Storia della Sindone
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Nei primi secoli del cristianesimo la Sindone, cioè il lenzuolo sepolcrale di Gesù, è citata in vari documenti, ma soltanto dal 1353 è attestata con certezza l'esistenza del lenzuolo oggi noto come Sindone di Torino. Queste sono le tappe salienti della sua storia a partire da tale data:
- nel 1353, a Lirey, il cavaliere Goffredo di Charny annuncia di essere in possesso del telo che avvolse il corpo di Gesù nel sepolcro.
- nel 1453 Margherita di Charny, discendente di Goffredo, vende la Sindone ai duchi di Savoia, che la portano a Chambéry, loro capitale.
- nel 1532 la Sindone viene danneggiata da un incendio che la brucia in più punti. Le bruciature vengono rattoppate dalle suore clarisse di Chambéry.
- nel 1578 il duca Emanuele Filiberto, che ha spostato a Torino la capitale del ducato, vi trasferisce anche la Sindone.
- nel 1898 la Sindone viene fotografata per la prima volta, e si scopre che l'immagine dell'Uomo della Sindone è un negativo: questo avvenimento solleva l'interesse della comunità scientifica sul lenzuolo e riaccende il dibattito, a tutt'oggi non concluso, sulla sua autenticità.
- nel 1983 Umberto II di Savoia, ultimo Re d'Italia, morendo lascia la Sindone in eredità al Papa, che ne delega la custodia all'Arcivescovo di Torino.
Per quanto riguarda il periodo precedente al 1353, quanti affermano che la Sindone di Torino è un falso ritengono semplicemente che essa non esistesse prima di tale data. Tra quanti invece sostengono che essa risalga effettivamente alla Palestina del I secolo, la seguente ricostruzione è considerata la più attendibile:
- nei primi secoli la Sindone sarebbe stata conservata dalla primitiva comunità cristiana, come ricordo della Passione di Gesù; a causa delle persecuzioni sarebbe stata tenuta nascosta.
- in un'epoca imprecisata, ma certamente entro il VI secolo, sarebbe stata portata nella città di Edessa, dove sarebbe stata venerata sotto il nome di Mandylion.
- nel 944, dopo che Edessa è stata occupata dai musulmani, i bizantini trasferiscono il Mandylion a Costantinopoli.
- nel 1204 Costantinopoli viene saccheggiata dai crociati, e del Mandylion, ovvero della Sindone, si perdono le tracce. In qualche modo la Sindone sarebbe pervenuta in Francia dove, 150 anni dopo, viene acquistata o ereditata da Goffredo di Charny.
Indice |
[modifica] Ipotesi sulla storia della sindone prima del 1353
[modifica] I primi secoli
I Vangeli attestano che il corpo di Gesù venne sepolto avvolto in un lenzuolo, e Giovanni riferisce che dopo la resurrezione gli apostoli Pietro e Giovanni, entrando nel sepolcro vuoto, vi trovarono le "bende" e il "sudario, che gli era stato posto sul capo". Si può ipotizzare che questi teli siano stati conservati e venerati come reliquie dalla primitiva comunità cristiana.
Ne parlano alcuni testi dei primi secoli: secondo un passo del perduto Vangelo degli ebrei (II secolo), riportato da San Gerolamo, "il Signore, dopo aver dato la sindone al servo del sacerdote, apparve a Giacomo". C.H. Dodd ritiene che questo passo sia stato trascritto erroneamente da un copista: "al servo del sacerdote" (puero nel testo latino) andrebbe letto in realtà "a Pietro" (Petro). Un altro apocrifo, gli Atti di Pilato, afferma invece che la sindone fu conservata da Giuseppe d'Arimatea.
Queste tradizioni sono ribadite da diversi autori dei secoli successivi: nel IV secolo San Cirillo di Gerusalemme cita nelle sue prediche il Sepolcro, la Sindone e il Sudario; nel VII secolo San Braulione afferma che la Sindone è stata certamente conservata dagli apostoli e ora si trova in mano alla Chiesa d'Oriente; nel 670 il pellegrino Arculfo riferisce di averla vista e baciata durante la sua visita a Gerusalemme.
Non è però possibile affermare con certezza né che si trattasse della vera Sindone, né che fosse lo stesso lenzuolo che oggi si trova a Torino.
