di trovarmi di fronte a funzionari (dipendenti o d’elezione) del Ministero della Verità d’Orwelliana memoria o degli innumerevoli altri Ministeri della Propaganda propri di tutti i regimi totalitari, il cui compito era ed è quello di raccontare l’unica Verità possibile e ammessa, oltre tutto “scientificamente” dimostrabile, con il contributo di innumerevoli e servizievoli scienziati.--Paolo Sarpi II 20:37, 7 mar 2006 (CET)

A volte ho la sensazione, quì in Wikipedia, di trovarmi di fronte a funzionari (dipendenti o d’elezione) del Ministero della Verità d’Orwelliana memoria o degli innumerevoli altri Ministeri della Propaganda propri di tutti i regimi totalitari, il cui compito era ed è quello di raccontare l’unica Verità possibile e ammessa, oltre tutto “scientificamente” dimostrabile, con il contributo di innumerevoli e servizievoli scienziati A volte ho anch'io questa sensazione... Duroy 21:32, 7 mar 2006 (CET)
Caro Duroy se fosse per me nelle voci troverebbero spazio tutti i punti vista e i relativi dati.

Personalmente non cancellerei quelli contrari al mio. Mi sembra di averlo dimostrato anche con i miei apporti a questa voce, dove ho aggiunto altri punti di vista senza cancellare nulla. Certo che se si relativizza ciò che alcuni vorrebbero come assoluto, questi cessa di essere tale. Non mi sento affatto un funzionario di un qualsiasi Ministero della Verità, mi farebbe piacere soltanto che la Verità fosse plurale come l'universo e le stelle. E che la terra continuasse a girare intorno al sole.--Paolo Sarpi II 22:05, 7 mar 2006 (CET)

[modifica] Da spostare sotto altra voce

I capoversi che seguono, a mio modesto avviso, dovrebbero essere inseriti in una voce dedicata al periodo napoleonico in Italia. Preferibilmente, dopo essere stati controllati e resi meno polemici. Duroy 23:24, 6 mar 2006 (CET)

In particolare l'arte serica, prima molto fiorente al nord, subì una battuta d'arresto, ed in generale anche le altre attività economiche a partire dall'agricoltura languivano anche a causa della scarsità di manodopera; infatti i francesi avevano introdotto per primi la leva obbligatoria, rifornendo la Grand Armée ed allontanando per anni i giovani più validi dal lavoro dei campi e dalle arti; se a questo contesto aggiungiamo le taglie di guerra, le servitù militari e le altre corvè a carico delle casse comunali possiamo capire lo stato miserevole della vita popolare al nord.

Per fare un esempio lo storico Balletti, parlando di Reggio Emilia capitale della Repubblica Cispadana, indica nell'epoca una popolazione complessiva di 50mila persone, di cui 30mila ufficialmente registrati come "mendicanti". Le spoliazioni a danno delle comunità religiose e lo scioglimento degli ordini religiosi furono un obiettivo costante dei governi giacobini insediatisi, che attraverso i decreti di esproprio alienavano ori, argenti e opere d'arte a titolo di corvee. Altro indicatore del disagio sociale ed economico fu l'inizio dell'emigrazione al nord Piemonte e Veneto in testa (vedi L. Carpi, R. Bacchelli); principali mete furono inizialmente Francia e Svizzera poi le Americhe.

Ma se al nord si piangeva al sud non si rideva; infatti l'esercito francese si spinse anche al sud sotto la guida di Manhes, instaurando nel 1799 la Repubblica Napoletana che visse pochi mesi in forza delle repressioni militari, finché la reazione popolare (Sanfedisti) organizzata in nome della difesa della fede cattolica mise fine all'esperimento giacobino.

Successivamente, dal 1806 al 1815 il Regno di Napoli fu nuovamente dominato dai francesi, sebbene nelle province più lontane il controllo non fu mai totale e le sacche di resistenza non furono mai domate.


  • +1 --MM (msg) 23:41, 6 mar 2006 (CET)

[modifica] Un altro complotto contro l'Italia?

Con queste premesse, nel quadro degli interessi internazionali di Inghilterra e Francia, divenne appetibile una unificazione politica sotto il controllo del Regno di Sardegna filofrancese, piuttosto che una federazione autonoma di stati italiani, che non avrebbe portato vantaggi economici agli stati settentrionali.

Si tratta di una considerazione molto personale di chi scrive. Quali stati italiani volevano, in concreto, federarsi? E perché non lo fecero? Forse per un complotto anglo - franco - piemontese? E se l'Impero d'Austria si fosse fatto paladino di una simile soluzione? Duroy 23:33, 6 mar 2006 (CET)

[modifica] Risposte, ricchezza, brigantaggio

A Paolo Sarpi chiedo di avere un po' di pazienza quando chiede commenti: bisogna dar tempo di leggere con calma e valutare. Alcune prime osservazioni:

