Giovanni Verga (tecnica dell'impersonalità)
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Nell'ambito delle poetiche del vero la posizione di Verga è quella della necessità di usare la tecnica dell'impersonalità, lasciare cioè che sia "il fatto nudo e schietto" e non le valutazioni dell'autore, il centro della narrazione, come egli stesso scrive nella premessa alla novella "L'amante di Gramigna".
Sarà proprio su questa impostazione che lo scrittore siciliano imposterà la parte più alta della sua produzione novellistica.
Indice |
[modifica] Testimonianze
[modifica] Lettera a Salvatore Farina"
Chiare testimonianze di come la pensasse il Verga riguardo il metodo dell'impersonalità è chiaro nella lettera a Salvatore Farina, quasi una prefazione alla novella "L'amante di Gramigna", e le lettere a Luigi Capuana e a Felice Cameroni.
Questi ultimi due documenti furono scritti successivamente all'uscita del romanzo "I Malavoglia".
Nella lettera a Salvatore Farina (il quale era contrario alle idee veriste) Verga è estremamente preciso quando afferma che:
- " ... il racconto è un documento umano ... Io te lo ripeterò così come l'ho raccolto pei viottoli dei campi, press'a poco con le medesime parole semplici e pittoresche della narrazione popolare ... senza stare a cercarlo fra le linee del libro, attraverso la lente dello scrittore ... La mano dell'artista rimarrà assolutamente invisibile e l'opera d'arte sembrerà essersi fatta da sé."
[modifica] Il rifiuto del narratore onnisciente
Verga parla della lente dello scrittore ed è palese il riferimento al metodo che vuole, appunto, lo scrittore come narratore onnisciente; ma Verga rifiuta l'onniscienza; anzi adotterà nella sua opera verista più compiuta, qual è la novella “Rosso Malpelo”, la tecnica più pura dello straniamento.
[modifica] Lettera a Felice Cameroni
Nella lettera a Felice Cameroni, invece, l'autore siciliano afferma:
- "Io mi son messo in pieno, e fin dal principio, in mezzo ai miei personaggi e ci ho condotto il lettore come ei li avesse conosciuti diggià, e più vissuto con loro e in quell’ambiente sempre. Parmi questo il modo migliore per darci completa l'illusione della realtà; ecco perché ho evitato studiatamente quella specie di profilo che tu mi suggerivi pei personaggi principali".
Cameroni, nel recensire il romanzo "I Malavoglia", uscito nel 1880, aveva espresso riserve sul fatto che, appunto, mancassero i profili di presentazione. Eppure Verga ha avuto dubbi sulla sua scelta stilistica, subito dopo l'uscita de I Malavoglia".
[modifica] Lettera a Luigi Capuana
In una lettera a Capuana egli infatti esprime dubbi sulla validità dell'opera:
- "Avevo un bel dirmi che quella semplicità di linee, quell'uniformità di toni, quella certa fusione dell'insieme che doveva servirmi a dare nel risultato l'effetto più vigoroso che potessi, quella tal cura di smussare gli angoli, di dissimulare quasi il dramma sotto gli avvenimenti più umani, erano tutte cose che avevo volute e cercate apposta e non erano certo fatte per destare l’interesse ad ogni pagina del racconto, ma l'interesse doveva risultare dall'insieme, a libro chiuso, quando tutti quei personaggi si fossero affermati sì schiettamente da riapparirvi come persone conosciute, ciascuno nella sua azione. Che la confusione che dovevano produrvi in mente alle prime pagine tutti quei personaggi messivi faccia a faccia senza nessuna presentazione, come se li aveste conosciuti sempre, e foste nato e vissuto in mezzo a loro, doveva scomparire mano a mano col progredire nella lettura, a misura che essi vi tornavano davanti, e vi si affermavano con nuove azioni ma senza messa in scena, semplicemente, naturalmente, era artificio voluto e cercato anch'esso, per evitare, perdonami il bisticcio, ogni artificio letterario, per darvi l'illusione completa della realtà. Tutte buone ragioni, o scuse di chi non si sente sicuro del fatto suo; e sai che l'inferno è lastricato di buone intenzioni. Capirai dunque com'ero inquieto non solo sul valore che avrebbe accordato il pubblico a queste intenzioni artistiche, giacché le intenzioni non valgono nulla, ma sul risultato che avrei saputo cavarne nell'ottenere dal lettore l'impressione che volevo".