Jack Markwardt[1] ha avanzato l'ipotesi che la Sindone sia stata conservata nei primi secoli ad Antiochia, forse portatavi dallo stesso san Pietro (che, secondo la tradizione, ne fu il primo vescovo), e tenuta nascosta dapprima a causa delle persecuzioni, e quindi a motivo delle dispute tra cristiani ortodossi, ariani e monofisiti. Essa sarebbe stata trasferita ad Edessa solo nel 540, quando Antiochia fu assediata dai Persiani di Cosroe.
[modifica] Il Mandylion
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Per approfondire, vedi le voci Mandylion e Mandylion e Sindone. |
Il Mandylion, la cui esistenza è attestata da numerosi documenti, era un fazzoletto che recava un'immagine del volto di Gesù ritenuta miracolosa. Si diceva che Cristo si fosse asciugato il volto con un fazzoletto e in questo modo vi fosse rimasta impressa la sua immagine.
Custodito dapprima a Edessa, nel 944 il Mandylion fu trasferito a Costantinopoli; dopo il saccheggio della città avvenuto nel 1204 nel corso della Quarta crociata se ne perdono le tracce.
L'ipotesi di identificazione del Mandylion con la Sindone si basa su alcune notevoli similarità tra i due oggetti: anzitutto ad entrambe le immagini era attribuita un'origine miracolosa, derivante da un contatto diretto col volto o il corpo di Gesù. Nel X secolo l'arcidiacono Gregorio afferma che l'immagine del Mandylion non è dipinta e non reca tracce di colori artificiali, ma è solo "splendore" ed è stata impressa dalle gocce di sudore di Cristo.
Inoltre, sebbene le più antiche testimonianze descrivano il Mandylion come un fazzoletto di dimensioni ridotte sul quale era impresso il solo volto di Gesù, a partire dal suo arrivo a Costantinopoli si inizia a parlare di una figura più ampia: Gregorio menziona le "gocce di sangue sgorgate dal suo stesso fianco", dal che si deduce che l'immagine si estendeva almeno fino al costato.
È stato perciò suggerito che il Mandylion/Sindone venisse originariamente tenuto ripiegato in modo da mostrare il solo volto di Gesù: in effetti ripiegando la Sindone tre volte nel senso della larghezza, in modo da formare otto strati sovrapposti, rimane visibile una sezione nella quale l'immagine del volto è in posizione centrale. Alcune antiche raffigurazioni del Mandylion appaiono confermare questa ipotesi: esse mostrano un reliquiario le cui dimensioni corrispondono a quelle della Sindone piegata in otto, con un'apertura circolare al centro attraverso la quale si vede il volto di Cristo, mentre tutto il resto dell'immagine rimane nascosto.
Probabilmente a Costantinopoli il reliquiario fu aperto, si scoprì l'immagine intera, e si comprese la reale natura del telo: a partire dall'anno Mille circa, i cataloghi delle reliquie possedute dalla corte imperiale parlano esplicitamente della Sindone e non più del Mandylion. Altri documenti dicono che la Sindone fu mostrata nel 1147 a re Luigi VII di Francia, e nel 1171 a re Amalrico I di Gerusalemme.
L'ultimo riferimento si deve a Roberto di Clary, cronista della Quarta crociata: egli scrive che, prima della conquista della città da parte dei crociati (12 aprile 1204), la Sindone con la figura di Gesù veniva esposta ogni venerdì nella chiesa di Santa Maria di Blachernae; ma, aggiunge, "nessuno sa ora cosa sia avvenuto del lenzuolo dopo che fu saccheggiata la città".
[modifica] La Sindone e le raffigurazioni di Gesù
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Nel periodo bizantino si affermano canoni di raffigurazione di Gesù che, secondo alcuni autori, presentano elementi riconducibili direttamente alla Sindone di Torino. Questa relazione, se provata, ne attesterebbe l'esistenza già alcuni secoli prima del 1353.
Genericamente, dopo i primi secoli del cristianesimo nei quali Gesù era spesso dipinto come giovane imberbe, simile alle divinità pagane, si afferma la raffigurazione ancora oggi tradizionale di Cristo coi capelli lunghi e la barba. È stato ipotizzato che questa raffigurazione si sia ispirata a uno o più modelli ai quali si riconosceva una particolare autorità; tra questi doveva certamente esservi il Mandylion.