  1. Il brigantaggio già esiste come voce separata: conviene fare riferimento e confrontare;
  2. la ricchezza del sud confrontata alla povertà del nord mi risulta ben riportata da Zitara, che comunque è uno storico poco noto al nord. A livello indicativo vale la pena di ricordare che la prima ferrovia d'Italia fu nel Regno delle due Sicilie e che le solfatare siciliane valevano nell'800 più o meno come vale oggi il petrolio iracheno.
  3. concordo sul fatto che il termine Risorgimento (come pure brigantaggio) esprime un punto di vista, ma conviene usare i termini entrati storicamente nell'uso comune.
  4. L'ideale dello stato-nazione era comunque un fatto nell'800 e non credo ci sia bisogno di criticarlo in sé. La critica andrebbe fatta al modo in cui fu realizzata l'unificazione italiana. L'ideale europeista di oggi mi appare analogo a quello che fu il nazionalismo nell'800: qualcosa di sostanzialmente valido che richia di essere manipolato per obiettivi ignobili, in definitiva una moda politica.
  5. A Duroy faccio notare che, se l'idea dell'unificazione italiana era effettivamente diffusa, allora c'erano varie idee su come avrebbe potuto realizzarsi. L'idea di federazione a me risulta circolasse tra i mazziniani ed alcune frange clericali.

--Truman Burbank 10:20, 7 mar 2006 (CET)


  • I termini Risorgimento e Brigantaggio sono effettivamente entrati nel linguaggio comune. Per questo avevo sostenuto che è necessario usarli senza dare loro un significato ulteriore, ma semplicemente per indicare un periodo ed un fenomeno storico.
  • La maggiore ricchezza del sud è un argomento tirato sempre in ballo dalla polemica meridionalista, ma è smentita da molti dati, relativi al reddito, alle infrastrutture, ecc. Si ricorda che, nonostante la famosa prima ferrovia, nel 1861 gran parte del regno delle Due Sicile fosse carente non solo in fatto di strade ferrate, ma anche di strade. Quanto allo zolfo siciliano, è esatto il paragone con il petrolio iracheno (e di molti altri paesi): una grande ricchezza nel sottosuolo, che però necessita di essere sfruttata con capitali e competenze non sempre reperibili in loco e non combia di molto, quindi, le condizioni in cui vive la stragrande maggioranza della popolazione. Poi i dati li si può girare a piacere. Molte zone del sud erano ragionevolmente ricche, nel senso che era ragionevolmente ricca una parte della popolazione ed una parte ragionevolmente ampia delle persone comuni stava meglio che altrove. Lo rimasero anche in seguito. Si è dimenticata la celebre Palermo dei Florio e delle ville liberty?
  • Non dubito che l'idea di federazione fosse diffusa in ambienti intellettuali. Fosse stata diffusa anche in ambienti politici, nel senso delle varie corti, magari avremmo avuto uno stato federale. Duroy 21:24, 7 mar 2006 (CET)


  • Il termine Risorgimento è storicizzato. Si può spiegare nell'articolo in una sezione critica il perché oggi non sia ritenuto adeguato e chi non lo ritenga adeguato, anche aggiungere spiegazioni sul modo in cui è stato introdotto. Ma usare un altro termine significherebbe prendere posizione "contro" il Risorgimento e un'enciclopedia non prende posizione e si limita a descrivere.
  • In questa sezione critica si possono anche introdurre le "immani sofferenze" prodotte dal processo di unificazione per come si è storicamente realizzato, ma deve essere una descrizione sui fatti, non una tirata retorica e propagandistica "contro" qualcosa.
  • Non vanno bene né le esaltazioni nazionalistiche, né quelle antinazionalistiche: togliere le une per inserire le altre non mi parrebbe affatto un miglioramento.
  • Certamente vanno riportate tutte le voci, ma su una base razionale e in modo oggettivo: le affermazioni vanno provate, possibilmente su basi attendibili e utilizzando le proprie capacità critiche, argomentate e non fatte in modo apodittico, e i fatti vanno descritti in modo oggettivo senza sovrastrutture retoriche: altrimenti vanno bene in un articolo di propaganda e non in una voce enciclopedica.
  • Infine le informazioni vanno inserite senza "andare fuori tema": in una voce che tratta il Risorgimento lo spirito nazionalistico o universale dell'impero romano, per esempio, non c'entra: esiste la voce "Impero romano", alla quale si può linkare, dove l'argomento può essere affrontato.
  • Tutte le opinioni hanno diritto di essere espresse, ma non tutte le opinioni sono uguali: alcune sono più sensate, scientificamente provate, derivano da un procedimento razionale; altre sono più campate in aria, o basate su sensazioni e su ideologie. In proporzione le prime hanno maggiore spazio su un progetto che sulla razionalità e l'oggettività si dovrebbe basare, come un'enciclopedia, le altre possono essere più dettagliatamente espresse altrove e qui vanno solo citate.
  • Dire che gli "scienziat"i genericamente intesi siano al servizio del "potere" perché non sono d'accordo con le nostre opinioni e quindi sono contro la "Verità" è un'affermazione tranquillamente ribaltabile e (mi si perdonerà) piuttosto sciocca: può essere che siamo noi a desiderare che siano al servizio delle nostre idee e del nostro "potere" (qualsiasi cosa questo voglia dire) e potrebbe anche venire il dubbio che in generale gli scenziati siano semplicemente al servizio della conoscenza, anche quando i fatti non coincidono con le nostre verità personali.