Verga, quindi, sa pienamente di andare contro corrente, sa di rischiare, ma ormai non poteva impostare un romanzo tradizionale con presentazioni canoniche senza rinunciare al suo principio Verista.
[modifica] Recensione de "I Malavoglia"
L'amico Capuana lo rassicura pubblicamente con la sua recensione e tra le altre cose dice:
- "... I Malavoglia si rannodano agli ultimissimi anelli di questa catena dell'arte. L'evoluzione del Verga è completa. Egli è uscito dalla vaporosità della sua prima maniera e si è afferrato alla realtà, solidamente. Questi Malavoglia e la sua Vita dei campi saranno un terribile e salutare corrosivo della nostra bislacca letteratura ... Finora nemmeno Zola ha toccato una cima così alta in quell'impersonalità che è l'ideale dell'opera d'arte moderna".
[modifica] La narrazione corale
Nel romanzo di cui sopra Verga fa di più: non privilegia un punto di vista, non assume la prospettiva di questo o quel personaggio, imposta una narrazione corale. Tutti i punti di vista hanno pari dignità, avviene una narrazione che a volte può apparire quasi simultanea, come se lo scrittore anticipasse i tempi di dieci o venti anni. Vi sono scene in cui i pensieri e le parole dei personaggi sono colte come da un caleidoscopio.
Le chiacchierate dei vicini la sera sugli usci di casa, sul cortile, alla bottega dello speziale. Ad esempio, nel secondo capitolo de "I Malavoglia" la chiacchierata serotina sul ballatoio tra le donne:
- " ... La Longa, com'era tornata a casa, aveva acceso il lume, e s'era messa coll'arcolaio sul ballatoio, a riempire certi cannelli che le servivano per l'ordito della settimana. Comare Mena non si vede, ma si sente, e sta al telaio notte e giorno, come Sant'Agata, dicevano le vicine. - Le ragazze devono avvezzarsi a quel modo, rispondeva Maruzza, invece di stare alla finestra: «A donna alla finestra non far festa». - Certune però collo stare alla finestra un marito se lo pescano, fra tanti che passano; osservò la cugina Anna dall'uscio dirimpetto. La cugina Anna aveva ragione da vendere; perché quel bietolone di suo figlio Rocco si era lasciato irretire dentro le gonnelle della Mangiacarrubbe, una di quelle che stanno alla finestra colla faccia tosta. Comare Grazia Piedipapera, sentendo che nella strada c'era conversazione, si affacciò anch'essa sull'uscio, col grembiule gonfio delle fave che stava sgusciando, e se la pigliava coi topi che le avevano bucherellato il sacco come un colabrodo, e pareva che l'avessero fatto apposta, come se ci avessero il giudizio dei cristiani; così il discorso si fece generale, perché alla Maruzza gliene avevano fatto tanto del danno, quelle bestie scomunicate! La cugina Anna ne aveva la casa piena, da che gli era morto il gatto, una bestia che valeva tant'oro, ed era morto di una pedata di compare Tino. - I gatti grigi sono i migliori, per acchiappare i topi, e andrebbero a scovarli in una cruna di ago ...".
[modifica] Il discorso indiretto libero
Il discorso indiretto libero ampiamente usato da Verga rende le scene, i dialoghi e le descrizioni fluide ed estremamente moderne; non a caso è stato affermato che Verga, benché appartenente all'Ottocento, ha spalancato le porte del Novecento.
L'impersonalità dello scrittore si attua - in buona sostanza - in modo ancora più preciso con l’uso attento ed adeguato del linguaggio.
[modifica] Il linguaggio
I personaggi si esprimono senza il filtro del narratore colto, onnisciente. Nella narrazione delle opere di Verga è presente un linguaggio povero, semplice, spoglio, intervallato da modi di dire, di imprecazioni popolari, spesso ripetute; è presente una sintassi elementare incastonata in una struttura dialettale.