Più specificamente, Paul Vignon e Heinrich Pfeiffer elencano diverse caratteristiche tipiche delle icone bizantine, che corrispondono precisamente a particolari dell'immagine della Sindone di Torino:
- una o più ciocche di capelli corti in mezzo alla fronte, dove la Sindone presenta una macchia di sangue a forma di ricciolo;
- il sopracciglio destro più alto del sinistro;
- due segni sul naso, uno a forma di V e l'altro simile a un quadrato;
- la barba bipartita e leggermente spostata da un lato;
- la testa come staccata dal corpo;
- una guancia più gonfia dell'altra.
Inoltre la "curva bizantina", una particolare posizione di Gesù in croce, col corpo tutto spostato da un lato, tipica delle icone a partire dall'anno Mille, e l'uso russo di disegnare la croce col suppedaneo inclinato, sembrano suggerire che Gesù avesse una gamba più corta dell'altra; anche le icone del Cristo Pantocratore lo rappresentano a volte con un piede più piccolo e storto. È difficile pensare che gli artisti bizantini potessero attribuire un difetto fisico a Cristo, che in quanto figlio di Dio "doveva" essere perfetto, senza che vi fosse una cogente ragione a spingerli. Questa ragione si ritrova forse proprio nell'immagine della Sindone: in essa infatti la gamba sinistra, rimasta flessa a causa della rigidità cadaverica, appare più corta della destra.
Infine, una miniatura dipinta su un codice del tardo XII secolo (il Codice Pray, conservato a Budapest, datato tra il 1192 e il 1195) raffigura Gesù nel sepolcro con alcune caratteristiche che ricalcano puntualmente l'immagine sindonica: egli è completamente nudo, con le mani incrociate sul ventre, la destra sopra la sinistra, e le mani sono prive dei pollici mentre le altre quattro dita sono distese. Il lenzuolo funebre inoltre presenta un disegno geometrico che pare richiamare la trama "a spina di pesce" del tessuto, e su di esso sono disegnati alcuni cerchietti in posizione corrispondente a piccole bruciature circolari presenti sulla Sindone di Torino.
[modifica] Da Costantinopoli alla Francia?
Sono state avanzate diverse ipotesi per ricostruire in qual modo la Sindone, se davvero si trovava nel 1204 a Costantinopoli, sia pervenuta in Francia per riapparire nel 1353 in mano a Goffredo di Charny.
Secondo alcuni studiosi, fu Otto de la Roche, uno dei comandanti della Quarta crociata, a impossessarsi del lenzuolo e a spedirlo al padre in Francia. Questi l'avrebbe donata nel 1208 all'arcivescovo di Besançon; tempo dopo, forse a seguito di un furto, la Sindone sarebbe pervenuta al re Filippo VI e da questi donata a Goffredo di Charny. Oppure sarebbe stata ereditata dalla moglie di Goffredo, Giovanna di Vergy, discendente di Otto de la Roche.
È da notare che proprio a Besançon era presente un'altra sindone, simile a quella di Torino ma più piccola (2.6x1.3 m) e rappresentante solo la parte anteriore del corpo, con però la ferita sul costato situata nella parte sinistra, anche questa secondo la tradizione recuperata durante le crociate. Stando a quanto scoperto da Carlo Papini nei suoi studi[2] questa sindone era molto nota, veniva venerata fin dal XIII secolo ed era ritenuta dotata di poteri miracolosi. Questo telo andò apparentemente distrutto in un incendio nel 1349. Tuttavia nel 1377 i canonici della cattedrale sostennero di averla ritrovata intatta in un armadio che era scampato all'incendio e questa convisse quindi con la Sindone di Torino fino al 1794, quando venne distrutta definitivamente durante la Rivoluzione francese.
Secondo Ian Wilson[3] e altri, sarebbero stati i Templari a prendere la Sindone e a custodirla fino allo scioglimento dell'ordine: nel 1314, quando l'ultimo Gran maestro Jacques de Molay viene messo al rogo, insieme a lui è bruciato anche un alto dignitario dell'Ordine a nome Goffredo di Charny, omonimo e forse parente di colui che quarant'anni dopo espone pubblicamente la Sindone. Tra le accuse mosse ai Templari durante il processo, vi fu anche quella di adorare in segreto il volto di un uomo barbuto: forse l'Uomo della Sindone? Nel 1950 fu ritrovato a Templecombe in Inghilterra, in una vecchia casa templare, il coperchio di una cassetta sul quale era dipinto un volto molto simile a quello sindonico. È possibile ipotizzare che questa cassetta contenesse proprio la Sindone.