--MM (msg) 09:17, 8 mar 2006 (CET)


1. La prima ferrovia, realizzata nel reame borbonico, venne definita dallo stesso Montanelli un "balocco" del re, assolutamente non progettata per un piano di sviluppo economico. 2. Le solfatare siciliane erano in effetti paragonabili al petrolio iracheno: sfruttate principalmente da società straniere, la richezza veniva assorbita da quaste società e da una ristretta cerchia di beneficiari locali. 3.Il bilancio del regno delle 2 sicilie era in pareggio o spesso in attivo, per il fatto che l'amministrazione del regno non spendeva NULLA in infrastrutture, sanità, scuola, progetti di sviluppo. 5. L'endemico banditismo del sud italia risaliva all'epoca della fine del dominio aragonese, spesso questo fenomeno si colorò di istanze "sociali"(sanfedismo, lotta all'occupazione napoleonica), ma in concreto il banditismo nacque a causa dello stato di miseria e di abbandono in cui erano lasciate le campagne, certo si accuì nei periodi di crisi come la conquista garibaldina e l'occupazione piemontese. Dargli una giustificazione legittimista di lotta contro l'invasore del nord come cercarono di dagli i borbonici allora e qualche storico meridionalista ora, mi pare un pò esagerato:certo i briganti di allora l'accettarono senza problemi dato che avrebbe giustificato le loro ruberie. Frà Giovanni Da Villa


  • Francamente, il parere di Montanelli come storico vale come il due di coppe. Brillantissimo, certo,e chi lo discute, peccato sia molto superficiale e a senso unico. Si vede che i Regni meridionali erano il Paese dei Balocchi..., perchè questi accidenti di Borbone non si facevano mancar niente: Prima Cattedra di Economia (1754), Prima nave a vapore nel Mediterraneo (1818), Primo ponte sospeso in ferro nell'Europa continentale (1832), Primo osservatorio vulcanico nel mondo (1841), Prima rete di fari lenticolari a luce costante in Italia (1841), Prima locomotiva a vapore costruita in Italia (1845) (Il Reegno di Sardegna ne acquistò 4...), Primo bacino di carenaggio in muratura in Italia (1852).

C'erano stati anche altri sfizi, nel '700, dalle Seterie di San Leucio che è un insieme di primati nel campo previdenziale, pensionistico, di educazione scolastica e ai mestieri. Ah, e il San Carlo ? Il Real Teatro di San Carlo, nato 50 anni prima della Scala, è stato il prototipo di quel genere di teatro, per struttura e dimensioni.

  • Le solfatare siciliane erano sfruttate da Compagnie britanniche, verissimo, e altrettanto vero è che le condizioni erano molto simili a quelle che in epoca pre-Mattei le 7 Sorelle erano use imporre ai Paesi proprietari. Ferdinando II per questa ragione, tentò di modificare la situazione indicendo un'asta che fu vinta da Società francesi che offrivano condizioni nettamente migliori.

La Gran Bretagna reagì con quella signorilità e sportività che la distingue: inviò la Home Fleet davanti le coste napoletane ma, inizialmente, Ferdinando era deciso allo show-down ritenendo di avere un asso nella manica. Infatti, in quel momento, Napoli era la sola ad avere navi militari a vapore nel Mediterraneo ed effettivamente si trattava di un vantaggio non da poco. Ma l'asso risultò una scartina: i macchinisti imbarcati erano inglesi e molto lealmente informarono i loro comandanti che non avrebbero condotto quelle unità contro navi della propria Nazione. Napoli dovette quindi accettare la mediazione della Russia, le solfare tornarono agli Inglesi a condizioni comunque più favorevoli. Tutto a buon fine, allora ? Ci furono alcune conseguenze: Il Monarca napoletano volle che allo Stabilimento di Pietrarsa venisse annessa una Scuola per Macchinisti per avere maestranze nazionali. La Gran Bretagna escluse definitivamente le Due Sicilie dal novero delle Nazioni affidabili (i.e. Stati di II fila troppo "indipendenti") il che ebbe conseguenze a medio termine, ben note.

  • Il bilancio dello Stato NON era in attivo, tant'è vero che anche le Due Sicilie portarono il loro granello di debito pubblico all'unificazione (anche se ben più contenuto rispetto alla Sardegna)

La politica dello Stato meridionale era basato sul criterio del risparmio per la spesa successiva. E' piuttosto difficile affermare che non si spendesse, per es. per la sanità pubblica, in uno Stato che, per primo, aveva introdotto la vaccinazione antivaiolosa di massa e lo stesso Re, Ferdinando IV se ne fece promotore con la vaccinazione pubblica dei figli per vincere la diffidenza popolare (alimentata anche dalla propaganda clericale che considerava demoniaco quell'intervento), o , dopo qualche decennio quando il colera arrivò per la prima volta in Europa: unico Stato Italiano a sposare la tesi del contagio per contatto (l'altra propendeva per fluidi eterei...), istituì un regolare cordone sanitario e pratiche di quarantena per le navi, ovviamente beccandosi la taccia di"illiberale".