Verga non usa il dialetto in modo diretto, i tempi non lo consentivano ancora, ogni tanto usa il corsivo ed il virgolettato per inserire un termine o un proverbio in dialetto, come ne "La lupa": In quell'ora fra vespero e nona, in cui non ne va in volta femmina buona. Più diretto in "Cavalleria rusticana", dove appare Racinedda, e ancora quando Turiddu dice a Lola: facemu cuntu ca chioppi e scampau, e la nostra amicizia finiu.
[modifica] Il metodo impersonale
Lo scrittore, per dare energia e spessore alla sua ideologia, ritiene confacente la tecnica verista dell'impersonalità dell'autore. Se l'autore, dall'alto della sua visione onnisciente, fosse lì: a sentenziare, a giudicare, a portare il lettore alla riflessione ora su un argomento, ora su un personaggio; a guidare il lettore nel valutare positivo o negativo qualcuno o qualcosa, egli sarebbe un giudice, applicherebbe le sue regole morali, politiche o religiose.
Giovanni Verga non vuole giudicare; considera lo scrittore uno strumento tecnico che documenta e non interviene nel documento che trasmette; non crede che la letteratura possa contribuire a modificare la realtà, quindi deve trarsi fuori dal campo e studiare senza passione i personaggi e gli eventi. Il lettore, dal canto suo, deve sentire, percepire con evidenza il parlare dei soggetti che sono rappresentati e deve vedere i comportamenti.
[modifica] Il metodo naturalista
L'autore verista, di conseguenza, cerca di scoprire le leggi che regolano la società umana, muovendo dalle forme sociali più basse verso quelle più alte, come fa lo scienziato in laboratorio quando cerca di scoprire le leggi fisiche che stanno dietro ad un fenomeno.
In questo Verga fa pienamente proprio il metodo naturalistico: pone cioè attenzione alla realtà nella dimensione del quotidiano prediligendo una narrazione realistica e scientifica degli ambienti e dei soggetti della narrazione.
Sotto questo aspetto, in altre parole, non racconta le emozioni, ma fa percepire i sentimenti che i personaggi - con il loro fare e il loro dire - provano. Rappresenta, con l'uso geniale di un narratore popolare intradiegetico, il modo di pensare di una categoria sociale, di un vicinato, insomma di un gruppo che ha valori comuni, convinzioni radicate e indiscutibili.
In tal modo il lettore sente letteralmente la gente, vede e percepisce un determinato personaggio o un particolare evento.
Nella novella "La Lupa", il personaggio è presentato così:
- "Era alta e magra; aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna e pure non era più giovane; era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano. Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell'andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro figlioli e i loro mariti in un batter d’occhio, con le sue labbra rosse, e se li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da satanasso, fossero stati davanti all’altare di santa Agrippina ...".
Chi racconta è un narratore popolare che ha un atteggiamento di condanna nei confronti della Lupa. Ciò si percepisce chiaramente dagli epiteti che sono rivolti alla gnà Pina: lo stupore che una donna non più giovane sia attraente e seducente, il definirla una cagnaccia, una che ha gli occhi da satanasso.
Si comprende, inoltre che il narratore vive la storia con partecipazione e porta a testimonianza il suo essere lì, in quel luogo mentre i fatti avvenivano; non a caso si usa un pronome personale labbra fresche e rosse che vi mangiavano, e ancora l'uso del deittico: occhi grandi così.
L'evento particolare, e soprattutto l'evento vero, diventa qui la materia dell'opera d'arte.
Lo scrittore, quindi, privilegia gli avvenimenti realmente accaduti e preferibilmente contemporanei, si limita a ricostruirli obiettivamente ovvero rispecchiando la realtà in tutti i suoi aspetti.
Ma uno scrittore colto come Verga, come può eclissarsi dalla vicenda narrata, e non può evitare di dare un qualsivoglia giudizio e allora egli utilizza una tecnica molto efficace, quella dello Giovanni Verga (tecnica dello straniamento).
[modifica] Voci correlate
- Verismo
- Naturalismo e Verismo (confronto)
- Naturalismo (letteratura)
- Giovanni Verga
- I Malavoglia
- Mastro-don Gesualdo
- Giovanni Verga (tecnica dello straniamento)
- Giovanni Verga (concetto dell'ostrica)
- Impersonalità narrativa
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