Secondo Jack Markwardt[4], sarebbero invece stati i Catari a custodire segretamente la Sindone nella loro fortezza di Montsegur; Goffredo di Charny potrebbe esserne entrato in possesso a seguito della confisca dei beni dei Catari (un documento del 1349 comprova che egli ricevette i proventi di una confisca, anche se non vi è citata la Sindone).
Secondo un'altra ipotesi ancora, la Sindone sarebbe rimasta in Oriente fino alla metà del Trecento: a portarla in Francia sarebbe stato lo stesso Goffredo di Charny, che nel 1346 partecipò ad una spedizione contro i Turchi a Smirne (Margherita, la nipote di Goffredo, nel 1443 affermò che la Sindone era stata presa dal nonno durante una spedizione militare).
[modifica] Storia documentata (dal 1353)
[modifica] Lirey
Il primo documento che si riferisca con certezza alla Sindone che oggi si trova a Torino risale al 1353: in esso il cavaliere Goffredo (Geoffroy) di Charny, che ha fatto costruire una chiesa nella cittadina di Lirey dove risiede, dona alla collegiata della stessa chiesa un lenzuolo che, per sua dichiarazione, è la Sindone che avvolse il corpo di Gesù. Egli non spiega però come ne sia venuto in possesso.
Il possesso della Sindone da parte di Goffredo è comprovato anche da un medaglione ripescato nel XX secolo nella Senna: su di esso sono raffigurati la Sindone (nella tradizionale posizione orizzontale con l'immagine frontale a sinistra), le armi degli Charny e quelle dei Vergy, la famiglia di sua moglie Giovanna.
Goffredo muore nel 1356 nella battaglia di Poitiers e l'anno successivo, per volere del decano della chiesa di Lirey, Robert de Caillac, avviene la prima ostensione della Sindone. Da subito l'autenticità del lenzuolo è contestata: in particolare il vescovo di Troyes, Enrico di Poitiers, forse spinto dal timore che i pellegrini, fonte di cospicui redditi per la chiesa locale, vengano deviati a Lirey, forse realmente dubbioso sull'onestà delle azioni del decano, vi si oppone decisamente. Secondo quanto riferito dal suo successore, il vescovo Pietro d'Arcis, viene aperto un procedimento contro il decano per via di sospetti sull'autenticità del telo, e come conseguenza questo viene nascosto perchè non potesse essere sequestrato ed esaminato. I teologi consultati da Enrico di Poitiers, afferma Pietro d'Arcis, assicurano che non può esistere una Sindone con l'immagine di Gesù, perché i Vangeli ne avrebbero sicuramente parlato, ed inoltre un pittore avrebbe confessato di averla dipinta; ma a causa del segreto della confessione, questa testimonianza non può essere verificata (peraltro oggi si sa che l'immagine sindonica non è dipinta).
Alcuni decenni dopo, nel 1389, il figlio di Goffredo, Goffredo II (che all'epoca della prima ostensione aveva solo 12 anni), su consiglio del nuovo decano (Nicola Martin) decide di effettuare una nuova ostensione del telo. Pietro d'Arcis invia quindi un lungo memoriale all'antipapa Clemente VII (che in quel momento era riconosciuto in Francia come Papa legittimo), chiedendo che sia vietata l'esposizione della Sindone e descrivendo le azioni compiute a suo tempo dal suo predecessore ed esprimendo dubbi sull'autenticità della reliquia.
Goffredo II invia a sua volta un memoriale di segno contrario, e nel 1390 Clemente VII decreta una soluzione di compromesso, emanando 4 bolle: è autorizzata l'esposizione della Sindone a patto che si dichiari che si tratta di una pictura seu tabula, cioè un dipinto ("si dica ad alta voce, per far cessare ogni frode, che la suddetta raffigurazione o rappresentazione non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesà Cristo, ma una pittura o tavola fatta ad imitazione del Sudario"[5]). Già alcuni mesi dopo, tuttavia, forse dopo aver ricevuto ulteriori informazioni, egli sostituisce questa espressione con la formula figura seu representacio, che non esclude l'autenticità.