  • L'endemico banditismo meridionale era fenomeno europeo. Basta leggere un pò, anche distrattamente.

Aggiungo una notazione: i Reali Carabinieri dello Stato Sardo nacquero nel 1814 (o 1815?, non ricordo e non ho tempo di controllare) al fine di reprimere il brigantaggio endemico in alcune zone del Piemonte e che, nel periodo immediatamente successivo al crollo napoleonico, conobbe una forte recrudescenza. Ciao. --Emmeauerre 20:49, 15 feb 2007 (CET)

Sono d'accordo con Emmeauerre: Montanelli non è uno storico, ma allora neanche Messori, che ho letto citato sopra, è affidabilissimo (gli brucia ancora una recente polemica sui Catari in cui ha sostenuto tesi francamente risibili....) mentre Del Boca cade nello stesso errore degli agiografi del Risorgimento, solo in negativo. Il Regno delle Due Sicilie, come ogni stato pre unitario, non era un "paese dei campanelli". Era uno stato vero e proprio con i suoi pregi ed i suoi difetti ma questo non te lo fanno studiare a scuola; a scuola non si studia veramente la Storia. Ora i Borbone Napoli erano nel 1860 dei "miracolati", prima, durante le guerre napoleoniche, restarono a galla perché li proteggeva la flotta britannica, poi, alla fine, rischiarono anche di perdere i domini continentali. Infatti se Murat non avesse avuto un attimo di resipiscenza e non fosse tornato all'ovile napoleonico ci sarebbe stato l'equivalente meridionale della Svezia di Bernadotte. Le solfare erano in mano inglese perché questi le consideravano una specie di pagamento dell'appoggio - vitale - dato ai Borbone - dal loro punto di vista avevano ragione! -. Ricorda che l'exploit di Ruffo riesce solo perché la flotta di Nelson blocca Napoli. Quando più tardi torneranno i francesi non ci saranno più marce sulla capitale di eserciti di "straccioni" sanfedisti. Rimarrà il brigantaggio endemico, questo sì, - sia delinquenziale sia "politico-legittimista"- ma questo era tipico del Paese e, come si è notato, di quasi tutti gli stati taliani della prima metà del XIX secolo. I Borbone non erano stupidi, anzi, secondo me sbagliarono "semplicemente" politica, pensarono (lo accenna Campolieti nelle sue biografie) che favorire il progresso (un paternalistico assolutismo quasi illuminato) li avrebbe messi al sicuro dalle rivendicazioni politiche della borghesia meridionale (avvocati, militari, funzionari, ecc...)di cui poco si fidavano. Questa era la loro politica fin dal settecento, fin da prima che addirittura si pensasse alle costituzioni. Da ciò gli innegabili e rimarchevoli primati meridionali. I guai cominciano però proprio con la Gran Bretagna, i Borbone dovettero concedere la Costituzione alla Sicilia (1812) e con questo aprirono una prima falla nella loro concezione del potere. Dopo la Restaurazione ad ogni rivolta, civile o militare - ex soldati murattiani molto spesso - i Borbone concedono una costituzione, la giurano, poi cercano appoggi all'estero per ritirarla armi alla mano. Nel 1848/49, giustamente spaventati (dal loro punto di vista) dalle velleità indipendentiste della Sicilia (ricordiamoci che già dal nome dello Stato si presupponeva una Sicilia autonoma) stroncano con una vera e propria guerra gli indipendentisti dell'isola. Quindi, nonostante la ferrovia - che però rimarrà sempre, purtroppo una specie di giocattolo reale - a dispetto di San Leucio - questo sì esperimento interessante - e di una marina mercantile apprezzabile e vivace, la dinastia perderà, a causa di questa sua politica "reazionaria" (termine di comodità) la fedeltà degli elementi chiave dello stato. Il risultato sarà esiziale: nel momento cruciale, aggrediti (anche se io sono filo risorgimentale il verbo ci sta) da uno stato mediamente efficiente - per l'epoca e per le sue dimensioni - come il Regno Sardo, con una regione vitale "secessionista" per vendetta: la Sicilia, la dinastia e quindi il Regno,non avranno la fedeltà assoluta di quella che avrebbe dovuto essere la spina dorsale del Paese. Non dimentichiamo infine che, nel 1859/60, dopo una lunga serie di errori in politica estera, il Regno delle due Sicilie era isolato diplomaticamente anche dai suoi alleati austriaci; poteva vantare buone relazioni solo con la Russia. Anche per questo la Gran Bretagna, che aveva combattuto in Crimea, proprio per tenere lontano lo Zar dai "mari caldi" molla il suo tradizionale alleato mediterraneo (grazie anche ad una campagna stampa antiborbonica orchestrata abilmente in Gran Bretagna). Ovviamente questo è solo uno schizzo di una storia ampia e complessa, ma volevo portare all'attenzione anche questi particolari. Grazie e Ciao --Edoardo.Dedo 09:58, 19 feb 2007 (CET)