Alcuni anni dopo scoppia una disputa per il possesso della Sindone: il conte Umberto de la Roche, marito di Margherita di Charny, figlia di Goffredo II, verso il 1415 prende in consegna il lenzuolo per metterlo al sicuro in occasione della guerra tra la Borgogna e la Francia. Margherita si rifiuterà poi di restituirlo alla collegiata di Lirey. La causa si protrasse per molti anni e Margherita (il marito, Umberto de la Roche, morirà nel 1448) iniziò ad organizzare una serie di ostensioni nei viaggi in giro per l'Europa. Nel 1449 a Chimay, in Belgio, dopo una di queste ostensioni il vescovo locale ordina un'inchiesta, a seguito della quale Margherita deve mostrare le bolle papali in cui il telo viene definito una raffigurazione e come conseguenza l'ostensione venne interrotta e lei venne espulsa dalla città. Negli anni successivi continuò a rifiutare di restituire la Sindone finché, nel 1453, la vendette ai duchi di Savoia. Successivamente, nel 1457, a causa di questi suoi comportamenti venne scomunicata.
[modifica] Chambéry
I Savoia conservarono la Sindone nella loro capitale, Chambéry, dove nel 1502 fecero costruire una cappella apposita; nel 1506 ottennero da papa Giulio II l'autorizzazione al culto pubblico della Sindone con messa e ufficio proprio.
La notte tra il 3 e il 4 dicembre 1532, la cappella in cui la Sindone era custodita andò a fuoco, e il lenzuolo rischiò di essere distrutto: un consigliere del duca, due frati del vicino convento e alcuni fabbri forzarono i cancelli e si precipitarono all'interno, riuscendo a portare in salvo il reliquiario d'argento che era già avvolto dalle fiamme. Alcune gocce d'argento fuso erano cadute sul lenzuolo bruciandolo in più punti.
La Sindone fu affidata alle suore clarisse di Chambéry, che la ripararono applicando dei rappezzi alle bruciature più grandi e cucendo il lenzuolo su una tela di rinforzo. Nel frattempo, poiché si era diffusa la voce che la Sindone fosse andata distrutta o rubata, si tenne un'inchiesta ufficiale che, ascoltate le testimonianze di coloro che avevano visto il lenzuolo prima e dopo l'incendio, certificò che si trattava dell'originale. La Sindone venne di nuovo esposta pubblicamente nel 1534.
Nel 1535 il ducato di Savoia entrò in guerra: il duca Carlo III dovette lasciare Chambéry e portò con sé la Sindone. Negli anni successivi il lenzuolo soggiornò a Torino, Vercelli e Nizza; soltanto nel 1560 Emanuele Filiberto, successore di Carlo III, poté riportare la Sindone a Chambéry, dove rimase per i successivi diciotto anni.
[modifica] Torino
Dopo aver trasferito la capitale del ducato da Chambéry a Torino nel 1562, nel 1578 il duca Emanuele Filiberto decide di portarvi anche la Sindone. L'occasione si presenta quando l'arcivescovo di Milano, San Carlo Borromeo, fa sapere che intende sciogliere il voto, da lui fatto durante l'epidemia di peste degli anni precedenti, di recarsi in pellegrinaggio a piedi a visitare la Sindone. Emanuele Filiberto ordina di trasferire la reliquia a Torino per abbreviargli il cammino, che San Carlo percorre in cinque giorni.
La Sindone, però, non viene più riportata a Chambéry: da allora resterà sempre a Torino, salvo brevi spostamenti. Nel 1694 viene collocata nella nuova cappella appositamente costruita, edificata tra il Duomo e il Palazzo reale dall'architetto Guarino Guarini: questa è tuttora la sua sede.
Nel 1706 Torino è assediata dai francesi e la Sindone viene portata per breve tempo a Genova; dopo questo episodio non si muoverà più per oltre duecento anni, rimanendo a Torino anche durante il periodo dell'invasione napoleonica. Solo nel 1939, nell'imminenza della Seconda guerra mondiale, viene nascosta nel santuario di Montevergine in Campania, dove rimane fino al 1946; questo è a tutt'oggi il suo ultimo viaggio.
In occasione dell'ostensione pubblica del 1898, l'avvocato torinese Secondo Pia, appassionato di fotografia, ottiene dal re Umberto I il permesso di fotografare la Sindone. Superate alcune difficoltà tecniche, il Pia esegue due fotografie e al momento dello sviluppo gli si manifesta un fatto sorprendente: l'immagine della Sindone sul negativo fotografico appare "al positivo", vale a dire che l'immagine stessa è in realtà un negativo. La notizia fa discutere e accende l'interesse degli scienziati sulla Sindone, iniziando un'epoca di studi che fino ad oggi non si è conclusa; ma non manca anche chi accusa il Pia di avere manipolato le lastre.