[modifica] Una ricostruzione onesta

Non sono d'accordo su alcuni aspetti ma, nel suo insieme, la tua è una interpretazione molto condivisibile. Ti dico gli aspetti su cui potrai trovare ampia documentazione per rivedere talune tue affermazioni: la ferrovia non era un "giocattolo reale", verissimo che era limitata al napoletano-salernitano ma di certo saprai che il primo grande scandalo del nuovo Stato scoppiò proprio sulle Ferrovie meridionali: al 1861 esistevano i progetti esecutivi delle linee per Foggia e la Pescara-Brindisi, esistevano i fondi (la pessima abitudine borbonica di spendere quel che si aveva...), erano stati realizzati alcuni ponti e viadotti (il territorio meridionale non è facile come la pianura padana...), l'impresa aggiudicataria, la francese Talabot si accingeva a partire..tutto fu interrotto dall'arrivo dei garibaldini e fin qui niente di strano, il guaio venne dopo: due banchieri toscani (entrambi di "patriottiche benemerenze") si proposero al posto dei Francesi (il sentimento nazionale già faceva sentire il suo peso...) e uno dei due fu anche raccomandato da un altro illustre "padre della patria", Giuseppe Mazzini con l'argomentazione, invero interessante, che "l'uomo non mirava al profitto personale ma al vantaggio per la cassa del partito" (poi, se mi dai tempo, vado a ripescare la citazione letterale), sottile distinguo in materia di svaligiamento di casse pubbliche che troverà grande fortuna in questo allegro Paese. Per chiudere il discorso, tutto comunque sfumò, perchè in quel paio di mesi i garibaldini dilapidarono anche quei fondi. E anche questo è un argomento di grandissimo rilievo sul quale oggi si comincia ad accendere qualche...candela.

La politica della Gran Bretagna, superpotenza dell'epoca, era improntata al cinismo proprio delle superpotenze. Son d'accordissimo che le tante giravolte del Murat gli fecero perdere il treno della soluzione alla Bernadotte (ma, non vorrei ricordare male, anche l'Olanda, o no?)che la Gran Bretagna non vedeva male anche perchè questo gli avrebbe consentito di espropriare definitivamente la casa borbonica della Sicilia (esemplare l'azione del Bentick...) ripetendo il bis di Malta che, come sai, era terra siciliana infeudata ai Cavalieri di San Giovanni, su cui - in nome di Sua Maestà Siciliana - gli Inglesi pianteranno il proprio vessillo durante le guerre napoleoniche. Un discorso approfondito, che esca dalla abusata litania del Borbone spergiuro va fatta sulla Costituzione del '48. Ma riprenderemo il discorso. E' sempre un piacere quando si argomenta alla ricerca di una sintesi che dia conto di aspetti per il passato, volutamente o meno, in ombra. --Emmeauerre 13:30, 19 feb 2007 (CET)

[modifica] C'è un pò di tutto

Ho eliminato, nel paragrafo Il contesto storico la frase troppo spesso in conflitto che non mi sembra appropriata: in effetti, l'assetto statuale della Penisola dopo le Guerre di Successione del primo Settecento, fatti salvi i non irrilevanti "aggiustamenti" (Presidii, Genova, Malta, Venezia), non è insidiato da alcun conflitto fra gli Stati Italiani. --Emmeauerre 13:34, 18 feb 2007 (CET)


[modifica] Riprendo il discorso

Ciao Edoardo. Come già detto, la tua è una esposizione onesta anche perchè sai contestualizzare: solo che, perdonami, ogni tanto concedi qualcosina al tuo animo "filorisorgimentale".

Mi riferisco a quell' apparente andirivieni di costituzioni concesse e ritirate dai Borboni che li fa apparire dei congeniti spergiuri: per ora, tralasciamo la siciliana del '12 e quella del '48.

Parliamo delle vicende del '20-21. Sull'onda dei fatti napoletani, si mossero anche i liberali piemontesi tanto più motivati dal fatto che nel Regno di Sardegna "restaurazione" non era stata una semplice parola ma un sostanziale "dov'eravamo rimasti ?".

A tal riguardo, una digressione, la configurazione in Stato unico dei Regni di Napoli e Sicilia con la nascita delle Due Sicilie fu un escamotage diFerdinando IV per introdurre inSicilia l'ordinamento napoleonico con l'eversione della feudalità e per rendere "lettera morta" la costituzione del 1812 che per mò lasciamo ancora da parte.

Ma torniamo al Piemonte: converrai che l'atteggiamento di Carlo Alberto (che come reggente concesse il 13 marzo 1821 la costituzione di Spagna) non fu un modello di chiarezza e le conseguenze per gli insorti furono ben pesanti anche (e soprattutto) nel raffronto con Napoli.

Eppure, alla fine, unica traccia sarà il, tutto sommato affettuoso, soprannome di "Italo Amleto". Per il Borbone, invece, non vale nemmeno l'attenuante del trattato con l'Austria del 1815 (fondamentale per evitare a Napoli la soluzione svedese) che gli vietava l'introduzione di forme di governo e di assetti dello Stato in contrasto con gli ordinamenti austriaci nel Lombardo-Veneto, ad evitargli la taccia di spergiuro.