Nel 1931 viene eseguita una nuova serie di fotografie, affidata a Giuseppe Enrie, uno dei migliori fotografi italiani dell'epoca. Per evitare ulteriori polemiche, tutte le operazioni vengono svolte in presenza di testimoni e certificate da un notaio. Le fotografie di Enrie confermano la scoperta del Pia e dimostrano che non vi era stata alcuna manipolazione.
Nel 1983 muore Umberto II di Savoia, ultimo re d'Italia: nel suo testamento egli lascia la Sindone in eredità al Papa. Giovanni Paolo II stabilisce che essa rimanga a Torino e nomina l'arcivescovo della città suo custode.
Nel 1997 un incendio scoppiato nella cappella del Guarini mette di nuovo in pericolo la Sindone, ma il pronto intervento dei Vigili del fuoco, che sfondano a colpi d'ascia la teca di vetro blindato, evita che essa subisca danni.
Nel 2000 si svolge quella che finora è l'ultima ostensione della Sindone: il lenzuolo viene esposto nel Duomo di Torino, dietro l'altare, per alcune settimane, e visitato da un grandissimo numero di pellegrini.
Nel 2002 la Sindone viene sottoposta ad un intervento di restauro conservativo: vengono rimossi i lembi di tessuto bruciato nell'incendio del 1532 e i rattoppi applicati dalle suore di Chambéry; anche il telo di sostegno (la "tela d'Olanda") applicata nel 1534 viene sostituito. Il lenzuolo inoltre viene stirato meccanicamente per eliminare le pieghe e ripulito dalla polvere.
[modifica] Gli studi scientifici
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Per approfondire, vedi la voce Studi scientifici sulla Sindone. |
Il primo studio scientifico sulla Sindone viene effettuato nel 1902 sulla base delle fotografie di Secondo Pia. I risultati sono presentati da Yves Delage all'Accademia francese delle Scienze. Nei decenni successivi si susseguono altri studi, sempre basati sulle fotografie di Pia e poi di Enrie.
Nel 1969 la Sindone viene per la prima volta esaminata direttamente da una commissione riunita dal cardinale Pellegrino per studiare il metodo migliore di conservare il lenzuolo. In quest'occasione vengono eseguite anche le prime fotografie a colori.
Nel 1973 Gilbert Raes preleva un campione di tessuto dal margine della Sindone; il criminologo svizzero Max Frei preleva invece alcuni campioni di polvere.
Nel 1978 un programma più ampio di esami viene messo in opera dallo STURP (Shroud of Turin Research Project), un gruppo internazionale di studiosi; vengono tra l'altro prelevati alcuni campioni di tessuto dai bordi del telo, utilizzati poi per numerose analisi.
Nel 1988 viene eseguito un ulteriore prelievo di tessuto per sottoporre la Sindone all'esame del Carbonio 14: il risultato di questo esame, annunciato con grande risonanza da tutti i mezzi d'informazione, è che la Sindone risale al XIV secolo. Diversi scienziati tuttavia contestano questo risultato, e il problema della datazione della Sindone (ovviamente connesso a quello della sua autenticità) non è ancora giunto ad una soluzione unanimemente condivisa.
[modifica] Riferimenti
- ↑ Jack Markwardt, Antioch and the Shroud (1998) [1].
- ↑ Luigi Garlaschelli, Processo alla Sindone, Avverbi Edizioni, 1998, pag 25
- ↑ Ian Wilson, The Shroud of Turin, the Burial Cloth of Jesus Christ?, Image Books, Garden City (1979); Ian Wilson, The Blood and the Shroud, The Free Press, New York (1998).
- ↑ Jack Markwardt, The Cathar crucifix: new evidence of the Shroud's missing history [2].
- ↑ Luigi Garlaschelli, Processo alla Sindone, Avverbi Edizioni, 1998, pag 16
[modifica] Voci correlate
[modifica] Bibliografia
- Pierluigi Baima Bollone e Pier Paolo Benedetto, Alla ricerca dell'Uomo della Sindone, Arnoldo Mondadori Editore, 1978.
- Emanuela Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", supplemento a Famiglia Cristiana n. 12 dell'1.4.1998, Editrice San Paolo.
- Luigi Garlaschelli, Processo alla Sindone, Avverbi Edizioni, 1998
- Carlo Papini, Sindone - Una sfida alla scienza e alla fede, Claudiana, Torino, 1998