Napoli e Torino, in conseguenza di quei moti ebbero a sopportare la presenza di contingenti austriaci sul proprio territorio, Napoli e Torino cambiarono profondamente le strutture e gli uomini dei rispettivi eserciti, Napoli e Torino profittarono dell'"occasione" per attuare quell'epurazione che non avevano potuto effettuare nel 1815.

Solo nel 1828 il Regno di Sardegna introdusse timide leggi per l'eversione della feudalità nell'isola da cui pure ricevevano la dignità regia i Savoia (con appena 12 anni di ritardo rispetto a Napoli che l'aveva attuata con quell'unificazione dei troni già detta). Eppure, alla fine, steso un velo sui fatti piemontesi, tutta la deprecazione (in effetti storiografia post-unitaria...) va a Napoli.

Facciamo un salto indietro, Sicilia, primi del secolo XIX. Premettiamo che la posizione geografica dei Regni meridionali non avrebbe consentito in alcun caso una posizione neutrale fra Francesi e Inglesi.

Ferdinando IV scelse più o meno spontaneamente la Gran Bretagna e, contrariamente a quel che una storiografia interessata ha statuito, ben poco "galleggiando" (espressione più adatta a un Stato che per metà scomparve fagocitato nel territorio francese e per il resto fu ben attento a farsi notare il meno possibile, comunque all'ombra delle navi inglesi).

Infatti, quando anche i più ostinati avversari europei conobbero una fase pacifica, l'unico a mantenere la belligeranza a fianco della Gran Bretagna fu il Regno di Sicilia, è un dato di fatto.

Tu dici, ed è vero, che gli Inglesi obbligarono Ferdinando a concedere la costituzione. Il punto fondamentale però è che la Gran Bretagna era mossa esclusivamente dalla propria convenienza e quella appariva la strada migliore per "sfilare" il trono siciliano da sotto il sedere borbonico, ovviamente con i tempi necessari.

In un certo senso, i calcoli furono giusti, perchè la mina siciliana alla fine funzionò, non precisamente come avrebbero desiderato gli Inglesi ma....comunque con loro utilità.

Nell'ottica britannica, la Sicilia avrebbe significato il completo controllo del Mediterraneo: sarebbe bastato anche semplicemente un Protettorato ma questa via era preclusa dal fortissimo senso di regalità dei Borbone che si esprimerà - anche nelle circostanze più sfavorevoli - con la gelosa difesa dell'indipendenza dei Reali Dominii.

In ogni caso, relazioni di diplomatici inglesi smentiscono abbondantemente la agiografica versione della "Grande Potenza Democratica che tende la mano all'oppresso": le sprezzanti considerazioni sul Parlamento Siciliano sono eloquenti in proposito. La considerazione più benevola verteva sull'attività parolaia dei parlamentari. In questo, molto giocava quello spirito di superiorità che distingue gli Inglesi quando osservano loro zelanti imitatori (anche oggi...) considerati, nel migliore dei casi, pasticcioni idioti.

Nel 1848, in un contesto europeo quanto mai tempestoso, Ferdinando II concesse la Costituzione che fu promulgata l'11 Febbraio 1848'. Come la Sarda' del 4 marzo era un adattamento scolastico della Costituzione Francese del 1814 modificata nel 1830 marginalmente.

Incidentalmente, l'art.1 della napoletana - con una certa ovvietà - definiva il Regno retto da una Monarchia rappresentativa.

Lo Statuto Sardo (che ci siamo portato dietro fino al 1946) esordiva con un "laicissimo" art.1 : "La Religione Cattolica Apostolica Romana è la sola religione dello Stato. Gli altri culti sono tollerati conformemente alle leggi".

Non che Napoli fosse indenne da analoghi esclusivismi confessionali ma, almeno, non erano collocati al primo posto....

Un'ulteriore curiosità è che quando Torino promulgò la Costituzione (Statuto) desunta da quella Francese, quest'ultima, nel frattempo, era stata spazzata via dal '48 parigino, il 24 Febbraio. Un'ironia della Storia che Napoli, più tempestiva, si era risparmiata.

Poichè, però, fra la data della promulgazione e giuramento del Re (11 febbraio) e quella della 1a convocazione del Parlamento eletto (15 maggio) gli avvenimenti europei, italiani e interni avrebbero smorzato gli "ardori" costituzionali di un Sovrano ben più liberale di Ferdinando, è davvero curioso che costui si sia deciso a rinnegare la Costituzione nel giorno più solenne.

Insomma, è come un tizio che qualche mese prima delle nozze scopre che la promessa sposa è una solenne....... ma si risolve a mandar tutto all'aria solo davanti all'altare, un pò strano, quantomeno, no?

La realtà era che una fetta piuttosto rumorosa dei parlamentari neoletti chiedeva che il Parlamento svolgesse funzioni di Assemblea Costituente. Non credo sia necessario dilungarsi sul significato di questa richiesta. Il comprensibile rifiuto del Sovrano (siamo al 13 maggio) innescò la serie di avvenimenti (barricate, tumulti, intervento delle truppe) del 15 maggio 1848.

Carlo Alberto non ebbe problemi del genere ma, per quanto fisiologicamente indeciso, nel caso specifico è dubbio che avrebbe avuto dubbi (scusa il gioco di parole).

E' da tener presente che la Costituzione non fu revocata ma il Parlamento sciolto e nuovamente eletto nel 1849, su questo il silenzio storico è assordante.

La Costituzione fu poi messa in naftalina, ma mai revocata, tant'è che Francesco II la richiamò semplicemente in vigore nel tentativo di raddrizzare la situazione, privandosi in quei momenti di quella centralità di comando che sarebbe stata più opportuna. Ma questa è un'altra storia.

Una piccola rettifica, infine, sulle solfare: non erano proprietà inglese, in maggioranza erano di siciliani. Gli Inglesi, con un continuo contenzioso sul trattato commerciale e sulla clausola di "nazione più favorita" erano riusciti a monopolizzare il commercio dello zolfo. Nel 1838, per loro esclusiva convenienza (fatto del tutto normale, anche al giorno d'oggi, con le superpotenze di turno), fecero crollare il prezzo dello zolfo. Altrettanto naturalmente, il Governo Napoletano non poteva restare inerte di fronte alla rovina di propri imprenditori e attuò le misure che sappiamo con tutto quel che ne derivò.

Nel 1860 la maggior efficienza dello Stato Sardo era prettamente militare avendo truppe fresche di guerre. Non era la maggior o minor efficienza in quegli anni a premiare: con questi criteri, l'unità l'avrebbe dovuta realizzare il Granducato di Toscana....non sei d'accordo ? --Emmeauerre 15:48, 20 feb 2007 (CET)

Sia ben chiaro, forse non l'ho sottolineato a dovere, quanto sopra è solo un tentativo, non so quanto riuscito, di vedere in parallelo alcuni passaggi cruciali dei due principali Stati Italiani dell'epoca che, come argutamente dici, non erano Paesi dei campanelli, per un'opportuna contestualizzazione.

Infatti, se Napoli era "uno stato con i suoi pregi e suoi difetti ma questo non te lo fanno studiare a scuola..." c'è però che, a buon peso, si continuano a studiare "pregi" sardi anche molto acriticamente, anche se discutibili quando non inventati.

E questo non giova affatto - come non ha giovato - al formarsi di una coscienza nazionale autentica. --Emmeauerre 16:04, 20 feb 2007 (CET)

Ciao Emmeauerre, la tua disamina è preziosa ed interessante. Per cominciare: grazie per le specificazioni sulle ferrovie meridionali, ricordavo qualcosa del genere e sono andato a rinfrescarmi la memoria sulla materia. Una sola osservazione, "giocattolo reale" è inteso per la prima parte della vita della ferrovia - l'ho detto che il discorso era solo uno schizzo -, più tardi il Regno cercò di espandere la propria rete, come aveva già fatto il regno sardo partito in ritardo e solo la guerra fermò il tutto. Ho usato, poi, il termine proprietari per gli inglesi e le solfare per rendere più liscio il discorso riguardante la loro idea di chi e che cosa gli doveva qualcosa - in fondo se ne "sentivano" proprietari, guarda le reazioni!. La clausola di Nazione più favorita è effettivamente quanto di più simile a quello che erano legittimamente, anche perché, se ben ricordo, uno straniero poteva possedere beni come le solfare solo a determinate condizioni e con "l'appogio" di un indigeno, ma potrei sbagliarmi (è il sistema tipico di quasi tutti gli stati dell'epoca e lo applico per analogia). Intendiamoci, Ferdinando non è uno spergiuro - termine polemico, sicuramente riduttivo, che ho usato eventualmente per dare del pepe ad un discorso, perdonami - è un re che cerca di barcamenarsi in un momento caotico. Lo Statuto albertino non è la migliore costituzione possibile, anzi, sarà però applicata, per un certo periodo in maniera ottimale - comparativamente con l'epoca e quanto avveniva intorno anche in Europa - e liberale, fino all'avvento del fascismo. Questo va a onore di chi lo applicò, non certo però i Savoia che, in parte, lo subirono. Ferdinando e gli altri sovrani prima di lui maneggiano male le costituzioni, che nel XIX secolo sono una fondamentale e dirompente arma ideologica. Il problema però si propone per tutte le case regnanti italiane dell'epoca. Vivono male l'assalto alla propria legittimità rappresentato dalle costituzioni, anche perché molte di loro, nonostante la parentesi napoleonica, sono ancora fresche di trono (i Borbone sono a Napoli dal XVIII secolo e non gli inizi). I Borbone le maneggiano male anche perché nel 1812 hanno subito quella siciliana. Scopo dei britannici era in effetti avere un regime presentabile - secondo i loro parametri - e soprattutto piantare una zeppa nel rapporto problematico tra Napoli e Sicilia. Questo allo scopo di controllare il Mediterraneo ed ancora le oramai mitiche solfare! I britannici erano pragmatici, non esportavano democrazia - non ne avevano molta neanche a casa loro - e facevano i loro interessi, una superpotenza seria questo fa, non si ammanta di principi! Scopo dei siciliani era ottimizzare al massimo l'occasione per strappare più concessioni possibili alla dinastia che, ovviamente, abbozza (primum vivere...). I Borbone non riescono assolutamente a convivere con le costituzioni anche nel proseguio del XIX secolo, ad ogni occasione. Ma è un rapporto strano, ne sono tentati, sembra, la vedono come una possibile soluzione, la seguono ma poi la mollano, questo è però devastante per la loro immagine. Secondo me se avessero concesso una costituzione come quella prussiana - ipotesi ovviamente di pura fantastoria - avrebbero fatto la felicità della loro "borghesia" ed avrebbero saldamente mantenuto in piedi il Regno. Perché ciò non accadde? Per molti motivi, uno è che la classe dei nobili "progressisti", dei funzionari e dei professionisti, che nel settecento hanno prodotto un illuminismo avanzato ed interessante (penso a Filangieri) non li segue del tutto. Un po' sono stati fatti fuori all'epoca della Repubblica Partenopea - morti o ridotti al silenzio -, un po' hanno sperato in Murat e nel suo sogno - soprattutto i militari -. La costituzione è per loro oltre che un ammirevole (per me) feticcio, anche una concezione di Stato che è agli antipodi con quella dei sovrani. Così quando si riuniscono i vari parlamenti i sovrani del Regno vedono con inquietudine il dibattito assembleare che si sviluppa in canali inconsueti e che a loro pare vulnerare le basi del loro potere. Per questo Ferdinando non è solamente spergiuro (è facile liquidarlo così, ma non centra il problema), quando infatti vede che si parla di assemblea costituente, individua che stanno parlando della sua legittimità e reagisce, soffocando il parlamento e non riconvocandolo più. Se poniamo avesse lasciato fare, nel 1848/49, il fallimento della guerra contro l'Austria avrebbe immediatamente annullato le velleità di assemblea costituente e avrebbe trasformato il parlamento napoletano in un omologo di quello Sardo e di tutti gli stati dell'Europa continentale. Diverso ovviamente il caso della Sicilia, che lottava per la propria indipendenza. Ora che cosa vedono i suoi sudditi? Che il parlamento, il luogo sacro della dialettica politca del XIX secolo ( e magari lo fosse anche oggi) è stato messo a tacere, mentre a Torino sopravvive. Ferdinando, che ha individuato il problema, ma ha sbagliato la soluzione, diventa, suo malgrado il "cattivo, malvagio spergiuro sovrano delle tre effe" (non vero ma questo è il messaggio che passa anche all'epoca). Brutta cosa in un secolo che vede formarsi il moderno concetto di opinione pubblica. Francesco quando resuscita la costituzione è un uomo che forse ci crede (e perché no, era indeciso e timido il figlio della Santa, non stupido) ma che è solo. Lasciato solo da una famiglia reale a tratti - scusami, non tutti è vero - imbarazzante, che flirta con i piemontesi, con l'Austria e con chiunque sia disposto a dare loro un po' di retta, lasciato solo dalla sua classe dirigente che spia l'arrivo del carro del vincitore e pensa a come farà politica nel nuovo ordinamento (don Liborio docet). Il Regno Sardo si esercita nella politica costituzionale dal 1848, e produce Cavour, D'Azeglio ed altri, che nascono nel dibattito parlamentare, l'altro Regno si chiude, spaventato e scosso, nei suoi confini. Per la tua battuta sulla Toscana - io sono di Parma, quindi l'Unità l'avremmo fatta Noi ;) - se Canapone avesse mantenuto la Costituzione, non ci sarebbe stata Unità d'Italia, ma forse una specie di zollverein meridionale tra Austria, Modena, Parma e Toscana, un Regno Sardo dubbioso se entrarvi o meno, uno Stato pontificio - questo un vero problema per l'Italia - e un Regno delle Due Sicilie... come? lo chiedo a te. Vedi non è importante la Costituzione che si sceglie, quella francese del 1818 è bruttarella forte, ma come viene interpretata ed utilizzata. Con la Costituzione del 1818 Luigi XVIII si guadagnò la sopravvivenza per sé ed il suo successore - che difatti buttò all'aria tutto attaccandola - che sarebbe stato se il re Bomba avesse fatto come il re Galantuomo? Forse oggi gli aggettivi sarebbero invertiti? Ciao ed è veramente un piacere questa chiacchierata, scusate - gli astanti - la prolissità e a presto. --Edoardo.Dedo 17:39, 20 feb 2007 (CET)

[modifica] Velocemente

Perchè è tardi e perchè altrimenti ci sparano... Ho letto con molto interesse il tuo punto di vista e, se mi consenti, non direi che ci siano poi così gran differenze. In ogni caso, confermo e apprezzo l'onestà che manifesti. Semmai, per quanto mi riguarda, una sfumatura, per me, da "napoletano all'estero", è ovviamente più sentita la necessità di "demolire" quella costruzione grottesca e caricaturale sotto la quale esigenze politiche contingenti nascosero uno Stato che, forse, coinvolto diversamente avrebbe dato ben altro apporto al Paese. In fondo, in Germania l'unità ha significato una somma di forze, di risorse. Non mi sembra di poter dire lo stesso per l'Italia. Ma ci tornerò su perchè detta così è un'affermazione gratuita. Ciao, buon lavoro. --Emmeauerre 01:21, 21 feb 2007 (CET) Grassetto

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